I pazzi sono dei soggetti perfetti, parlano e nessuno li ascolta (Edward Daniels).

Di recente una mia amica, durante una conversazione, mi ha chiesto quali fossero i miei film preferiti. È una domanda che a me, appassionato cinefilo, mette sempre in crisi, e difatti ho iniziato a risponderle con nuove domande, cercando di limitare l’enorme bacino dal quale attingere: dipende, di che genere stiamo parlando? Thriller, romantico, Sci-fi? E poi cosa intendi per preferito? Un film che rivedo volentieri appena posso oppure uno che mi è rimasto indelebile nella testa seppur l’abbia visto soltanto una volta? E via discorrendo.

 Lei, armata di arguzia ma non di pazienza, ha cassato tutte le mie domande con un: non rompere le palle e rispondi come ti viene in mente. Dunque, commossa dalla sua capacità di sintesi, la mente ha risposto.

Il punto però non è tanto quali siano state le mie scelte (ndr la mia prima risposta è stata “The Prestige”) quanto i titoli, comunque bellissimi, che ho scartato, anche inconsapevolmente. Il migliore dei film recenti da me non citati in quella lista forse è stato “Shutter Island” con l’ultimo divo rimasto nel cinema, Leonardo Di Caprio, e con un regista il cui solo nome evoca la bellezza della Settima Arte: Martin Scorsese.

Mi sono domandato: perché un film che parte da tali premesse, e che in fondo mantiene le aspettative che riponevo su di esse, non rientra però nei miei preferiti assoluti?

Ci ho messo un po’ a capirlo e probabilmente ci sono riuscito soltanto da pochi giorni, grazie ad Andrea Agnelli, Fabio Paratici e la Juventus tutta.

La Juventus: un finale prevedibile

La risposta è banale: avevo intuito troppo presto il finale. Sì, perché il buon Martin, nel suo patto di correttezza verso lo spettatore, dissemina lungo la pellicola una serie di indizi atti a svelare il mistero. Ed io, per fortuna o capacità, quando lo vidi per la prima volta, li colsi più o meno tutti.

Tuttavia, Shutter Island resta un bel film, anche perché non è detto che la mia esperienza corrisponda a quella di altri milioni di spettatori: non tutti magari hanno compreso l’inghippo e moltissimi sicuramente saranno rimasti a bocca aperta, sorpresi dal colpo di scena conclusivo. E ci sta. Quindi lunga vita a Scorsese sempre e comunque.

Ecco – ed in questo preciso rigo facciamo un salto a piè pari da un’arte all’altra, dal cinema al calcio – ciò che più colpisce di tutta la vicenda Juventus è che la sceneggiatura che stiamo scoprendo giorno dopo giorno, riga dopo riga scritta dai pm, dalle trascrizioni delle intercettazioni, dalle parole dei protagonisti stessi, fosse stata largamente prevista da chiunque abbia seguito il calcio italiano nell’ultima dozzina di anni (e anche prima).

Prima di questi tumultuosi giorni di cronaca sportivo-giudiziaria, ci avevano sempre raccontato che era tutta una questione di prospettiva: lo stesso evento poteva essere letto in un senso o nell’altro a seconda del punto di vista della fazione della quale si faceva parte.

Il complottismo è un modo facile per spiegare il mondo

Dunque, da un lato c’erano i complottisti/vittimisti ovvero coloro che, nell’ordine, affermavano che: la Juventus ricevesse aiuti sul campo da parte degli arbitri, ci fosse complicità se non connivenza tra Juventus, AIA e FIGC, dovuta anche a sponsorizzazioni tanto palesi quanto in conflitto di interessi, esistessero legami oltre il lecito tra la Juventus ed altre società di A; dall’altro invece erano schierati i garantisti/vincenti teorici del pensiero che chi perde tende sempre alla demonizzazione del vincente: è la cultura dell’alibi diffusa anni fa dal grande Julio Velasco, su premesse però un po’ diverse.

Non vi nascondo che il sottoscritto di solito si trova dall’altro lato della barricata: quello dei presunti savi, che guardano con quasi tenera compassione i complottismi di ogni misura ed ordine: dai geografici terrapiattisti agli storici antiallunaggio fino ai musicali: Elvis è ancora vivo e Paul McCartney in realtà è morto da tempo. Ce n’è per tutti i gusti (qual è la vostra assurdità preferita? scrivetelo nei commenti #complottisti).

Del resto tutte le teorie del complotto hanno diversi radici comuni: una in particolare è il fatto che partono da assunti e teorie non dimostrabili ma che, per lo stesso motivo, non sono semplici da confutare (ndr per chi volesse approfondire: il paradosso della Teiera di Russell è forse la prima teoria complottista coniata logicamente).  La seconda è che si tende ad assecondare qualsiasi evento possa lontanamente confermare la nostra ipotesi, scartando tutto ciò che la contraddice.

La mia paura è quindi stata: e se, nel mio piccolo spazio di tifoso del Napoli, fossi anch'io un banale complottista?

Insomma, uno sguardo imparziale avrebbe concluso, salomonicamente, che probabilmente la verità era un magnete puntato sull’equilibrio tra le due parti: sì, forse è vero che esiste una sudditanza nei confronti della squadra più potente, è vero che a volte è stata favorita, ma da qui ad immaginare un disegno e una serie di illegalità alla base ce ne passa.

Sei pezzi facili

Poi però c’è stata Calciopoli. Quell’evento, agli occhi di chiunque abbia un minimo di oggettività, ha dimostrato come quella parte di teoria “complottista” fosse vera, acclarata dai fatti. E nessun ricorso, né esibizione di titoli revocati potrà alterare questa verità etica, morale e giudiziaria.

Poi, tanti altri eventi, bollati come complottismo: Pechino e la SuperCoppa, Mazzoleni che parla macedone, Orsato presbite, Calvarese cieco, Suarez e la cucumella (a proposito, ma ogni tre complotti si ha una verità? Chissà) fino ad arrivare a quello a cui stiamo assistendo oggi.

In questi giorni è come se tante tessere di un puzzle che sapevamo avere senso, ma che vedevamo soltanto noi, come i pazzi che non vengono mai ascoltati (“complottisti!”), si stessero incastrando l’una dopo l’altra.

Primo pezzo: le plusvalenze finte. Secondo pezzo. Gli stipendi non iscritti al bilancio con jolly dato dalla carta Ronaldo (conservata nella già famosa CR7cartellina.xls). Terzo: le dichiarazioni false o reticenti di due dei maggiori personaggi-manifesto della contestata anti-etica juventina: Chiellini e Buffon. Quarto: le manie di onnipotenza e protervia dei dirigenti testimoniate dalle loro stesse voci. Quinto. L’aggiotaggio. Sesto: Le connivenze con le altre società.

Tutto, tessera dopo tessera, sta andando a comporre quell’immagine che noi, spettatori del calcio, avevamo in mente da tempo: la figura desolante di una vecchia signora che si aggrappa a tutti gli agi che detiene per esercitare il proprio potere in modo scorretto, illegale ed arrogante. Una Maria Antonietta che è ancora tuttora convinta che dare un paio di brioches possa bastare per sfamare il popolo.

Questo invece è il tempo in cui non si può più essere (finto)equilibrati, disinteressati o scollegati dalla realtà, non ci si può più barcamenare dando un colpo al cerchio ed uno alla botte. Farlo non significa essere garantisti, ma complici. Non farlo non è giustizialismo, ma giustizia.

Un calcio perbene

Il calcio italiano è, di nuovo, a un passo dal baratro e la risposta non può essere difendere la Juventus per difendere tutti, come ha scritto qualche giornalista sicuramente imparziale, come lasciano intendere Gravina o Lotito, due nomi a caso. La risposta dev’essere: difendere la giustizia per difendere lo sport, che è – quello sì – di tutti.

L’alternativa è vedere, per gli anni a venire, un film del quale già abbiamo a mente l’evoluzione, del quale conosciamo i trucchi e di cui sappiamo il finale. Insomma un film completamente già visto, magari soltanto con il titolo cambiato. Un cinepanettone insomma, tanto per accendere in voi un nome, che non farò, ma che in questi giorni si sta ergendo come una figura di valore enorme in mezzo alle miserie del calcio italiano.

E quando i mass media, gonfi della loro autoreferenzialità, ci provocheranno dicendo: se muore la Juventus muore il calcio italiano, allora dovremmo avere il coraggio di fare come l'Andrew Laddis di Shutter Island, una volta che il velo di menzogne, che egli stesso si era costruito, gli cade davanti agli occhi: è meglio vivere da Mostri o morire da persone perbene?

Il calcio italiano oggi è un Mostro.

O muore e – forse – rinasce, oppure continua a vivere, ma lontano dalle persone perbene.


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