Vi è mai capitato in rete di imbattervi in quelle liste dal sapore nostalgico, composte dagli oggetti che hanno spopolato nei decenni passati ma che adesso risulterebbero tremendamente anacronistici? Se prendiamo come esempio i nostalgici anni '80 la sequenza sarebbe lunghissima: dal gettone telefonico al Game Boy, passando per lo Zaino Invicta o le Crystal ball. Ecco, se ci concentrassimo sugli ultimi vent’anni del XX secolo, un oggetto che occuperebbe i primi posti delle classifiche vintage sarebbe sicuramente il videoregistratore.

Il videoregistratore è stato l’anello di congiunzione del mezzo televisivo tra la prima epoca analogica e quella attuale. Eh sì, perché per la TV possiamo distinguere tre periodi precisi: il primo, quando i programmi a disposizione erano pochi, i canali ancora meno, e la scelta quindi era praticamente obbligata. L'ultimo è quello odierno, dove ormai lo streaming è padrone assoluto e abbiamo a disposizione migliaia di programmi, film, show, da poter visionare in qualsiasi momento desideriamo, a seconda dei nostri impegni quotidiani. Se prima dovevamo conciliare i nostri impegni in modo da sedere davanti alla televisione alle 20:40 per il film in prima visione, adesso la TV è diventata un fido servitore che asseconda le nostre preferenze.

Il videoregistratore è stato però prezioso per chi ha vissuto l'Era di Mezzo – quella appunto a cavallo degli anni '80 e '90 – dove l’offerta non era più così scarna come nei primi decenni dall’avvento della televisione ma nemmeno ipercalorica come quella attuale. E allora, per poter godere appieno della varietà di offerta, un programma lo si guardava in diretta, mentre l'altro lo si registrava. Dove? Sulle videocassette da 180 o 240 minuti di durata. Altri oggetti cult.

In particolare a Natale, con più tempo libero a disposizione e con una maggiore proposta televisiva dovuta al periodo festivo, in casa mia l’uso del videoregistratore diventava d’obbligo. Quasi sempre si finiva con l’assecondare mio padre per le dirette e quindi il sottoscritto poteva scegliere cosa registrare. E, manco a dirlo, a Natale era il periodo dei lungometraggi Disney (sì, vabbè, anche di “Una Poltrona per Due”), ma fra tutti il mio preferito era uno: Robin Hood.

Togliere ai ricchi per dare ai poveri

Ve lo ricorderete certamente: una volpe dal cappello verde, aiutata dal fido amico Little John (un orso bruno) che lottava contro lo spietato Principe Giovanni, un leone usurpatore della Corona ed oppressore della Contea di Nottingham.

Robin Hood mi piaceva perché era furbo, abile con l’arco, generoso e anche perché aveva un piccolo sapore di proibito. Eh sì, perché, in fondo, Robin Hood era un ladro. Armato delle migliori intenzioni, certo, rubava ai ricchi per dare ai poveri, ma era pur sempre un ladro. Questo aspetto, agli occhi del me bambino, gli conferiva ancora maggior fascino perché mi insegnava che a volte il confine tra giusto e sbagliato poteva essere molto sottile. A volte.

Quindi, con i miei pensieri fanciulleschi, pensavo: ok, sta rubando, ma lo fa per una giusta causa. Forse non è nemmeno proprio rubare, diciamo che sta sottraendo dei beni a chi ne ha tanti, troppi, ottenuti chissà come, e li redistribuisce a chi invece non ne ha.

Redistribuzione era un concetto che, seppur senza saperlo perché il mio lessico era ancora elementare, avevo in qualche modo assimilato.

Adesso, immaginate di vedere un film diverso: una pellicola in cui il personaggio principale, anziché togliere risorse a chi ne ha troppe per darle a chi ne ha poche, fa esattamente l’inverso. Cosa avreste pensato? Suppongo qualcosa del tipo: Ehi, un momento, ma questo non sarebbe giusto! E difatti, nel cartone di Disney, non era Robin Hood a commettere un'azione del genere, ma lo sceriffo di Nottingham: il cattivo. Un lupo.

Questo, con un piccolo volo pindarico, è esattamente ciò che sta accadendo in questi giorni in Italia, dove è stato deciso di togliere le risorse destinate ai giovani previste tramite il cosiddetto bonus cultura (la #18App), per assegnarle a chi? Ad alcune classi indigenti? Alla Sanità? Nossignore. Ai poveri, miseri, tartassati, presidenti di Serie A che adesso potranno restituire i soldi che devono – e sottolineo devono, perché in passato non hanno pagato le tasse dovute – al Fisco italiano. Magari con tutta calma, in comode 60 rate mensili da qui fino al 2027.

Attenzione, stai forse dicendo che sono ladri? Ma no, non è mica un furto. Si chiama redistribuzione.

I tanti Re fasulli del calcio italiano

Ha perfettamente senso, del resto siamo sotto Natale, si è tutti più buoni ed è giusto permettere ai poveri Zhang & compagnia cantante (abbiamo scelto il giovane rampollo cinese perché è sua la cifra più alta da dare allo Stato: circa 50 Milioni di euro) di avere un minimo di ristoro, dopo tutto il lustro dato al calcio italiano.

Lo hanno chiamato “emendamento Salva Calcio”. È sempre la stessa storia: lasciar credere che si stia operando per il bene del Calcio, quello con la C maiuscola che ogni tifoso segue ed ama, quando in realtà si sta rendendo un servigio agli attori non protagonisti del Sistema calcio italiano: gli agiati proprietari e dirigenti vari che siedono comodamente dietro le scrivanie o che cenano in ristoranti extra lussuosi. Senza saldarne il conto, probabilmente, dati i conti fallimentari.

E quindi, eccoci qui, non più bimbi, ma giovani adulti, o addirittura anziani, a vedere sotto Natale un film che di disneyano non ha molto, perché abbiamo uno o più sceriffi di Nottingham che, per tornaconto personale o per aiutare i tanti Giovanni Senza Terra che popolano il nostro calcio, hanno deciso di redistribuire (loro, che sono bravi in aritmetica, questo verbo lo hanno imparato bene) le ricchezze. Dai Giovani ai Giovanni, redistribuzione (anzi, aggiunta) anche di lettere, in una coerenza tutta loro.

E ricordiamolo: lo fanno per salvare il calcio italiano – sarà questo il loro slogan, lo hanno già usato per un’altra questione recente del resto – che, altrimenti, non avrebbe futuro.

Lo faranno senza pudore né imbarazzo verso i giovani – il target di riferimento del calcio moderno, dicono – di tutte le estrazioni sociali, e soprattutto dimenticando una lezione del vecchio filosofo tedesco Hans Georg Gadamer, il quale, in barba all’aritmetica e alla redistribuzione, ricordava che l’unico bene dell’umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande, è la Cultura.

Ma loro Gadamer non lo conoscono, perché della Cultura, evidentemente, non hanno mai avuto bisogno. Tanto c'è il calcio. Con la c minuscola.


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