"Wallah fratello mio, solo un minuto: io sono felice anche se non vedo famiglia. Tutto può essere famiglia: amico, ragazza, squadra di calcio, criceto."

Mustafà, 15 aprile 2024. Firenze, Piazza del Duomo.

Visitare per la prima volta una città come Firenze significa scendere a patti con sé stessi, prepararsi alle meraviglie senza tempo che ti si presenteranno è quasi un atto di tracotanza. Farlo in gita scolastica è forse lo scenario ideale per una prima volta così imperiosa.

Avete mai pensato a quante persone avete incontrato? E quante invece le avete incontrate realmente?

Certo, ad incrociare le persone son bravi proprio tutti. Come anche a trovarsi di fronte a qualcosa solo per il gusto di fotografarla. Tu riponi lo sguardo, lui guarda te e tanti saluti, le rette incidentali al millesimo dei vostri destini prendono la loro strada senza mai domandarsi in quale punto si intersechino.

Sta diventando anche un atto di coraggio guardare le persone. Questa è la piega distopica che sta prendendo il mondo perché uno sguardo, anche se in buona fede, può farti rimediare un bossolo, una coltellata, o giù di lì.

Tuttavia, c'assicurano che il problema di questo paese sia carta conosciuta: mannaggia a Mustafà, che a venticinque anni s'è fatto il deserto scalzo lasciando moglie e figli a casa anche se in Senegal le cose pare andassero bene, tanto che adesso si concede pure il gusto di girovagare per Firenze a vendere bracciali con i simboli della sua ricca terra. Poi prende un pallone, giochicchia con dei ragazzi di passaggio ed è così bravo che si sente esclamare: "È bravo, potrebbe fare il provino all'Udinese!"

Mustafà, quel criminale, coglie l'ironia e ride di gusto: “Ci credo, a fare la bella vita...”

Sono attimi infiniti, quelli. E non finiscono mai, neanche quando c'è da salutarsi per sempre.

Quel mascalzone che adesso aveva finito i braccialetti e magari sarebbe riuscito a mangiare e mandare qualcosina a casa, alla moglie di cui parlava con gli occhi lucidi, era per davvero colpevole.

Ci aveva riportati tutti ai sorrisi veri, quelli con gli occhi chiusi. Alla conoscenza, non all'incrocio.

Alla realtà, non alla connivenza.

Era un sogno e ci stiamo svegliando

"Deve scalare Gatti in quella zona, arriva anche Chiesa..."

Pierluigi Pardo, Juventus-Napoli 2022-2023, minuto 92:20. 23 aprile 2023.

Il tempo della coscienza è fatto di istanti unici. Ah, a proposito, questo non lo dico io, lo dice Henri Bergson.

E magari sarebbe stato più adeguato citarlo nell'introduzione del paragrafo.

Se vi chiedessi di raccontarvi un ordinario giorno della vostra vita straordinariamente normale quanto valore dareste alle vostre parole?

Ve lo dico io: poco, pochissimo. Ma ci sono minuti, attimi, talvolta secondi, nati per non tornare. O che magari torneranno anche, ma solo quando ne saremo pienamente meritevoli. Ed io no, non reputo di meritare i brividi che mettono a nudo le mie emozioni, ogni volta come quel giorno, anche solo nel sentire il brusio dello stadio precedente alla secca e analitica disamina sopracitata di Pierluigi Pardo.

Zielinski imbuca finissimo, come solo lui sa fare. E la dolcezza dell'attimo strizza l'occhio al tonfo del divano che ora è glabro d'umani, al pavimento subissato dai corpi in ginocchio.

Osimhen sciupa malamente, ma a nessuno passò per l'anticamera del cervello di alzarsi. Sarebbe stata questione di attimi: la bellezza trova sempre complemento e fine d'artista. Diventa un debito con l'universo da sanare immediatamente. E, ahinoi, abbiamo scoperto cosa succede se non le dai continuità e valore.

La palla arriva ad Elmas che pennella scolastico, il tempo diventa anello di congiunzione interdimensionale con presa diretta sull'iperuranio.

Lì doveva esserci Cuadrado, ma il calciatore bianconero è ancora in preda ai deliri d'una simulazione di routine. Se esiste un Dio, ha uno spiccato senso dell'umorismo.

C'è Raspadori solissimo, però. E in batter d'occhio trema la terra.

Zielinski è a terra, stremato dal carico emotivo di un'avventura infinita.

E fu subito malinconia, malinconia per un istante che, sin da subito, parve destinato ad acquistare tutto il suo valore solo nel momento in cui sarebbe diventato un ricordo.

E a voi questo pare solo un minuto?

Era davvero solo un minuto?

La sensazione di dover cogliere ogni secondo di ciò che era, di ciò che sarebbe stato dopo la rete di Raspadori, apparve sin da subito evidente. Era già storia e non ce ne rendevamo conto, perché la storia in certi momenti sembra solo carta straccia, come quei giornalacci che marciavano sull'ansia di chi sapeva cosa si provasse a vedersi privati d'un sogno da un giorno all'altro.

Io gl'incroci di quei giorni li ricordo tutti. Ricordo tutte le persone che ho stretto forte ebbro di felicità per strada, perché se siamo un granello di sabbia su questo pianeta tanto vale lasciare un segno. Ed oggi che il Tricolore non m'appartiene, non v'appartiene, non c'appartiene più e chissà per quanto non c'apparterrà, guardo gli altri festeggiare e mi domando se abbiamo alzato lo stesso trofeo.

Perché io, per strada e in mezzo a centinaia di persone, mi son sentito in famiglia, come diceva Mustafà. Avvolto dal caldo tepore dei fumogeni e accomunati più che dai colori, dalle lacrime. Perché chi crede nella stessa causa, chi ama, piange le stesse lacrime.

A voi, che ho abbracciato alla rinfusa a partire dal 23 aprile e che siete tuttora sullo sfondo del mio telefono: vi amo tutti, siete parte di me.

Siete parte della storia più bella della mia vita.