Giovanni Simeone, in vista degli ottavi di finale contro l'Eintracht Frankfurt, ha rilasciato delle dichiarazione su UEFA.com, nella chiacchierata si è parlato della sua personale crociata per partecipare alla Champions League, di seguito le sue parole:

"Siamo un gruppo che si concentra semplicemente sul dare il proprio meglio"

Simeone si è soffermato sul suo amore per la competizione:

"Guardavo le migliori partite del pomeriggio quando ero in Argentina, ovviamente, a causa della differenza di fuso orario. Guardavo tutte le partite della Champions League perché è dove i migliori calciatori hanno sempre giocato. Ho sempre avuto quella passione di guardare ogni partita, ma anche tutte le interviste con i giocatori. La prima Champions League che ricordo perfettamente è stata quella vinta dal Milan nel 2007. Da allora sono sempre stato ossessionato dal poterla giocare".

L'argentino ha poi parlato della sua stagione al Napoli:

"Possiamo contare su qualsiasi giocatore, non solo sull'11 in campo. Ci sono molti calciatori in panchina che possono subentrare e fare davvero la differenza, questo ci rende una squadra molto più completa. Il fatto che abbiamo tutti lo stesso livello di motivazione dice molto sul gruppo, sull'allenatore, sui giocatori. Siamo tutti motivati l'uno dall'altro, e questo ci aiuterà a ottenere molto di più."

Sul suo tatuaggio della Champions fatto quand'era un ragazzino:

"Ero ansioso di giocare in Champions League, quindi volevo far diventare questo obiettivo una promessa. Così all'improvviso mi sono detto: "Voglio farmi questo tatuaggio perché il giorno in cui arriverò a giocarci lo bacerò dopo aver segnato un gol". L'ho detto a mia madre e mi ha dato il suo permesso, ma mio padre non voleva che lo facessi. Mi disse che ero pazzo, a lui non piacciono i tatuaggi."

"Quando mi allenavo, guardavo il mio tatuaggio e mi dicevo: "Perché voglio allenarmi? Perché voglio essere lì", e mi motivavo ancora di più. Era tutta una questione di motivazione e di avere il mio obiettivo lì, seguendo un sogno che non sapevo se avrei mai potuto raggiungere. Ho sempre saputo che dovevo lavorare sodo per realizzarlo".

Infine il passaggio su ciò che ha imparato da suo padre, Diego "Cholo" Simeone:

"Mi ha trasmesso l'essere ambizioso: il desiderio di raggiungere sempre un obiettivo. Non ho scelto di giocare a calcio a causa di mio padre, ma perché avevo sempre giocato da quando ero bambino, e ho sempre perseguito il mio obiettivo, un sogno che sembrava difficile all'epoca ma che sapevo di poter raggiungere, è stato mio padre a dimostrarmelo con il suo duro lavoro".

"Molti dicono che ho la sua stessa personalità, sia dentro che fuori dal campo. Lui è calmo, equilibrato, un padre di famiglia quando è fuori dal campo; invece quando è in campo: qualcuno che dà tutto se stesso, qualcuno che ha grinta e coraggio. Mi rivedo molto in lui".

"Il suo miglior consiglio è stato: "fino all'ultimo giorno in cui giocherai a calcio imparerai sempre qualcosa di nuovo". Me l'ha detto quando sono arrivato al Genoa. Non mi dava consigli, mi ha sempre solo incoraggiato, ma questo è stato l'unico consiglio che mi abbia mai dato".