Giovanni Pablo Simeone nasce a Buenos Aires il 5 luglio del 1995, ma come vorrebbe una certa retorica romanzata non muove i primi passi col pallone nel campetto polveroso di qualche "villa". Giovanni infatti è il figlio di Diego, oggi allenatore dell'Atletico Madrid che proprio in quegli anni vestiva la maglia dei colchoneros prima di trasferirsi a Milano, sponda Inter.

A ricordare il padre, rude centrocampista col vizio del gol, il giovane Simeone non sembra assomigliarli, se non per alcuni tratti somatici. Faccia pulita da bravo ragazzo, sempre sorridente e l'espressione di chi sente di vivere un sogno.

Dall'Argentina all'Italia con l'etichetta di raccomandato

Inizia nelle giovanili del River Plate, portandosi dietro sin da piccolo l'appellativo di raccomandato e quella diffidenza che spesso accompagna i "figli di papà" - è successo anche al grande Paolo Maldini - ma Giovanni aveva le idee chiare su quale sarebbe stato il suo futuro e dopo una stagione al Banfield sbarca in Italia per vestire la maglia del Genoa.

Ha solo 21 anni, ma il fiuto del gol non gli manca e chiude con 12 reti la sua prima apparizione in Serie A, un bottino che gli vale il passaggio alla Fiorentina allenata da Pioli, nella tragica stagione in cui il capitano Davide Astori verrà trovato senza vita la mattina del 4 marzo a seguito di un malore.

Con i viola Simeone si ripete, confermandosi bomber di razza con 14 gol all'attivo e quella tripletta contro il Napoli che sancì la fine della rincorsa alla Juventus e del sogno scudetto. L'anno dopo, complice una stagione disastrosa della squadra che chiude a soli tre punti dalla zona retrocessione, non va oltre le 6 marcature.

E' un anno questo che ridimensiona le ambizioni di Giovanni che decide di cambiare casacca e vestire nuovamente i colori rossoblu, ma del Cagliari questa volta. Pronti via i gol al primo anno sono 12, ma anche questa volta non riesce a confermarsi con i sardi e non va oltre le 6 reti alla sua seconda stagione.

Si comincia a vociferare che il ragazzo sia discontinuo, incapace di mantenersi ad alti livelli e destinato ad una carriera dignitosa, ma lontana dagli obiettivi che si era prefissato, quando appena quindicenne decise di tatuarsi lo stemma della Champions League sul braccio, promettendo a se stesso di arrivare a giocarla come il padre.

Capisce che è arrivato il momento di cambiare aria e torna sulla terraferma, questa volta a Verona e proprio con gli scaligeri gioca la sua miglior stagione da professionista. Un poker alla Lazio, la doppietta nella vittoria interna contro la Juventus, il gol del momentaneo vantaggio contro il Napoli al Maradona.

Ma in generale un anno giocato ad altissimi livelli con 17 gol e 6 assist, che gli valgono le attenzioni di Giuntoli e del Napoli che decide di portarlo alla corte di Spalletti con una spesa, tra prestito oneroso e riscatto, di circa 20 milioni.

L'inizio del sogno napoletano

Giovanni arriva a Napoli con l'entusiasmo di un bambino, ma con la concentrazione di chi è consapevole che questa può essere la svolta della sua carriera. Ha 27 anni, è nel pieno della maturità, ma per la prima volta sa che il posto da titolare non è suo e che questa volta non sono ammessi errori. In un club che lotta per vincere non c'è spazio per le incertezze e ogni minuto giocato va sudato come se fosse l'ultimo. Davanti ha quel diavolo di Victor, ma la sliding door della sua stagione, manco a farlo a posta, si presenta una serata europea di inizio settembre e che sera.

Gli azzurri dopo un inizio pirotecnico, inciampano in due pareggi, l'ultimo interno contro il Lecce neopromosso e per Simeone sono appena diciassette i minuti giocati. Ma non c'è tempo per recriminare, al Maradona per la prima partita di Champions c'è il Liverpool di Klopp. Giovanni sa che partirà dalla panchina nonostante Victor non sia al meglio, ma sa che questo è il momento che aspettava da quando era bambino e non deve lasciarsi scappare l'occasione. E l'occasione arriva al minuto 41 di una partita che il Napoli domina e conduce per 2-0.

Victor sente tirare il quadricipite, una smorfia rivolta alla panchina e la richiesta di cambio, adesso tocca a lui. Gli bastano sessanta secondi per mettere la sua firma sul match e scrivere il capitolo più alto della sua carriera. Kvara è imprendibile, supera di slancio Alexander-Arnold, resiste alla pressione di Gomez e fa partire un rasoterra verso l'area piccola. Il movimento è quello da attaccante vero, finge di andare a chiudere sul primo palo per poi fermarsi e attaccare alle spalle Van Dijk per un comodo tap-in. Il Maradona esplode e Simeone può finalmente baciare quello stemma e con gli occhi lucidi gettarsi a terra per raccogliere l'abbraccio di uno stadio intero.

Davanti le telecamere a fine partita dirà che se lo sentiva, perché sapeva di essere pronto e che voleva solo un'occasione per poter dimostrare di valere questo palcoscenico. Nelle sue parole non ci sono solo i sogni di un adolescente, ma soprattutto i sacrifici di un ragazzo che ha sempre saputo di dover lavorare più degli altri per togliersi di dosso quella scomoda etichetta di raccomandato.

Alla fine, da uomo serio, ringrazia tutti e un ringraziamento particolare lo dedica a coloro che da giovane gli dicevano che per uno come lui la Champions era troppo. Ma non lo fa con rancore, ma con la gratitudine di chi da quelle parole ha preso forza per lottare e guadagnarsi sul campo quella soddisfazione.

Da quella sera, complice l'infortunio di Victor, la stagione di Giovanni ha una svolta e gli regala un'altra notte magica, questa volta in campionato, in quella che è una vera e propria sfida scudetto. Il tappeto è quello di S.Siro, l'avversario è il Milan campione d'Italia, ma ormai ci ha preso gusto e quando la partita sembra destinata al pareggio trova di testa il gol da tre punti a dodici dal novantesimo.

Questa volta il gol è da incorniciare, protegge palla al limite dell'area, scarico su Mario Rui e attacco alla porta. Quella del portoghese è una pennellata e Simeone gira sul secondo palo un pallone imprendibile che si insacca nell'angolo alla sinistra di un incolpevole Maignan. Le soddisfazioni non finiranno e saranno altre 5 le marcature tra campionato e coppe, l'ultima, inutile, contro la Cremonese in Coppa Italia. Il rientro di un famelico Victor però aveva ridotto al lumicino le apparizioni dell'argentino, che in più di un'occasione si era dovuto accontentare di applaudire i compagni dalla panchina, ma dopo dieci partite e la miseria di 22 minuti giocati, era arrivato nuovamente il momento di lasciare il segno, sempre di sera, sempre in un big match e ancora una volta alla sua maniera. Napoli e Roma sono ferme sul 1-1 quando Spalletti decide di mandarlo in campo al posto del capocannoniere Osimhen, autore del gol del vantaggio con una prodezza che ha fatto impazzire uno stadio poi ammutolito dal pareggio giallorosso.

Siamo al minuto 85 quando al limite dell'area si stacca dalla marcatura incerta di Smalling, riceve palla da Zielinski e si gira con controllo orientato facendo perno sul destro. Il piede è il sinistro, non il suo preferito, ma queste sono le sue notti e così fa partire un tiro che trova l'incrocio dei pali alla sinistra di Rui Patricio proteso nel vano tentativo di deviare il pallone. E' l'apoteosi, un gol che mette in ginocchio le speranze degli uomini di Mourinho e proietta il Napoli a +13 dal secondo posto occupato dall'Inter.

Numeri pazzeschi in questa stagione

Per Simeone sono 8 i gol messi a segno in questa stagione in 17 partite giocate, ma ciò che impressiona è la statistica relativa ai minuti giocati, appena 525 in tutte le competizioni, con la media di un gol ogni 66 minuti. Media che scende a 53 considerando solo il campionato e 61 alla sua prima edizione di Champions, con ben 4 reti all'attivo.

Il Cholito è riuscito con le sue 3 reti in campionato a portare 6 punti - non bisogna dimenticare il gol del vantaggio a Cremona sempre su assist dell'ottimo Mario Rui - dimostrando che non serve partire dal primo minuto per risultare decisivi e che, come dice Spalletti, bisogna sentirsi titolari dei minuti in cui si scende in campo dando tutto quando si viene chiamati in causa. E' questo spirito, questa voglia di sentirsi importanti, il mettere la squadra avanti agli interessi personali la vera forza di questo gruppo, che è riuscito a liberarsi delle tossine che negli anni passati avevano rappresentato la zavorra che non permetteva a tanti elementi di sbocciare. Oggi si respira un'area nuova e Simeone ne è solo l'ennesimo esempio, la conferma che quando si punta tutti insieme l'obiettivo nessun traguardo è precluso.