La partita col Milan ha proposto un Napoli a due facce, capace in 40 minuti, equamente distribuiti, di mostrare il peggio e il meglio del proprio repertorio.
Sono stati 20 i minuti da brividi quelli assistiti al raddoppio di Giroud, con una squadra in balia dell’avversario e che si è salvata dal capitolare solo per l’imprecisione dei rossoneri. Impetuosi e vigorosi dal ritorno in campo nella ripresa alla pennellata di Jack Raspadori, quelli che ci hanno regalato un Napoli desideroso di affermare il proprio status di campione in carica.

Questi due momenti, così distinti, mantengono aperto un dibattito che si trascina ormai da inizio stagione. Tutti a chiedersi quale sia il vero Napoli, quale sia l’idea di Rudi Garcia. Probabilmente né l’uno né l’altro, più facile credere che il Napoli di Garcia sia quello visto appena raggiunto il pareggio. Una squadra che si è svestita della rabbia con la quale aveva azzannato l’avversario, rinunciando a cavalcare l’inerzia di un match che poteva vederci affondare tra le linee meneghine, riportando il ritmo su livelli di quiescenza e di fatto accontentandosi del pari.

Gli azzurri avranno comunque l’opportunità di ribaltare la partita, alla fine dell’ultimo minuto di recupero e in inferiorità numerica, a dimostrazione che c’era la possibilità e il desiderio negli undici in campo di far propria l’intera posta. Alla fine ha vinto la paura, quella di due allenatori che, per diverse ragioni, sono arrivati a questo incontro con la voglia di non perdere, accontentandosi di un punticino che non fa classifica o morale. Forse le emozioni finale, con Calabria e Kvara ad un passo dal nuovo vantaggio, sono più il frutto di reminiscenze di gruppo, di calciatori abituati a non accontentarsi e che si sono scontrati contro il muro di prudenza eretto dai propri allenatori.

La scelta di cambiare modulo, di attaccare a testa bassa per riprendere la partita, è sembrata più la classica mossa della disperazione piuttosto che una felice intuizione di Garcia. Probabilmente è questo il limite del tecnico. Il cortocircuito comunicativo che dilata la distanza tra se e i suoi ragazzi.
Ragazzi abituati a credere di dover dominare il gioco. Consapevoli che subire un’imbucata o un contropiede è un’assunzione di rischio calcolato. Lo strumento necessario per raggiungere la vittoria. Una barriera che diventa invalicabile quando il gap tecnico con l’avversario si assottiglia. Non è casuale la differenza di rendimento, in termini di risultati, tra medio-piccole e le cosiddette grandi.

Il Napoli deve fare una scelta

Il Napoli vince per inerzia quando è superiore all’avversario, ma perde ogni riferimento quando si contrappone ad avversarie di livello.
Per Garcia le cause sono l’aver concesso il cross o la conclusione, convinto che si debba limitare l’avversario contrapponendo una maggiore attenzione nei propri 25 metri. Un pensiero forse condivisibile, ma che cozza con una squadra allenata a credere che è attraverso il dominio del pallone che si diminuisce la possibilità di concedere la giocata.

Manca coraggio e consapevolezza, quella di stabilire non come si vuole vincere, ma come si vuole perdere. Si preferisce assumere il rischio di portare l’avversario al limite della propria area o accettare di aggredire di squadra per riconquistare palla e ripartire quando l’avversario è più vulnerabile? Oggi tutte le squadre sono organizzate e si appoggiano su automatismi allenati dalla ripetitività di determinati movimenti. La differenza sta nel colpire quando sono più fragili, quando l’avversario si predispone per la transizione da fase passiva ad attiva.

Perché basarsi sulle individualità è un gioco che riesce solo quando il mismatch tecnico è netto. Ecco perché magari assisteremo, ce lo auguriamo, a due comode vittorie con Salernitana ed Empoli, ma cosa succederà quando il calendario ci proporrà in sequenza Atalanta, Inter e Juventus?

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