La Coppa Italia è un format senza cuore
Girone 5.
Con Lazio, Cesena, Lanerossi Vicenza, Taranto e Spal. Nessuna di queste militava in serie A. Cinque partite, di cui due in casa e tre fuori casa.
Poi il Brescia agli ottavi di finale, andata e ritorno. Il Bologna ai quarti, il Cagliari in semifinale ed infine l’Atalanta in finale. Sempre in match di andata e ritorno.
Questo fu il cammino del Napoli nella coppa Italia 1986-87, il suo terzo trionfo, ottenuto in contemporanea con la vittoria dello scudetto. Poi avremmo dovuto attendere il Napoli di ADL per vedere altri tre titoli della Coppa nazionale.
Dello squilibrio della formula attuale, che favorisce ampiamente le squadre più blasonate, ne hanno parlato già tutti in tutte le salse. Magari vedere listati i nomi delle squadre affrontate da quel Napoli fortissimo potrebbe dare maggior concretezza a questo concetto.
Pensate che in quella stessa annata ci furono match del tipo Casertana – Fiorentina, Cavese – Inter, Barletta – Milan, Roma – Campobasso e Atalanta – Virescit Boccaleone. E non tutte queste partite terminarono con il pronostico rispettato. Per esempio lo Stadio Alberto Pinto di Caserta vide i padroni di casa imporsi per 1-0 contro i Viola di Ramon Diaz.
Il fascino di vedere una Davide di turno contro Golia dovrebbe essere un “must” dello sport, del Calcio, che è uno dei pochissimi sport a basso punteggio e che quindi per naturale propensione favorisce le sorprese. Anzi, ne dovrebbe addirittura costituire aspetto imprescindibile.
Invece in Italia non è così. Si cerca di indirizzare la competizione fornendo alle squadre top il vantaggio di iniziare tardi e di giocare le prime partite in casa. Perché nessuno – secondo loro – ha piacere di vedere un Pordenone in semifinale. Anche in questo l’Inghilterra, con la sua FA Cup, ha molto da insegnarci. La competizione più antica del mondo nata nel 1871, resta avanti anni luce proprio perché la federazione inglese, nella sua modernità, ha saputo mantenersi conservatrice negli aspetti più sportivi del gioco.
Per esempio, se vi trovaste in vacanza o per lavoro nel Regno Unito, scoprireste che il sabato pomeriggio è proibito trasmettere un match della Premiere League in diretta tv. Il motivo? Invogliare le persone ad andare a seguire negli stadi le partite delle divisioni inferiori. Perché il calcio nasce da lì, dalle retrovie, esattamente come un’azione sul campo parte spesso dal rinvio del portiere, indipendentemente dal tipo di costruzione, che sia dal basso o un rinvio a campanile.
Chissà se un giorno potremo tornare anche alle nostre latitudini ad assistere a quei testa coda in stadi di periferia che, spesso, producono più fascino dei match di cartello, anche grazie a quel piacevole processo di facile immedesimazione - ehi ma in quel campo ci ho giocato anche io da piccolo! - che porterebbe tutto il resto d’Italia a tifare per la Cenerentola di turno o, perché no, di contrasto, farebbe sentire una volta tanto il tifoso di una squadra di bassa classifica di serie A come la potenza da battere rispetto ad un team di lega inferiore.
In un Calcio che ormai è solo business, questa speranza è sempre più utopica. Non perché l'emozione non porti vantaggi finanziari, ma perché gli uomini d'affari che decidono le sorti anche del Calcio, spesso con l'emozione non hanno proprio nulla da spartire.