Il Napoli non è più una macchina da guerra Il Napoli è stanco. La squadra dai meccanismi perfetti e dagli ingranaggi così efficacemente oliati non c’è più. Il Napoli ha perso le certezze che lo contraddistinguevano. Il Napoli è in fase calante. Il Napoli si è sciolto come neve al sole

Questo è il mood attuale. E parliamo della squadra che dopo 30 partite ha accumulato 14 punti di vantaggio dalle dirette avversarie. Mica pizze e fichi. Giusto per intenderci.

Il Napoli è in testa al campionato. Punto.

Questo è un dato inoppugnabile, al quale in molti farebbero bene a farsene una ragione. Ci è riuscito in base alla logica dei pronostici estivi che davano questa squadra tra il sesto e il settimo posto? No

Ci è riuscito in base alle valutazioni di una rosa rinnovata che si è privata dei suoi uomini cardine che le avevano consentito di restare ai piani alti di questo torneo? No

Lo deve esclusivamente alla forza che si è caricata sulle spalle, quella che ha accompagnato questa squadra durante questa storica cavalcata, pregna della concomitante incostanza degli avversari che a furia di continue indecisioni hanno finito col pestarsi i piedi da soli.

Dopo tutte queste premesse - nonostante tutte le avversità che si presentavano ai nastri di partenza e le annesse scetticità - il Napoli vincerà lo scudetto. Lo farà anche al cospetto di chi ancora spera che un possibile -11 dia loro ancora speranze.

Ci dispiace, siamo consumati dal dolore ma non sarà così. Mettetevi l’anima in pace. I punti che mancano alla matematica vittoria del campionato saranno fatti, lo ribadiamo con toni decisi ma soprattutto con la veridicità dei fatti.

Ma adesso si pretende il sogno, le semifinali di Champions League, con tirannia e alcuna tolleranza verso l’imperverso e tortuoso cammino che ha messo a dura prova questi calciatori. Guai a parlare di stanchezza nessuni vuole sentir parlare. Dagli undici leoni agli undici automi è davvero un attimo.

Per quale motivo adesso questa squadra sarebbe stanca: perché ha perso in casa con il Milan con un risultato netto che non ha lasciato spazio a replica alcuna?

O perché - nonostante l’impetuoso 80% di possesso palla - non è riuscito a cavare alcun ragno dal buco dal match casalingo contro il Verona?

Ripongo fiducia nella profusa e dettagliata informazione di chi scoverà statistiche e numeri che ne attestino le ragioni, ma la verità, come spesso accade, è la sapiente e sostanziale terra di mezzo: l’arteria della saggezza, il prodigo raziocinio.

Il Napoli, per quanto possa risultare difficile pensarlo, ha già dovuto affrontare le sue difficoltà, non sto qui a contarvi le partite che ha dovuto fare a meno di Osimhen e Kvaratskhelia, bensì nel menzionarvi come è riuscito a compensarne le assenze con un calcio altrettanto spettacolare. Amsterdam, Glasgow, il Liverpool al Maradona, sono ancora increduli per quanto hanno ammirato, anche la stessa Milano - di cui tanto si teme il confronto europeo, ma che ha visto un Signor Napoli dominare la scena nonostante l’assenza di calciatori simbolo - ha visto cedere il passo senza Osimhen in campo. Era abbastanza prevedibile che - dopo la sosta delle nazionali - ritrovarsi senza calciatori del calibro di Simeone, Raspadori e lo stesso attaccante nigeriano potesse influire sui flussi di gioco dalle sincronie definite. Sì, è vero, l’abitudinario fa brutti scherzi, questo possiamo dirlo, ma è pur vero che sei hai a disposizione un calciatore come Osimhen non ci si può esimere dallo sfruttarlo appieno. Difficile alternarlo per far tenere alta la guardia e dare adito a schemi di gioco polifunzionali. Il Napoli ha dovuto rivoluzionare tutto quest’anno e far fronte a molteplici ostacoli: dalla cessione dei big agli infortuni prima di Osimhen e successivamente di Kvaratskhelia, dalla sosta mondiale - che ne ha interrotto la serie vincente di 11 partite - alle sconfitte in amichevole in fase di preparazione in vista della seconda fase della stagione che già, secondo molti, preludevano al precipizio in campionato. Ostacoli che sembravano macigni, specie se a fargli da compagnia piombavano imperterrite le dame sapienti e forbite presenti nei soggiorni delle emittenti nazionali. Tutti abbattuti, come birilli, nonostante questa squadra in Estate - dall’elite del mainstream italiano - ha ricevuto pronostici che oscillavano tra una posto in Europa League e la Conference League. Questo finale di stagione non ridimensionerà l’essenza di questa squadra. Il motivo? Perché questi ragazzi hanno dignità e orgoglio da vendere, perché l’obiettivo che stanno perseguendo se lo sono costruiti da soli, senza contare sull’aiuto di nessuno. Lo si percepisce dalle parole di capitan Di Lorenzo nel post gara di Milano: si volta pagina con ottimismo e spirito combattivo, pronto a spronarlo a vele spiegate per la prossima gara. Non ci si piange addosso, a prescindere dalle defezioni degli attaccanti, né dal mancato self control - ed esperienza in partite ad alta tensione come quella dei quarti di finale di Champions League - da parte di Anguissa e Kim. Questa squadra non ha nulla da rimproverarsi, né tantomeno nulla da dimostrare. A nessuno, e sottolineo nessuno. Soprattutto a chi è già in loop per la presunta mancata occasione di approdare alle semifinali della competizione europea. Del garbo e della sensibilità di cui ha parlato Spalletti non ne abbiamo notato la presenza. Fortunatamente aggiungerei. Anche perché queste sono caratteristiche che questi ragazzi hanno sempre lasciato negli spogliatoi, lasciando spazio al carattere e ad i ruggiti forti. Personalità e attributi che hanno manifestato durante l’intera stagione, anche al San Siro: senza un vero terminale offensivo e in dieci uomini, lottando dal primo all’ultimo minuto. Questa squadra ha ritrovato il suo protagonista primario, e questi non è Osimhen, bensì il proprio pubblico: il Napoli ha finalmente ritrovato l’amore della sua gente, uno stadio colmo di passione, compatto nel trascinare i propri beniamini ed esaltarne le gesta. Perché a questa squadra poteva essere negata l’opportunità di giocarsi un quarto di finale accompagnata dal calore del proprio pubblico. Non lo avrebbero meritato. Perché questi ragazzi hanno dimostrato di poter sopperire a qualsiasi cosa ma non all’unione d’intenti, alla coesione che caratterizza Napoli e il Napoli.

Martedì sera vada come deve andare, sui muri di questa città rimarrete comunque, e per sempre.

Perché Pullecenella chiagne, Pullecenella ride, Pullecenella è stanco e nun 'o dice c'o cuppulone 'ncapa addà passà 'a nuttata. S'assetta, piglia 'o fiasco, se 'mbriaca e po' distratto, ma cuntento, se ne va p’à via dicenno: “È cos' 'e niente, je me ne vaco p''a strada mia”