Il Napoli contro il Monza del bravo Palladino, si profonde in una partita di grossa volizione e impegno, adoperandosi con caparbietà per presentarsi al capodanno con rinnovati propositi per il 2024. Ma purtroppo i tanti goal sbagliati tarpano definitivamente le ali degli azzurri.

La negatività con cui l'anno più bello di tutti per la vittoria dello scudetto chiosa con ogni desiderio di riscossa, è l'ago della bilancia di sei mesi da incubo, che nel nuovo anno porteranno inevitabilmente a cambiamenti significativi nella squadra, cascata dal successo al fallimento senza passare dal via.

Di seguito le letture dei significati che l'ultima partita dell'anno solare ci lascia in eredità:

  1. ADL SILURA SE STESSO

Onesto, quasi perentorio, come come i guru a cui la realtà impone d’esserlo, algido come una qualunque sera d'inverno e genuino come le cose sincere; così il presidente De Laurentiis a margine della tronfia passerella di fine anno al Maradona contro il Monza lapidariamente inchioda la stampa dinanzi al proprio “Mea Culpa”, presagendo un flusso di coscienza iniziato mesi or sono, ciondolante sull'elaborazione di un nuovo futuro per il Napoli vittima del fallimento d’intenti del suo stesso fautore, che negl’anni ha spesso perso la fiducia dei propri subordinati.

Eppure senza riluttanze sui modi o ritrosie ideologiche sulla gestione imprenditoriale, se le gravi responsabilità dell’accaduto in primis dal presidente sono state assunte con ferrea coscienza, l’agone nel quale i calciatori sistematicamente imperversano è certamente conseguenza di un livello non più adeguato di molti di loro, in cui tanti circuiti sono sconnessi, sin da quando il nuovo inizio propagandato con from Napoli to the world nel mese di luglio si è rivelato essere un precipizio.

Ma il pugno stretto sul timone della società è un segnale acutissimo, che stride con chi gli attribuisce l’insipienza delle scelte e dei ragionamenti, ed al presidente, dall'intelligenza a tratti sopraffina, sta ora reimparare, anche a settant’anni, che dagli errori possono nascere nuovi splendori e come noto "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior"

  1. RINFORZO DIFENSIVO FRAGILE 

La gara col Monza ci dice tanto in termini di solidità riconquistata, perchè la squadra ha subito poco ed ha avuto un exg superiore al 2.5 rispetto allo 1.6 del Monza che ha tirato appena due volte in porta, di cui una sul rigore sbagliato da Pessina.

Certamente gli uomini di Palladino, Mugnanese trapiantato al nord, sul finale di gara si sono fatti più intensi, sfogando maggiormente in contropiede ma nel complesso il Napoli ha tenuto a bada una squadra che si fregia del vanto di avere una fase offensiva molto prolifica; invero, per quanto la difesa a quattro assoldata in blocco con tutti i rimanenti da parte di Mazzarri per non sbilanciarsi in contropiede, non abbia destato eloquenti preoccupazioni, conferma il vizio attitudinale di soccombere all'avversario in momenti strategici delle partite, cioè quando si ha il predominio del campo e va tenuto botta sui capovolgimenti di fronte senza scoprirsi. In particolare proprio l'episodio del rigore nasce da una situazione in cui il Napoli era in controllo e perdendo la sfera, l'allarme ha mandato in confusione gl’uomini preposti a difendere.

La fase di difesa, a tratti maldestra, aggiunge avvicendamenti poco oculati tra compagni di reparto, spesso disequilibranti quando va fatta un'uscita dal basso in più rapida sequenza di tocchi, si evincono distanziamenti tra i reparti e una configurazione a tre di cartapesta, indice che Mazzarri forse ha finto in tutti i modi di abdicare, ma contro le squadre con catene esterne forti, tra le pieghe dei tempi di gioco è facile scorgere il terzetto stretto in area con Di Lorenzo a fare da jolly.

Il presupposto per poter difendere in avanzamento, è una criticità che fuor di luogo va risolta con nuovi innesti di mercato che non debbano resettare ciò che è stato fatto o variare ciò che va riapplicato con altre caratteristiche, ma apportare un nuovo contributo nel modo di difendere alti.

  1. LA FARFALLA TORNATA BRUCO

 Il Napoli vincente di Spalletti fa parte di una pièce letteraria in senso sportivo molto fastosa, quello di Garcia ha cercato di esprimere messaggi grossolanamente depotenziati, rabbuiandosi nei propri esasperanti limiti e questo di Mazzarri al netto delle dovute attenuanti, sembra un saltatore in alto che si sfibra per raggiungere l'altezza fissata in passato e che reiteratamente non riesce a andarci neanche vicino.

Questa è la squadra che ha molta più voglia di vincere di quanto sappia come fare e sul finire di 2023 ha anche perso il piacere di giocare a calcio perché schiava del risultato.

Da quell'eterna primavera di Maggio, la farfalla che sprigionava il dono della leggera bellezza, oggi è rabbiosamente in letargo sotto la stratificata bruttezza della crisi e di una classifica simile a quella del primo anno di Serie A.

  1. LA PRIGIONIA DELLE MARCATURE SU KVARA

Kvaratskhelia è diventato, incredibilmente, un giocatore prevedibile, non è più incontenibile, sembra aver normalizzato la soluzione di continuità del suo repertorio tecnico, frullando spesso i toni alti delle sue giocate con quelli grevi delle proteste contro gli arbitri, rei di chiudere sempre un occhio sulle martoriazioni del talento georgiano.

È infatti ormai un cliché diffuso da parte dei difensori avvinghiarsi letteralmente alle spalle e alle terga di Kvara, fin quasi ad ancorarlo al suolo; un modo placcante, wrestlinghiano, d’adottare una marcatura sul giocatore di maggior sfogo offensivo del Napoli, inibendone le scelte, portandolo quasi a un’esplosione di nervi.

Kvara oggi, vive da svariate settimane la situazione oppressiva di sbagliare gol abbastanza facili che ne acuiscono il malumore, ma nei suoi confronti non vige tutela arbitrale alcuna, e se è vero che ogn’errore ha una propria scure da sorreggere, quella di Kvaratskhelia non può essere il corpo degl’avversari.

  1. UN ANNO SENZA EPILOGO

L'anno dello scudetto per Napoli è stato uno dei più belli della sua storia quasi centenaria, per quanto la linea di confine del calendario gregoriano ce lo porti via, è sempre fuori d'ogni adombrante valutazione dire che dove può esserci un massimo deve inevitabilmente sussistere anche un minimo; le forti calamità avverse che il Napoli si è attirato e con le quali sta progredendo nell'inverno partenopeo, sono la giusta metafora del successo e dell'insuccesso che l'uomo può avere.

Ma se aver vinto lo scudetto poteva far presagire un cambiamento in positivo o un miglioramento, quantomeno non facilmente esautorabile di lì a poco, ciò che sconcerta oltre ogni ragionevole giudizio è che ad oggi il Napoli chiude l'anno solare con il presupposto della ‘rifondazione’, tra contratti non sistemati illo-tempore, l'umore basso per lo scarso minutaggio dei meno titolari, un capitombolo tecnico e di risultati ammantato dal cumulo di polemiche fomentate dagli strascichi dello scudetto pieno di bellezza e fascino, di cui restano davvero solo brandelli di tricolore.

  1. IL SOGNO NEL CUORE: UN'EMOTIVITÀ DISFUNZIONALE

L'esperienza del reale suffragata dal passato detta i ritmi dei moti interiori, ma mal bilancia la forza emozionale con quella rettiliana, che priva del lucido e compito giudizio il pensiero critico, specie quello dei tifosi.

La parabola flessiva del Napoli era iniziata già dallo scorso campionato, nello specifico dalla sconfitta in casa contro il Milan e chiusa contro il Monza al Maradona - seppur con ben altre credenziali di quelle in cui perdere in maniera roboante una partita ininfluente per la classifica - ma non rovescia totalmente il contenuto del percorso.

Lo scudetto è servito a sacrificare il prima e il dopo del Napoli moderno, con memoria labile, verso un traguardo su cui si è stati perennemente protesi e forse per ottenerlo bisogna pagare uno scotto ben più grande di quelle che potessero essere premesse.

Con forzato raziocinio, la saggezza e il buon senso di chi si accanisce sul Napoli, avevano messo in guardia sulle innumerevoli spinosità dell’anno da vivere da campioni, e come nella cabala più spietata, la squadra inesperta e poco smaliziata, ci è cascata appieno, depauperando non poco il patrimonio tecnico.

Dimenticare è impossibile, ma adesso basta strumentalizzare il ricordo per giustificare l'attualità non all'altezza del passato recente.

  1. MAZZARRI IL NAPOLETANO

Con la ferocia di chi sa di aver subito un torto e qualche globulo rosso ancora in transagonistica, Walter Mazzarri non lesina una reprimenda nei confronti della classe arbitrale mirando l'andazzo controverso che la squadra subisce di rimando.

Seppur concupiscente di qualcosa non andato nel verso giusto, i meriti prova ad attribuirseli ugualmente, ma stavolta senza badare ad un aspetto meramente autoreferenziale, se non altro tirando in ballo l'ambiente di cui è di nuovo parte integrante, annodando un cordone ombelicale srotolato per 10 anni un po' ovunque e di cui Mazzarri oggi è l'elemento di trade union al presente, che senza la sua pazienza e la sua abnegazione (forse anche senza la sua ripetitività) non si sentirebbe degnamente rappresentato.

Il carico pieno di responsabilità sul tecnico di San Vincenzo ormai napoletanizzatosi, con sommo coraggio e la chiarezza di idee co-assunte insieme al Presidente, malgrado un rullino di marcia abbastanza fallimentare, lo pone in una posizione solida perché è quella di chi per amore di una causa e del proprio mestiere si è rimesso in gioco con il concretissimo rischio di fare brutta figura e la consapevolezza che non c'è sconfitta nel cuore di chi lotta. Un mantra tipico di Napoli e la sua gente del resto, che da quando esiste il mondo provano a farsi largo tra potentati precostituiti.

Mazzarri mangia il panettone pur senza aver ricostruito nulla, ma tra le tante antinomie di significato di una stagione controversa rimane pur sempre l'allenatore interventista arrivato in un momento sbagliato e che in un altro tempo si sarebbe definito "adatto a lui".

  1. LA RICERCA DI UN CALCIO SCOMPARSO

Senza il coraggio delle proprie idee non si va da nessuna parte.

Il problema è che il Napoli le proprie idee di gioco, dai tempi più remoti, le ha sempre messe in pratica con un principio d'innovazione ed oggi quel principio sembra esser diventato un dogma che nessuno vuol mettere in discussione; quand'anche dipendesse dal modulo o da un modo di interpretare il calcio in maniera più efficace, la squadra che, con certezza asserita, sapeva ben giocare nel corto e nel lungo, variando l'assetto a gara in corso, creando linee di passaggio e traiettorie, perdendo ma non disunendosi facilmente, è oggi francamente irriconoscibile.

Esistono le epoche e ad ognuna i propri cicli, alcuni resistono poco, quello del Napoli sembra non esser durato neanche un eclissi totale, come un sole i cui raggi non splendono più di luce propria.

Ma così come resteranno negli almanacchi le grandi formazioni vincenti imbottite di campioni, anche il Napoli che i super top player non li dispone, avrà fatto letteratura sportiva per sempre disponibile in chi voglia affogare rabbia, delusioni ed angosce attuali in quella narrazione bellissima e affascinante iniziata proprio con Mazzarri, proseguita con Sarri e finita con Spalletti, ed anche se contro il Monza la squadra ha provato a simulare e dissimulare qualcosa di vicino a un calcio ideologico, la cartina tornasole è che quel calcio non è più nelle corde dei giocatori.

Tanto vale la pena cambiare, uomini o moduli, anche se pro-tempore in vista del nuovo corso nel 2024, e stabilire con quale buon proposito entrare nel nuovo anno.

  1. L'ANNUS HORRIBILIS: INFORTUNI DEI PORTIERI

Sembra sempre che la mala sorte si accanisca, quando ad irrogare il campo d’ostacoli ci si mette l’infingarda macumba della decimazione per infortuni.

Con Gollini ai box abbastanza di frequente per micro degenze, le assenze per squalifiche avulse, le privazioni spesso anche nei doppi ruoli, come nel caso Oliver-Rui e una miriade di stop di breve corso che privano la rosa della sua completezza, nel disanimo di speranze di fine anno arriva anche l'infortunio di Meret a partita in corso, che fa il pari e da seguito a quello, riscontrato nel riscaldamento, nella partita contro l’Empoli.

Uno scompenso quanto mai perentorio sulle traballanti certezze del reparto arretrato, che ha visto nel portiere Friulano un'incomoda certezza tra miracoli salva risultato intervallati ad errori nelle scelte. E quando anche l'ultimo baluardo viene fatto fuori, l'annata non può considerarsi fortunata.

Un nuovo portiere Napoletano, Nikita Contini, dopo anni d'assenza di rappresentati autoctoni nel ruolo, ha però saggiato il campo in una partita ufficiale molto importante, e forse questo è già un tassello non più mancate.

  1. L'ESPERIENZA SURREALE DEL PRESENTE GIÀ VECCHIO

La vittoria del 2023 ha inghiottito tutti, dirigenza, squadra e tifosi del Napoli in un mulinello di emozioni ingestibili, fagocitando ogni fenomenismo, e risputato l'ecosistema sportivo partenopeo in un calderone bollente che tutti gli avversari vogliono guastare.

La matrice del tifo resta la stessa ma cambiano gl’ideali e le prospettive. Vincere vuol diventare un abitudine. Sbloccare un obiettivo può voler dire avercelo come punto di partenza e non più d’arrivo, ma senza la storia che ti ricorda da dove vieni, è arduo rituffarsi nella catarsi della sofferenza.

Oggi la Napoli del calcio e tutta la sua gente sparsa per il mondo vive un momento di atavico sussulto, quella sofferenza e incapacità a primeggiare che negl’anni scorsi ha contraddistinto la caratura del club e il livello dei giocatori, anche di primo piano, che si sono alternati in maglia azzurra.

La recrudescenza del passato però non fa bene i conti con le casse floride a disposizione della dirigenza, di un brand (quello sì, comprato dalla curatela fallimentare) che se fosse quotato in borsa vivrebbe oscillazioni sinusoidali, di un management numeroso e di un popolo (unico reale portatore d’interessi) vicino alla squadra come poche altre volte.

De Laurentiis e la sua famiglia sanno che le transizioni politico-economiche ed ambientali su scala globale potrebbe sovvertire i canoni del Napoli e disarcionarlo dai vertici del calcio Italiano ed Europeo.

Ripensare al Napoli come creatura meravigliosa che vuole conquistare il mondo (anche attraverso la partecipazione al mondiale per club), ora diventata grande ma non ancora autonoma per camminare con le proprie gambe, è una delle esigibili soluzioni da adottare, per non avere il rimpianto tra qualche anno di essersi sentiti grandi prim'ancora d'aver terminato lo sviluppo.