Ieri sera, quando al Club di Sky Sport la redazione mercato ha esordito raccontando di un raffreddamento della pista Giuntoli - Juventus, s'è disvelato un gioco, orchestrato per filo e per segno nelle ultime settimane; cioè, che l'approdo sotto la Mole del d.s. toscano fosse cosa fatta soltanto per una campana.

L'accerchiamento è una tecnica che abbiamo imparato a conoscere bene; è uno dei momenti in cui la narrazione, in preda a sindromi di onnipotenza, prova ad influenzare quegli stessi fatti che dovrebbe limitarsi a raccontare. Provando a condizionare gli eventi, fino al punto da renderli inevitabili.

House of Cards, la serie che ha rivoluzionato il racconto della politica nel decennio scorso, ci ha insegnato esattamente questo; quando la posta in gioco si alza, quando un obiettivo strategico è difficilmente raggiungibile, chiama un giornalista e raccontagli che ciò che brami è in realtà già cosa fatta. Poi siediti sul fiume, aspetta la reazione, e vedrai le cose ricomporsi come nei migliori auspici.

Figurarsi se, nel bacato sistema dell'informazione sportiva, fatta di macro e micro cosmi di connivenze, veline, false notizie, ammiccamenti per ricevere esclusive e tutto ciò che qualifica modelli chiusi in ragione di consorterie di dubbia trasparenza, non si sarebbe dato sfoggio di ciò; d'altronde, il meccanismo è stato ampiamente utilizzato nel raccontare la vicenda della penalizzazione.

Con i media imbeccati settimane prima delle notizie sulla restituzione inevitabile dei punti, tralasciando poi che la penalizzazione ci sarebbe in ogni caso stata; così costruendo una cappa di aspettative ingiustificate, col duplice scopo di condizionare l'operato dei vari collegi giudicanti e, in ogni caso, di costruire la narrazione dell'ingiustizia.

D'altronde, quando le principali testate diventano nei fatti house organ di una casa madre caduta in disgrazia, dove coesistono altresì lotte intestine e scricchiolano tante poltrone, l'unica possibilità per non pensare al campo è la costruzione di un nemico comune, contro cui compattarsi.

Giuntoli è stato dato per D.S. della Juve troppo presto. Troppo presto perché, forse, alla fine ci riuscirà ad andare; e abbiamo già scritto che, per quanto qui si riconoscano i suoi grandi meriti, nessuno può e deve mettere in discussione un progetto sportivo come quello del Napoli di Aurelio De Laurentiis, ad oggi modello di successo sportivo e di imprenditorialità. Insomma, il Napoli è più grande di Giuntoli; come lo fu più di Sarri, come lo sarà più di Spalletti.

Ma di certo non ci andrà senza concessioni; perchè, al di là di gratitudine e stima, queste sono scelte di strategia aziendale che non possono essere sottovalutate, nè ignorate per quieto vivere.

Nell'organigramma snello del Napoli, il Direttore Sportivo è, insieme all'allenatore, il manager di riferimento della società per quanto attiene all'area sportiva; è il rappresentante del club, della proprietà cioè, nel centro sportivo. E' colui che ha la rappresentanza del club nelle trattative per l'acquisto e la cessione di calciatori; è colui che tratta i rinnovi, che ha l'ultima parola sul lavoro degli scout, che si interfaccia con lo staff medico, che gestisce i rapporti con i calciatori, che sovrintende a tutte le operazioni di campo. E', in pratica, il braccio operativo di De Laurentiis, il suo Ministro dell'Interno; infatti, insieme con Andrea Chiavelli, Amministratore Delegato del club, Giuntoli ha fatto parte del triumvirato che ha guidato il Napoli degli ultimi anni, acquisendo sempre maggiore fiducia e potere operativo.

Una figura tanto importante, tanto dentro le dinamiche di un club, le sue strategie, le sue previsioni, i segreti industriali di cui ogni azienda è titolare (non tanto in materia di bilanci, quanto proprio di approccio) non può non essere egli stesso un asset; la centralità del suo ruolo lo ha reso edotto di ogni cosa sia accaduta e accadrà al Calcio Napoli ieri, oggi e domani.

Giuntoli è stato il Napoli nella sua dimensione più intima, ne conosce ogni più minimo particolare perché egli stesso ha contribuito a disegnarlo.

E' ovvio che questo non significhi incatenarlo; è legittimo, oltre che naturale, ritenere la propria esperienza conclusa. Lo è anche se in presenza di un contratto ancora vigente che lo lega al club presso cui lavora.

Ma, pensateci, un presidente il cui acume nella scrittura dei contratti è celebre a mo' di parodia, fino al punto di aver fatto giurisprudenza negli anni, secondo voi, non ha pensato all'ipotesi in cui un proprio institore possa finire sotto osservazione di un'altra società, diretta concorrente? E secondo voi, uno come Aurelio De Laurentiis, di fronte alla possibilità, per quanto presunta o presumibile, di vedersi danneggiato come società, con i propri segreti e le proprie strategie messe a disposizione di una competitor diretta, non si metterà di traverso sfruttando ogni potere di cui è titolare contrattualmente?

Il tema dell'addio di un dirigente sotto contratto, senza periodi cuscinetti, senza cioè clausole di non concorrenza in ambiti temporali ristretti, potrebbe essere un tema discusso; di certo, non trattandosi di atleti, la illegittimità delle stesse non sarebbe esplicitamente vietata. Inoltre, per i motivi rappresentati, un tale approccio restrittivo di fronte alla prospettiva di dirigenti ballerini che mettano a repentaglio strategie industriali non solo sembra corretto, ma di certo auspicabile, specialmente in un modello fortemente condizionato dalla concentrazione di potere nelle mani di potentati politico-economici come il calcio italiano.

De Laurentiis è un imprenditore laico, un capitalista puro; sa che ogni cosa ha un prezzo, che non esiste né morale né romanticismo, specialmente quando si tratta di gestione del proprio personale. Ancor più quando si tratta di manager di primo livello.

La realtà era semplice; in preda alla foga megalomane del prendi tutto e scappa, che ha costruito il mito della Juventus onnipotente ed eterna, seconda solo al buon Dio, si sono fatti i conti senza l'oste. E quando l'oste si chiama Aurelio De Laurentiis, state sicuri, che il conto, più prima che poi, arriverà. E sarà difficile scardargli anche un centesimo. Sarri ha atteso oltre due mesi per essere liberato, con la promessa di non acquistare altri giocatori oltre allo Jorginho ipervalutato a 65 milioni di sterline.

Un consiglio per Cristiano: si metta l'animo in pace. Gli conviene attendere, in tutti i sensi.