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La copertina di "Songs of a Lost World", il grande ritorno dei The Cure
La copertina di "Songs of a Lost World", il grande ritorno dei The Cure

Il grande ritorno dei Cure, a distanza di 16 anni dal terribile “4:13 Dream”. Scelta studiata e azzeccata quella di lanciare “Songs of a Lost World” il primo novembre, nel pieno ambito della narrativa dark di santi, morti, streghe ed estetica di genere.

La cupezza tra nostalgia e maturità

L’approccio al nuovo album è stato spinto dall’evento come dalla nostalgia della cupezza, che nella maturità segna un punto d’incontro con gli istinti emotivi dell’adolescenza. O col desiderio di vivere il tipico romanticismo oscuro del sentimento sempre in divenire.

L’importanza di metabolizzare l’album

Ci siamo presi qualche settimana prima di parlarne. Perché avevamo bisogno in qualche modo di metabolizzarlo, che non vuol dire “capirlo”. Il tempo è servito ad accettarlo e a ricordare gli effetti amari su di noi, più che a giudicarlo. Perché mai capirò il motivo per cui si possa parlare di un film dopo averlo visto una sola volta, mentre un disco pare debba essere sistematicamente passato al setaccio.

Collegamenti con la trilogia del dolore

E infatti le impressioni sono le stesse del primo ascolto, immediatamente collegate a quella che fu la trilogia del dolore: “Pornography” (1982), “Disintegration” (1989), “Bloodflowers” (2000). Un prodotto di intensità e muro del suono, intriso della storica cavalcata in opening track (“Alone”, peraltro primo singolo estratto) e di molteplici fade out, marchio di fabbrica di Robert Smith.

La carriera dei Cure: tra new wave e dark music

La carriera dei Cure è chiaramente divisa tra un pre e un post “Disintegration”. Ovvero tra atteggiamenti vicini all’epopea della new wave, insieme ai coevi e struggenti Joy Division di Ian Curtis, poi imbastarditi con un piglio più ambientale alla Echo & the Bunnymen, e l’accettazione totale della dark music atmosferica, certamente più vicina al pop, che ha trovato il suo arché nel disco di “Lovesong” e “Fascination Street”.

Un viaggio nel mondo perduto

“Songs of a Lost World” è una bella farfalla nello stomaco. Si immerge nel secondo tempo fino al collo, prendendo le distanze da qualche stucchevole deviazione sul tema che c’era stata nel mentre. Ci sono le canzoni (“All I Ever Am”, “Drone:Nodrone”), i soliti quadri poetici e infiniti (“Alone”, “Warsong”, “Endsong”), le barocche incisioni di pianoforte e affini (“And Nothing is Forever”).

In questo mondo perduto c’è spazio per esprimere ciò che si prova, anzi si deve. Non è un caso che Smith, che ha curato anche l’artwork, abbia scelto per la copertina “Bagatelle”, la straordinaria scultura dell’artista sloveno Janez Pirnat, raffigurante un volto che emerge da una roccia. L’anima che vive nella rigidità, un’istantanea sulle possibilità inespresse della natura. La musica che si estrae dal mondo perduto, appunto.

Un’opera di grande intensità

Intenzioni nobili e arte ad ottimi livelli, tra sinergie multi-disciplinari e ritorno alla seconda stagione della serie. Manca forse il pezzo memorabile, ma riprenderemo gli ascolti con malinconico piacere.


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