Spalletti ha perso le parole eppure ce le aveva, qua, un paio di mesi fa
Al peggio non c'è fine, trovare altre parole per provare a spiegare quanto stia accadendo in questi giorni richiede uno sforzo ai limiti del sovrannaturale. Fiumi di inchiostro virtuale versati a ciclo continuo e che alimentano una polemica che non avrebbe motivo di esistere, ma che nutre le aride coscienze degli italiani, perlomeno quelli refrattari al rispetto delle regole, convinti che l'arroganza del potere abbia sempre l'ultima parola e che bisogna sempre calare il capo di fronte alla volontà di pochi eletti.
Troviamo imbarazzante constatare che in tutta questa storia la FIGC e Spalletti appaiano come vittime, stretti nella morsa del tiranno De Laurentiis, la cui colpa sarebbe la richiesta del rispetto degli accordi. Accordi stipulati su carta bollata e vidimati, nel rispetto della legge, dai rispettivi legali e che avevano come unico scopo quello di tutelare gli interessi di una società, una tifoseria, chiamata oggi a sacrificarsi sull'altare della Patria non per un nobile fine, ma per l'inadeguatezza con cui il calcio italiano viene governato.
Tace Spalletti, chiuso nel ventre della sua masseria in Toscana, il luogo nel quale pochi mesi fa aveva dichiarato di volersi rifugiare, esausto da due stagioni che ne avevano logorato l'entusiasmo fino alla richiesta di un anno sabbatico. Tace perché consapevole di essersi legato le mani da solo o più semplicemente perché ormai delle sue parole non sappiamo più cosa farcene.
Sembrano lontani i tempi nei quali tesseva le lodi di Napoli e dei napoletani, quando segnava in maniera indelebile la sua pelle con i colori azzurri, ma era stanco. Sentiva il bisogno di tornare ad indossare gli stivali e dedicarsi alla campagna, lui uomo che nella vita poteva ritenersi un privilegiato e che “non ho bisogno di una mucca perché posso mangiare bistecca tutti i giorni”. Sembra passata una vita e invece tutto questo succedeva un paio di mesi fa, quando pur di venir meno ad un accordo che lui stesso aveva firmato, chiedeva ed otteneva di non essere più l'allenatore del Napoli, accettando un accordo che gli avrebbe permesso di tornare ad allenare in questa stagione solo di fronte al versamento di una penale o clausola, decidete voi.
Tutto nella norma direte, un proprietario di azienda e un professionista che siglano un accordo privato e senza alcun tipo di costrizione, ma siamo in Italia e in Italia gli accordi vengono sottoscritti per poi essere aggirati. E se sono blindati, perché chi li propone sa il fatto suo, allora si prova attraverso vie traverse ad eluderli, magari gettando fango o provando a smuovere l'opinione pubblica, ma sempre tralasciando il fatto che le uniche ragioni che spingono a farlo sono economiche, personali e che nulla hanno a che vedere con il bene collettivo.
Spalletti non è ostaggio di nessuno, è un uomo libero, talmente libero che può accordarsi in qualsiasi momento con la Federazione Italiana che gli propone il ruolo di CT. E può farlo pur avendo mancato ad un obbligo contrattuale col suo precedente club, nonostante abbia accampato scuse che oggi si rivelano false, nonostante abbia prima sedotto e poi abbandonato i tifosi napoletani. Effettivamente l'opportunità è ghiotta, raccogliere l'eredità di una nazionale che non si qualifica ai mondiali da due edizioni, ma pur sembra dal grande prestigio; non avere obblighi quotidiani e potersi così ritagliarsi spazio per se e la famiglia; avere il campo di allenamento e la sede a Coverciano e quindi a pochi chilometri da casa. E per farlo gli basta semplicemente prendere il cellulare, aprire l'home banking, controllare il lauto saldo e versare a mezzo bonifico quanto dovuto. A lui la scelta.
Ma a quanto pare, quando alle parole bisogna far corrispondere i fatti, la spocchia lascia il posto alla vanagloria e si pretende che siano gli altri a portare con se il peso della rinuncia. E lo stesso si può dire della FIGC, che a giugno, per bocca del suo presidente Gravina, definiva “ipotesi fantomatiche” le voci che volevano l'allora CT Mancini come prossimo allenatore del Napoli. Cosa si sarebbe detto se De Laurentiis avesse preteso che la Federazione liberasse il tecnico per farlo accomodare sulla panchina dei neo campioni d'Italia? E cosa si sarebbe detto di Mancini se avesse deciso di non rispettare il suo contratto?
A proposito di Mancini, voci in seno alla FIGC parlano di una possibile richiesta danni nei confronti del tecnico di Jesi, capite? La doppia morale di chi pretende che il Napoli non richieda il pagamento della clausola, ma poi non accetta le dimissioni e prova a trarne profitto.
Non sappiamo quale sarà il finale di questa ennesima figuraccia del presidente Gravina e non sappiamo se il Napoli pagherà sul campo questo gesto di sana e umana ribellione, ma crediamo che fino a quando la Federazione, l'organo che dovrebbe garantire il rispetto dei regolamenti e degli accordi, verrà meno a questo compito, tutelando esclusivamente se stessa e il brand di qualche squadra nota, mistificando la realtà e asserendo che opera per il bene di tutti, il calcio italiano continuerà a sprofondare nell'oblio. E quando ne saremo completamente inghiottiti a poco servirà il fascino di cui ancora oggi la serie A gode o il cuore con il quale chi veste la maglia azzurra della nazionale sopperisce a limiti tecnici e organizzativi di chi gestisce una delle principali industrie italiane come la friggitoria sotto casa. E quindi ci sentiamo solidali nei confronti di chi non accetta di svilire il proprio club chinando mestamente il capo perché “chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa”.