All’indomani della sentenza in primo e secondo grado della Procura Federale della FIGC, che ha visto la Juventus - rea di aver messo su una rete attraverso la quale trarre profitto mediante l’utilizzo scriteriato delle plusvalenze, essere penalizzata di ben 15 punti con effetto immediato - si è scatenato il putiferio sui social, in tv, nelle radio e sui giornali.

Da Torino e da tutti i media affini alla società bianconera, si è levato fortissimo il coro al suono di ingiustizia. Proprio loro che, prima del processo, chiedevano giustizialismo in attesa dei verdetti. Verdetti che, una volta arrivati, si sono trasformati in complotti derivanti dal tifo. Come se la giustizia, se un procuratore federale col compito di vigilare, e preservare, la lealtà sportiva, e non solo, si facesse influenzare dal tifo per espletare il proprio lavoro.

Uno tsunami di ignoranza

Quello al quale stiamo assistendo è un vero e proprio tsunami di ignoranza, di cieca fedeltà al di là di ogni ragionevole dubbio, di una cultura del sospetto tipica di chi ha coscienza marcia e cerca in tutti i modi, leciti e illeciti, di scaricare il barile delle proprie colpe su una passerella di calunnie e cattivi pensieri. Una pletora pietosa fatta di fenomeni da tastiera e, peggio ancora, da professionisti che in nome dello share e del consenso di un’ampia fetta di pubblico fa di tutto per aizzare ancora di più quest’ondata di ignoranza al di sopra della quale svolazzano come avvoltoi, in attesa che la stessa travolga tutto e lasci le macerie e i corpi tramite i quali saziarsi.

E bando all’onestà, alla verità, al motivo principale per il quale si sceglie di fare questo mestiere. Oramai raccontare la verità, cercare di indottrinarla anche al tifoso più inferocito e cieco, non conta più. Bisogna cavalcare lo tsunami in nome dello share, delle copie vendute, dei clic, dei follower. Si lotta disperatamente contro le ovvietà per poterle piegare, rigirare, sobillando all’ affamato di notizie in merito tutto e il contrario di tutto. Ciò che conta è quanto si voglia ascoltare e ritenere giusto, non ciò che è giusto in sé.

Liberateci dal male

Disdite pure i contratti con le pay tv. Chiedete a gran voce di disiscrivere la Juventus dal campionato. Andatevene altrove, voi e la vostra patetica cultura del sospetto che vi mette al di sopra di un magistrato come Giuseppe Chinè o di una eccellenza nel ramo dell’avvocatura sportiva come Mattia Grassani, che sicuramente avrà provato imbarazzo per la pochezza mostrata da Allegri nel post Juventus-Atalanta circa la sua discussione sul colore della cravatta indossata. Liberateci dal male della vostra ignoranza.

Ma si, d’altronde è meglio pendere dalle penne di giornali o dalle voci di tv in cerca di consensi anziché dal Codice di Giustizia Sportivo. Basterebbe sfogliarlo, per accorgersi dell’inevitabilità di quanto accaduto. Basterebbe ancora più poco: aprire un articolo - di siti o giornali liberi - e leggerne il contenuto, senza limitarsi al titolo. Basterebbe guardare al di là del proprio naso e togliersi il prosciutto dagli occhi. Basterebbe veramente poco, per vergognarsi e non riversare la propria frustrazione in ogni carattere a disposizione su Twitter o Facebook.

Quando una self news diventa una fake news

Il termine self news non esiste: l’ho appena coniato. Per self news intendo dare la propria versione della verità. E fin qui, non ci sarebbe nulla di sbagliato poiché la verità non è mai una, ma dipende sempre dal punto di vista di chi osserva. Questo concetto, però, non lo si può applicare per circostanze oggettive. Una self news, quindi, è una opinione - quindi un parere soggettivo - spacciata per verità - quindi oggettiva.

Al giorno d’oggi, le self news sono diventate fake news. Spesso e volentieri, anche chi non capisce un argomento (o fa finta di non capirlo pur di cavalcare l’onda, ndr) si sente in obbligo di dare la propria versione, sovente in contrasto con quanto chiaramente descritto da regolamenti, leggi o manuali. Perché sì, l’importante è trovare consensi con la propria opinione, mica diffondere la verità.

La goal line technology è esemplificativa per questo: niente più pareri soggettivi (“per me è dentro”, “per me è fuori”), ma solo un riscontro puramente oggettivo (“dentro”, “non dentro”). E così funziona anche per tutto ciò che è regolamentato.

La plusvalenza, di per sé, non è reato. Non lo è proprio perché non regolamentata. È reato, invece, mettere in piedi una vera e propria rete di amicizie e collaborazioni attraverso la quale mettere in atto plusvalenze, il cui risultato è l’alterazione della propria situazione economica e, quindi, alterare un campionato e venire meno al principio di lealtà sportiva. Ed è per questo che la Juventus, per ora, si è beccata 15 punti di penalizzazione: per essere venuta meno al principio di lealtà sportiva, non per le plusvalenze che, bisogna ribadire, non sono il problema ma solo il mezzo attraverso il quale si sono alternati interi campionati.

Una corretta comunicazione

Che un tifoso si imbestialisca dopo la sentenza, rientra nella naturale logicità delle cose. Che lo faccia un giornalista o un cronista, il cui compito sarebbe quello di riportare la verità in maniera quanto più asettica e obiettiva possibile, diffondendo quindi fake news e influenzando e inasprendo ancora di più il pensiero del tifoso, va contro ogni deontologia professionale, etica, onestà intellettuale.

Possibile che, all’alba del 2023, non si possa avere una informazione sportiva corretta? Possibile che questo ramo del giornalismo debba sempre essere visto come la Serie C della professione?

La risposta è semplice: mai.

Noi però, nel nostro piccolo, ci proveremo sempre e comunque.

Fino alla fine.