Il diritto a non essere garantisti ce lo siamo guadagnati sul campo. Dopo anni di esultanze negate. Dopo anni di fegati corrosi dalla rabbia di non veder riconosciuto il sacrosanto diritto di competere con lealtà. Non siamo mai stati rappresentati da un sistema che punta a salvare i propri interessi e non a difendere le sentenze. Non vediamo, dunque, la necessità di garantire la presunzione d'innocenza.

Tempi maledettamente oscuri

Tempi bui. Tempi maledettamente oscuri. Per la Juventus. Gli appassionati viaggiano alla media di un paio di dettagli sconcertanti al giorno. Nessuna ricostruzione dei fatti, ma trascrizioni di intercettazioni telefoniche e ambientali che non lasciano spazio a dubbi. La verità arriva dalla viva voce dei diretti interessati. Non ci sono zone d'ombra, tutto è tremendamente illuminato dai sentimenti contrastanti dei dirigenti bianconeri. Ce lo raccontano in maniera goliardica, spavalda, preoccupata. C'è chi torna a casa e ha i conati di vomito pensando al casino a cui assiste durante la giornata, c'è chi in trance agonistica organizza e autorizza operazioni milionarie che minimizzeremo definendole audaci. C'è chi fa il direttore sportivo anche per altre squadre, a suo dire da sempre. C'è chi si preoccupa di tenere nascosta la merda che c'è sotto. Ci sono delle vere e proprie dichiarazioni di colpevolezza, suffragate da fatti altrettanto chiari. In più ogni singola intercettazione è perfettamente collocabile nel tempo rispetto a fatti accaduti. Siamo stati tutti spettatori degli ultimi anni del calcio italiano e per tutto il tempo ci siamo detti quello che oggi scopriamo dalle intercettazioni.

In Italia può accadere di tutto, figuriamoci. Magari domani qualcuno ci spiegherà che Paratici stava organizzando la squadra del Fantacalcio e non la campagna acquisti della Juventus, oppure che la macchina ingolfata a cui fa riferimento Agnelli parlando con il cugino Elkann fosse la Fiat Duna lasciata da tempo in garage. O che Cherubini avesse i conati perché durante le cene aziendali, Arrivabene era in fissa con il sushi. Siamo garantisti fino a prova contraria. Come no.

Nessun tribunale restituirà le emozioni perse

Mentre la giostra delle intercettazioni gira all'impazzata, il mondo Juventus si aggrappa al garantismo. O nella peggiore delle ipotesi, nel tentativo di difendersi, utilizza a proprio piacimento parallelismi di altre questioni che o sono già state risolte o che comunque nulla hanno a vedere con quanto emerge dall'indagine in corso.

Il garantismo è una bella parola, ma da sola non basta. Lo diciamo meglio: non può essere invocato solo nel tentativo di guadagnare tempo. Anche perché poi le sentenze andrebbero rispettate. Altrimenti alle vittime resta un loop eterno di insoddisfazione e sono costrette a barcamenarsi tra il periodo del garantismo e quello dei ricorsi.

Come accaduto ai tempi di Calciopoli che ha revocato due Scudetti, radiato Moggi e soci e spedito in B la Vecchia Signora. Non vorremmo sbagliare, ma non sembra che quella sentenza sia stata poi accettata dal popolo bianconero, visto che siamo a più di trenta ricorsi non ammessi in 15 anni, e visto che continuano a esporre un numero di scudetti maggiore a quelli assegnati dalla federazione a cui fanno parte. Federazione che mai si è opposta a tale irriverenza.

Quindi perdonateci, ma anche no. In assenza di regole morali è giusto che il popolo tragga le sue conclusioni e lo faccia nei modi e nei tempi che reputa opportuni.

Concedeteci l'inversione dell'onere della prova. Anzi, poco importa che ce la concediate o meno. La prendiamo da soli. Così come la gestione Agnelli ha preso con arroganza le nostre emozioni.

Nessuno Scudetto revocato e riassegnato ci ritornerà indietro l'estemporaneità della gioia negata. L'idea di festeggiare un titolo a tavolino è la negazione dello sport, almeno per come lo intendiamo dalle nostre parti. Nessuno ci potrà restituire quella sensazione di essere Campioni d'Italia, in quel dato momento, a margine di una delle stagioni più esaltanti della nostra storia. Garantisti sì, ma fessi no.