Prima di Napoli Monza, a Castel Volturno, finita la conferenza, Luciano Spalletti ha presentato il conto alla stampa locale. Una pila di articoli degli ultimi due anni che lo hanno ferito oltremodo, alta più di un metro. Tra le mille ricostruzioni del suo probabile addio, manca questo pezzo.

Tra i tifosi c’è sicuramente qualcuno che non ha imparato nulla dalla lectio magistralis del Napoli iniziata nel 2007. Vuoi per deficit di apprendimento, vuoi per scarsa cultura, vuoi per superficialità, c’è ancora chi crede che il futuro del club sia legato a qualcuno diverso da Aurelio De Laurentiis. Dobbiamo amaramente segnalare che questa categoria non rappresenta una nicchia all’interno dell’opinione pubblica cittadina, anzi. Più che una corrente è un vero e proprio partito.

La cavalcata trionfale che ha portato allo scudetto ha solo anestetizzato l’insofferenza mista a incompetenza che ha fatto esplodere il bubbone asedicista in estate. Certo, qualcuno che ha fatto i conti con la propria coscienza c’è pure. Ma sono pochi quelli che stanno resistendo alla tentazione di sparare a zero sulla società, molti hanno già rispolverato vecchi slogan, adeguandoli ai tempi che corrono. Da non vuole vincere, si è passati al non vuole rivincere, in meno di una settimana. In fondo, non è previsto un limite all’asticella da alzare per normalizzare ogni successo raggiunto dalla gestione societaria.

Il ciclo vitale della polemica a oltranza è sempre lo stesso: bollare come inadatta qualsiasi sia la strategia del club, definendola improvvisata; convincersi al primo apparente intoppo di aver ragione e aumentare la pressione; creare un eroe salva patria non appena arrivano i risultati - Cavani, Sarri, Mertens, Spalletti - meglio se precedentemente criticato in quanto scelta del club; battersi per la prosecuzione della strategia del club inizialmente criticata. Un loop che, nonostante sembri studiato per cadere sempre in piedi, non fa altro che aumentare le distanze tra il livello raggiunto dal club e quello di chi instancabilmente lo applica.

Ad elevare questo giochino perverso dallo status innocuo di chiacchiera da bar a quello di opinione diffusa e credibile ci pensa la stampa locale, da sempre impegnata a rielaborare le voci da marciapiede, rivestendole di aneddoti decontestualizzati o verosimili, utilizzati come inneschi ad orologeria.

Spalletti ha deciso lo scorso maggio di andare via da Napoli

La pec, ad esempio, è un depistaggio. Il professionismo è fondato su contratti che, per essere validi, passano attraverso una fredda burocrazia. Pensare che un calibro come Spalletti possa essere infastidito dal fatto che il club abbia esercitato l’opzione, che lui stesso ha firmato, è pura fantascienza. Si sarebbe raccontato ugualmente di un malumore nel caso in cui il Napoli non lo avesse fatto. Classica situazione win win per la stampa, che però non vuole correre rischi e piazza un altro carico da novanta, collocando l’inizio del risentimento del mister durante la sosta mondiale, causa mancata pec da parte del club. Sarebbe stato quello il momento ideale secondo le gole profonde.

Tra quaderni e diari segreti, poi, la fantasia raggiunge vette inesplorate. Un mondo fatato costituito da leggi non scritte ma promulgate in camera caritatis, dietro le telecamere. Un ecosistema in cui gli unici fatti acclarati vengono messi da parte perché scomodi alla mission primaria della ricostruzione. Dalla narrazione è praticamente scomparsa una frase pronunciata dal mister nella conferenza di Monza Napoli: “Vi presenterò il conto”, indicando i giornalisti in sala stampa.

Lontano dalle telecamere, prima del brindisi, Spalletti si è assentato per poi rientrare con una pila alta dalle braccia distese, al mento. Ritagli di giornali degli ultimi due anni. Un vero e proprio dossier del rancore. Ne avete letto? No, non lo avete letto. Avete letto di tutto, tranne questo.

Non ce n'è traccia perché del futuro di Spalletti non frega niente a nessuno. È solo un pretesto per rispolverare vecchi slogan e sperare che per una sola volta, in 19 anni, sortiscano effetti. Ricordare le critiche per il terzo posto, le uova al bus da parte dei tifosi, i fischi di Dimaro, l'interpretazione delle smorfie durante la profetica frase di De Laurentiis in cui annuncia l'obiettivo stagionale, le dichiarazioni sofferenti del Mister pre Napoli Milan di Champions, sarebbe un esercizio di autocritica che non conviene a nessuno. Luciano ha deciso che la sua esperienza a Napoli fosse finita oggi, a maggio dello scorso anno. Precisamente quando, a sorpresa, non presenziò l'ultima conferenza stampa, mandando avanti il suo staff.

La profondità delle analisi è un lavoro complicato e mette tutti in discussione. Meglio l’inciucio. Meglio far credere che con De Laurentiis nessuno resista perché ha difetti che non appartengono al genere umano, ma che magicamente diventano insopportabili solo quando chi lavora per lui è affrancato dai risultati e vede nuove opportunità per il suo futuro. Tutto lecito, per l'amor di Dio, ma le cose vanno dette per quelle che sono e non per il gusto di rovinare la festa.