Nelle aziende, di qualsiasi natura esse siano, sono i momenti e la lettura di essi a fare, con ogni probabilità, la differenza. Leggere le dinamiche, anticipare i tempi, sbagliare il meno possibile, tutto condito da una buona dose di "rischio". Se tutto ciò, ed altro, viene fatto con competenza, allora i momenti saranno di facile comprensione.

Quei momenti possono far cambiare pelle, variare strategia, essere dominanti. Il Napoli questi momenti, la maggior parte delle volte, li ha saputi prevedere, vivere, leggere. Al netto di errori dettati da svariati motivi ma che comunque errori restano. Più o meno gravi, che puntualmente hanno poi visto nascere nuovi cicli.

Come ad esempio la scelta Carlo Ancelotti, che fu probabilmente fatta troppo presto rispetto alla dimensione del Napoli in quel momento. O come quella di Rudi Garcia per il post scudetto, se solo vogliamo soffermarci agli allenatori. Ma la lista è lunga, naturalmente, e tocca soprattutto l'aspetto tecnico. I calciatori, in poche parole. Per il resto, o quasi, però il Napoli ha sempre agito in base al momento che viveva. Alla dimensione che aveva.

Walter Mazzarri fu preso dopo il deludente Roberto Donadoni ed era perfetto per quel Napoli. Per rafforzare il concetto, basterebbe vedere la carriera del tecnico di San Vincenzo dopo quel ciclo (incredibilmente tornato per pochi mesi l'anno appena trascorso). Così come quella di Maurizio Sarri per il post Rafa Benitez, che fu accolta come una sorta di ridimensionamento dopo l'internazionalizzazione dello spagnolo.

O quella più importante, cioè Luciano Spalletti che era perfetto per la dimensione del Napoli del post Ancelotti/Gattuso. Il Napoli ha saputo quasi sempre adattarsi ai momenti, anche per quanto riguarda il mercato o la struttura societaria. La tanto bistrattata struttura societaria che comunque è salita sul tetto d’Italia e che, oltre questo storico risultato, è quella che ha fatto più punti di tutte in serie A negli ultimi 10 anni dopo la Juventus di Exor.

Il Napoli è diventato grande senza fare debiti

Il Napoli di Aurelio De Laurentiis è entrato tra le grandi. Ma è come fosse arrivato sfinito dopo la conquista del campionato. Così come i ciclisti dopo 10 tappe di fila in montagna. Dopo la vittoria, il Napoli ha finito un momento e ne ha iniziato un altro.

Ma l'anno scorso è stato letto male, o forse non è stato letto per niente. Forse è stato letto a metà stagione a dado tratto e si è aspettata la fine del campionato. Sta di fatto che oggi il club vive un nuovo momento.

Un altro momento della sua storia, che ha deciso di affrontare ingaggiando l'allenatore più pagato della serie A (anche con Benitez fu così), strutturare la società con figure che in altri momenti non sarebbero state mai prese in considerazione e anche per quanto riguarda il mercato sembra che ci sia un mix di esperienza e giovani talenti.

Il Napoli ha deciso così, avendo studiato bene il momento, anche e soprattutto economico, che vive. Dimostrazione evidente che si può vincere in tanti modi (eh si, si è vinto con Edoardo De Laurentiis come collante tra società e gruppo squadra perché con ogni probabilità in quel momento andava bene così), e che non c'è mai una ricetta vincente.

Soprattutto non esiste per chi si autofinanzia e deve necessariamente sempre fare di necessità virtù. Il Napoli è divenuto rispettabile, forte e vincente grazie alla lettura di momenti aziendali significativi. È l'unica strada per essere sempre competitivi.

L'altra strada sono debiti o ricapitalizzazioni senza fine di clossi finanziari e chi più ne ha più ne metta.

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