La misura è colma ed è il momento che chi ha a cuore le sorti del Napoli si faccia sentire. E non parliamo di chi venera Osimhen e tantomeno quelli che si attaccherebbero a qualsiasi cosa pur di delegittimare la proprietà. Parliamo di chi a prescindere da tutto, compresi i risultati, ha a cuore esclusivamente la maglia.

Parliamo a quelli per cui essere un tutt'uno con i colori azzurri non è un semplice modo di dire, ma di essere. Parliamo a quelli per cui la caccia al biglietto per le partite di cartello non ha un perché, visto che per loro il Frosinone vale il Real quando in campo c'è quella maglia. Parliamo a quelli che “non importa il risultato”, ma solo il desiderio di essere accanto all'amore di una vita.

Discutere le cause recenti e non, che ci hanno condotto in questo vicolo cieco, non devono interessarci, perché riguardano chi ha fatto della nostra passione una professione, un modo come un altro per accumulare ricchezza. Non siamo ingenui, sappiamo che il motore che fa girare tutta la baracca non è alimentato dal sentimento o meglio, sfrutta questo sentimento per scopi ben più veniali. Lo abbiamo accettato come pegno in dote dal momento che abbiamo creduto fosse lecito che qualcuno si faccia pagare milioni per fare quello che noi faremmo gratis. Lo abbiamo accettato, ma non possiamo fare altrettanto quando i comportamenti di un singolo gettano fango sulla nostra maglia.

Perché chi ha interessi nel montare su il circo mediatico che oggi ci travolge, non ha avuto scrupoli nel far passare il Napoli quale ambiente “razzista” e lo ha fatto quando la società aveva appena fatto rientrare un caso, evitando di multare il calciatore per una chiara insubordinazione.

Un danno di immagine che non colpisce soltanto il club, ma tutti i suoi tifosi, soprattutto in un momento in cui l'intolleranza verso qualsiasi atteggiamento discriminatorio è ai massimi storici.

Non siamo interessati alla stucchevole ricerca del colpevole, poco importa se a sbagliare sia stato il club o il ragazzo, perché oggi le uniche vittime sono i tifosi. Sono le migliaia di persone che hanno passato la notte sui social provando a darsi una spiegazione sul perché Victor abbia cancellato tutte le immagini in maglia azzurra e che oggi si sentono traditi da chi, di quell'azzurro, si era fatto portavoce.

E' giusto, ora come non mai, ristabilire un principio troppo spesso dimenticato, cioè che la maglia viene prima di tutto e che la tutela dei propri colori non può mai essere subordinata.

Mi aspetto questa presa di posizione dalla parte più calda del tifo, quella di non prendere posizione. Di non prestarsi al gioco di chi valuta tutto secondo logiche economiche e prova ad attirare dalla sua parte il consenso, come strumento ricattatorio ad esclusivo uso del proprio tornaconto.

Victor è un bravo ragazzo, un atleta che in campo da tutto, “vittima” di un sistema che lo ha portato dal camminare scalzo tra le strade di Lagos all' essere milionario. Una condizione invidiabile, ma che non tutti sono in grado di gestire e che ti rende preda di approfittatori senza scrupoli che, nutrendosi del talento altrui, indirizzano carriere senza badare all'aspetto umano di giovani uomini, lontani dagli affetti sinceri e per questo fragili.

Ma può bastare tutto ciò a giustificare un comportamento che definire eccessivo sarebbe un eufemismo?

Oggi Victor merita la panchina e non perché c'è uno scontro in atto tra lui e la società che riguarda il rinnovo contrattuale, oggi merita la panchina perché ha anteposto i suoi interessi al resto della squadra. Perché se lui ha già deciso che Napoli è solo una bella parentesi della sua carriera, ci sono altri 24 ragazzi che condividono il suo stesso spogliatoio e che probabilmente hanno fatto scelte differenti, come chi ha deciso di legarsi a vita a questi colori, decidendo di far coincidere le fortune del club alle proprie.

Sono questi i momenti in cui si dimostra devozione alla maglia, quando la paura e la rabbia ci solleticano, quando la cosa più facile sarebbe prendersela con la società che non ha rinnovato a suo tempo o considerare il calciatore il solito mercenario, ma non lo sono tutti in fondo? Oggi abbiamo la possibilità di dimostrare da che parte stiamo, di come il nostro amore non sia argomento secondario e non sarà un bomber da 30 gol a metterlo in discussione.

Oggi si torna a casa senza voce per undici individui senza volto, senza nome e che hanno un unico privilegio, quello di indossare la maglia azzurra. Quella con la quale ci hanno avvolti quando siamo venuti al mondo, quella che volevamo indossare quando passavamo giornate intere calciando contro le serrande sognando di calcare un giorno l'erba del San Paolo, quella che sentiamo come una seconda pelle.

Per la maglia e non per chi la indossa.