Le tre vittorie di vantaggio accumulate dal Napoli in diciotto gare di campionato hanno del clamoroso solo per chi non ha afferrato, in estate, quale fosse il vero obiettivo della dirigenza. In questi giorni si magnificano le scelte tecniche ed economiche di De Laurentiis e Giuntoli, ma si dimentica che esse sono la conseguenza di un'altra precisa volontà del club, il desiderio madre che ha orientato il mercato e il disegno tattico messo in piedi da Spalletti: la redistribuzione delle responsabilità.

Genesi di una rivoluzione necessaria

Alla base di ogni rivoluzione c'è un'idea. Quella del Napoli è nata con ogni probabilità il 5 novembre del 2019. Il giorno più buio della storia recente del club. Quella sera il Presidente ha imparato una lezione importante e avrà giurato a sé stesso di non commettere più l'errore di affidare le sorti della propria creatura a blocchi di senatori onnipotenti. Ha incassato il colpo e ha iniziato a progettare il futuro. In silenzio.

Costretto a posticipare il reset a causa del covid, ha così deciso di tirare fuori il massimo dal materiale umano che aveva a disposizione. E il massimo è stata la qualificazione in Champions arrivata due anni e mezzo dopo, non grazie a Gattuso, ma per merito della tenuta nervosa di Spalletti lo scorso anno. Il tecnico toscano è stato capace di tenere in piedi uno spogliatoio ormai usurato e nel frattempo, in collaborazione con il club, ha dettato le linee guida per il futuro.

Nel mezzo tanta letteratura. E qualche bugia necessaria. Ma il manifesto d'inizio della rivoluzione è stato l'annuncio di Insigne al Toronto nei primi giorni di gennaio scorso. Si è preferita una fine spaventosa ad uno spavento senza fine. Mentre il capitano faceva suo il motto dei canadesi tramite i social, il Napoli pescava in Georgia il futuro del calcio mondiale e in Turchia l'erede dell'altro capitano in pectore, Kalidou Koulibaly. E mentre la città restava aggrappata alle sorti di Ciruzzo, il migliore marcatore della storia del club, un napoletano nato per caso in Belgio e bla bla bla, il club si convinceva che nel calcio il passato non conta e iniziava a puntare il futuro intravisto nel luccichio dello sguardo di Raspadori al suo primo giorno di Napoli, dopo una trattativa estenuante.

Cambio di rotta

Gli oligarchi a cui il club aveva affidato le proprie sorti sportive, in uno scellerato slancio di fiducia e anche con qualche forzatura contrattuale, hanno mostrato tutta l'inadeguatezza di questo sistema di comando che include nella sua essenza l'obiettivo di aumentare il proprio potere e quasi sempre termina il suo ciclo vitale subendo una rivoluzione.

Dietro il Napoli che viaggia a una media scudetto antistorica e che è deflagrato con gli occhi del mondo incollati addosso nella competizione calcistica più spettacolare possibile, c'è dunque la scelta sociologica e politica di redistribuzione delle responsabilità. L'idea - vincente - del club è stata quella di chiudere il ciclo degli oligarchi ed eliminare ogni forma di protezione decisionale al resto del gruppo. Una scelta coraggiosa solo per chi osserva dall'esterno, ma che è stata sicuramente condivisa con chi avrebbe poi preso le redini dello spogliatoio.

Li voglio ringraziare: li adoro tutti e auguro loro solo il meglio. Ora, però, ci sono altri leader: sono felice per Giovanni Di Lorenzo, il nuovo capitano, e poi c'è Mario Rui

Victor Osimhen sui senatori il 25/7/2022

Le dichiarazioni di Victor fanno da eco a quelle di Juan Jesus, Di Lorenzo, Mario Rui, Elmas e a quelle dell'agente di Politano, che in una delle sue tante ospitate ha chiarito che il suo assistito ha ritrovato entusiasmo grazie alla stabilità ritrovata nello spogliatoio.

Il Napoli è passato da un'oligarchia a una monarchia costituzionale nell'arco di sei mesi. Il monarca è Spalletti, insignito al merito dopo un anno in trincea trascorso a tamponare i deliri personali dei reggenti, che hanno visto aumentare il proprio potere nello spogliatoio durante gli anni del post rivoluzione monca. In quel periodo di disillusione, il popolo ha delegato a loro lo scettro dell'anti societarismo innsecato dal fu Comandante, poi segretario democristiano alla corte di Agnelli e oggi fiero sostenitore della lazialità, Maurizio Sarri.

La forza del Napoli è che tutti vogliono mettere qualcosa in più per contagiare gli altri

Luciano Spalletti, ottobre 2022

Re Luciano è un uomo illuminato e giusto. Rispettato dai suoi generali e il suo popolo ha imparato, con il tempo, a rispettarlo. Il club gli ha affidato materiale umano da forgiare e qualità morali sulle quali lavorare. E sulle quali ridistribuire le responsabilità che i punti di forza del vecchio spogliatoio avevano calamitato prima e appannato poi. Ne è uscito un gruppo più forte e più determinato. Una boccata di aria fresca che ha rinvigorito tutti e che ha permesso una repentina integrazione dei talenti scoperti in giro per il mondo.

Natura umana

La capacità operativa del club è stata determinante. Ma alla base delle meraviglie di questa prima parte di stagione c'è una scelta di natura antropologica. Il vero segreto è la lucidità del club di analizzare la situazione umana e fare le sue scelte nel momento più difficile del suo rapporto con i tifosi.

Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla

Edmunde Burke

Chi oggi parla di miracolo Napoli, in ottica meramente economica e tecnica, pur credendo di dare meriti al club, non si accorge che sminuisce un'opera di ingegneria umana più ampia e più complessa, messa in piedi da chi conosce e non trascura l'aspetto relazionale. E che non smette mai di analizzare la storia - invece di subirla - per trarne insegnamento per il futuro. Perché, in fondo, chi capisce solo di calcio, non capisce nulla di calcio.