Panegirici di giustificazioni: chi ha l'arte e chi fa la parte
La stampa sportiva cavalca l'enigmatico modello di distanziamento dalla realtà dei fatti, quelli che valgono solo se millantati bene.
Nelle stagioni calcistiche il rendimento delle squadre, anche quelle di vertice, è spesso sinusoidale, soggetto alle fatiche, infortuni, tempi di recupero, circostanze, vicissitudini e talvolta alla mala sorte. Specificità dei periodi, che la giudiziosità della cronaca non sembra cogliere evidenziando marcate differenze tra le diverse compagini ricorrendo alla classica metrica dei due pesi e due misure nelle valutazioni che sbrandellano la deontologia giornalistica.
In quest'ottica la pedante narrativa bipartisan dei favori e sfavori arbitrali che condizionano prepotentemente l'andamento di una partita se non di una stagione, sono elemento di melina di una certa parte industrializzata di media sportivi e redazioni giornalistiche invisanti l'ambiente napoletano, mai avvezzo alla pronazione dell'opinione pubblica.
Troppo di sovente oramai assistiamo perplessi ad una demagogia filo milanese di giornalisti anche importanti e delle testate economicamente più influenti nello scenario editoriale dello stivale, volta a porre enfasi sulle dinamiche extra campo con un velato asservimento, quasi protervo, alle realtà del nord. Questa temperie mediatica ha assurto all'inverosimile in occasione del sentito scontro nei quarti di finale di coppa dei campioni tra Milan e Napoli.
Segnatamente a questo doppio incontro, il racconto delle sfortunate concause che hanno leggermente afflosciato il Napoli tra cui l'assenza di Osimhen che ha contraddistinto un crocevia della stagione azzurra - nel quale l'attaccante migliore del campionato ha saltato due partite importanti in Serie A e quella d'andata di Champions - non hanno destato particolare clamore negl'organi di stampa principali, intenti a focalizzarsi su che tipo di avversario ridimensionato avrebbe trovato il Milan.
I disastri inenarrabili dei direttori di gare Kovacs e Marciniak sono stati trattati come specchietto per le allodole, abiurando le ipotesi di maldestro indirizzamento delle partite, in un coagulo di opinioni che non hanno reso equa testimonianza di quanto accaduto e ripreso da plurimi giudizi discordanti a riguardo di episodi ultra decisivi, quali l'espulsione di Anguissa all'andata e rigore solare non concesso a Lozano al ritorno.
Una forma, ormai canonizzata, di genere noir della disamina arbitrale che passa al setaccio le diapositive fresche di artifizio tecnologico, prima di oscurare gli episodi fino a derubricarli in facezie cronachistiche della partita. Vuol si rappresentare una pittoresca immagine della squadra che ha ottenuto il risultato migliore, come manifesta superiorità, mai esibita, dinanzi al Napoli in tal caso.
Non riscontrabile eguale evidenza, sulle ostensioni di infaustità dello stesso Milan nella semifinale di Champions League contro i cugini dell'Inter, che tanti ricami ha tessuto a distanza da vent'anni dall'ultima Milano da bere europea, in cui l'allenatore Pioli, corroborato dal capitano Calabria, ha rimarcato episodi unanimemente sancibili come non determinanti ai fini del risultato, sbandierati agli onori della cronaca come imprescindibili nel racconto della partita e soprattutto del post partita. Lapalissiano il differenziale di giudizio, specie di giornali con sede giudiziaria al nord Italia, che rimarcano dichiarazioni sconvenienti e propagandano una contro esposizione dei fatti, acclarati a tutti gli appassionati di calcio.
Ipse dixit per vicende ancor più ispide e ingolfanti la macchina del calcio, quali i quattro gravissimi capi d'imputazione della Juventus all'uopo rinviata a giudizio da mesi e sospesa sul limbo della propensione a sopravvivere di gloria nefasta; sulle cessioni di rami d'azienda verso capitali incognita della Sampdoria, del Bologna, del Venezia senza una limpida gestione economico-finanziaria; l'indebitamento mostre dell'Internazionale F.c. che in un autentico sistema plutocratico non potrebbe iscriversi ai campionati e alle coppe; all'eradicazione dal calcio del Chievo per reati sportivi che si continuano a perpetrare nei palazzi amministrativi; alla Reggina penalizzata impunemente senza motivazioni probatorie; alla Lazio che sta ancora estinguendo, grazie all'inesistente e non retroattivo Lodo Petrucci spalmadebiti, le macerie dello scivolo pre-curatela fallimentare; della Roma che è stata salvata dalla compromissione di una banca italiana con credito straniero o ancora del Milan che per tre anni è stato amministrato occultamente da un fondo con cash-flow finanziari fantasma.
E' bene noto alle trade union di garanzia di calcio che il sistema è vagamente offeso nelle sue ramificazioni governative e con una struttura fracida anche di proposta comunicativa che predilige la vendita del prodotto all'estero scendendo a compromessi, piuttosto che risanare le crepe ataviche che ne sviliscono la sottesa regolarità.
Davvero antipatico, ma inevitabile, assumere posizioni despote contro il sistema mediatico ed editoriale, che fatica a premiare univocamente il Napoli come club esemplare e modello ispirazionale per tutte le altre società, ma è la congrua constatazione di acrobazie giornalistiche che con colpi di spugna nelle sintesi e nelle opinioni, accreditano spessissimo titoli e onori ai club che afferiscono al proprio bacino di utenza del buon vicinato, per imbonirsi quella parte di lettori e ascoltatori che resteranno sempre dallo stesso lato esimendosi dal dettare le leggi non scritte della vera informazione e della verità.
Un'arte del giornalismo che non appartiene più al mondo artefatto dei media, delle televisioni, delle radio degli stessi gruppi editoriali e dei giornali, volutamente schiavi di una passione per l'inessenziale, seppure visibile agl'occhi. Neanche uno scudetto del Napoli fin troppo meritato sembra poter destruire la scempiagine del faziosismo che si confonde un po' con la mimesi del presente.