Con l'addio quasi certo di Luciano Spalletti, si apre una nuova era per quanto riguarda la panchina del Napoli.
Il tecnico di Certaldo lascia la guida azzurra due anni dopo, con uno ancora di contratto, certificato dalla famosa Pec inviata dal Presidente De Laurentiis.

Il nuovo allenatore sarà il decimo dell'era Adl. Dal 2004, anno in cui il patron acquisì il Napoli, ad oggi sono solamente nove i tecnici che hanno guidato i neo campioni d'Italia.

Da Ventura (primo allenatore) al cambio con Eddy Reja, che riuscì nella grande cavalcata dalla C alla A. Dopodiché ci fu la breve parentesi dimenticata di Roberto Donadoni, sostituito in corsa da Walter Mazzarri che conquistò per la prima volta (per la gestione Adl) l'accesso in Champions League. Il Napoli passó a Rafa Benitez, dopo due anni a Maurizio Sarri che fece il triennio come da contratto. Il Presidente rilanciò con Carlo Ancelotti esonerato al secondo anno per Gennaro Gattuso. Poi è storia recente. Luciano Spalletti vince il campionato e, pare, va via.

La "legge" dei tre anni

Letta così, l'impressione è che nessun allenatore duri più di tre anni. E che il divorzio sia sempre dovuto, quindi, alla poca compatibilità con una personalità forte come quella del Presidente azzurro.

Proviamo a fare chiarezza, partendo da quando il Napoli si qualificó per la prima volta in Champions League. Quindi gestione Mazzarri. Il tecnico di San Vincenzo fece annate importanti in Campania. Rilevó il Napoli di Donadoni che veniva da 7 punti in 7 partite, per quello che fu uno dei punti più bassi del Napoli targato Adl. L'ex Samp rivoltó la squadra come un calzino. Quell'anno si qualificó per l'Europa League nonostante la partenza terribile. Ma fu l'anno dopo che si concretizzó uno dei capolavori più belli degli ultimi anni. Spinto dai tre tenori (Hamsik, Lavezzi e Cavani) il Napoli si classificó terzo, quindi accesso diretto in champions.

Quel Napoli arrivò ad un passo dai quarti di finale della massima competizione europea, scippata dal Chelsea dopo che all'ora San Paolo gli azzurri travolsero 3 a 1 i blues di Londra. Mazzarri finí nel mirino dell'Inter, e dopo la telenovela estiva, Aurelio de Laurentiis riuscì a strappare il "si" del tecnico a restare, dopo che lo stesso presidente aveva contattato Gian Piero Gasperini. Il Napoli fece secondo in classifica e il tecnico toscano passò all'Inter. Volle fortemente l'Inter. Il risultato fu che non raggiunse mai più i risultati di quelli raggiunti in terra partenopea. Anzi, fu esonerato un anno e mezzo dopo dai nerazzurri e piano piano la sua carriera è stata un lento declino fino al quasi dimenticatoio.

La svolta con Rafa Benitez

Arrivò Rafa Benitez ed il Napoli, grazie alla cessione di Cavani, fece uno dei mercati più importanti degli ultimi 20 anni. Lo spagnolo si presentó con tutta la sua esperienza ed appeal internazionale, portando alle pendici del Vesuvio gente come Higuain, Reina, Albiol, Callejon ma anche semi sconosciuti (all'epoca) come Jorginho, Ghoulam, Zapata e soprattutto Koulibaly. Al primo anno si classificó terzo, l'anno successivo quinto dopo il famoso rigore calciato alto da Higuain che avrebbe consentito al Napoli l'accesso diretto alla champions.

Quel Napoli vinse una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. L'estate 2014 fu una delle più controverse della storia napoletana. Fu la famosa estate di Mascherano e di David Lopez. Fu la bella stagione che si tramutó a Wolsfurg nella famosa conferenza di Benitez che parló di business plan. I papponisti ci sguazzarono per un paio di mesi salvo poi scoprire lo spagnolo in TV promesso sposo del Real Madrid con lacrime allegate (per il real, non per il Napoli) e sogno realizzato. De Laurentiis, per quel che poté, accennò un braccio di ferro ma quando chiama il Real poco, o niente, si può fare. Benitez fu esonerato dopo pochi mesi dal Madrid e anche la sua gloriosa carriera, non tanto piano piano, andò in declino.

Dallo scetticismo alla magnificenza

Il presidente, dopo pochi giorni dell'addio dello spagnolo, realizzò un colpo di teatro: Maurizio Sarri. Da Benitez e il suo "bisnissplan" al "sarricett". Dire che l'accoglienza in città per l'ex banchiere fu negativamente clamorosa è un eufemismo. Il 90% dei tifosi che erano sicuri che l'attuale tecnico della Lazio non sarebbe arrivato a dicembre. Ma dopo un inizio stentato, il Napoli sembrò divenire una delle squadre più belle mai viste in Italia, dominando in lungo e in largo fino al famoso "patto scudetto" del terzo anno. Patto che portò ai 91 punti in campionato ma che non serví per l'agognato scudetto. Sarri si inchinò al pubblico del San Paolo e andò via. Dopo pochi giorni era al Chelsea.

L'anno dopo, in modo molto meno velato di come vollero far credere, firmò per la Juventus. Le colpe caddero ancora una volta su Aurelio de Laurentiis, reo secondo molti di vivere una sorta di gelosia verso colui che era amato dalla piazza, verso il "comandante" che aveva sfidato il palazzo. Per dovere di cronaca, anche l'anno prima ci fu un addio importante: Gonzalo Higuain. Anche in quel caso, per la grandissima fantasia che contraddistingue il tifo a Napoli, le colpe caddero sul presidente. Nemmeno quando lo stesso bomber argentino segnó in un Napoli Juventus indicando la tribuna e urlando alle telecamere "es tu culpa" il pubblico rinsaví. Nonostante il Pipita fosse andato alla Juventus, di notte e di nascosto anche dai compagni (sarebbe bastato vedere le dichiarazioni di Ghoulam sul caso) la colpa fu sempre e solo di De Laurentiis. Il Napoli quell'anno migliorò lo score dell'anno precedente, ma non serví a nulla.

Gli anni dell'ammutinamento e di Napoli Verona

Ma il Presidente è tipo da cinema. Fece all in e portò nel golfo quello che da tanti è reputato il migliore allenatore di sempre: Carlo Ancelotti. Una mossa che avrebbe dovuto zittire per sempre i papponisti, che avevano (e hanno) sempre contestato al patron di "non voler vincere". Come se i capi di azienda facessero tutto per perdere tempo o per pettinare le bambole. Ad avallare la tesi, il fatto che il Napoli non lasciò partire nessuno tranne Jorginho. Restarono a Napoli tutti, nonostante offerte a due zeri per alcuni calciatori. Arrivarono Manolas, Ruiz. Non arrivò James Rodriguez, con solite contestazioni al seguito. Il colombiano di lì a poco avrebbe terminato la sua carriera in Arabia, vista la miriade di infortuni che da sempre lo tartassano.

Al primo anno Ancelotti chiuse al secondo posto, che fu accolto come fallimento. Al secondo anno ci fu il punto più basso, con l'ammutinamento. De Laurentiis, probabilmente, si trovò davanti ad una scelta difficile. Optó per l'esonero.

Ancelotti passò subito dopo all'Everton dove trovò delle difficoltà (nonostante l'acquisto di James Rodriguez) ed un mercato top per un club del genere. Ma proprio mentre il tecnico emiliano stava discutendo il rinnovo col club inglese, chiamò il Real e lui scappò in Spagna dove si laureò campione d'Europa. Chissà se fosse stato ancora a Napoli cosa avrebbe detto al real Madrid. Possiamo immaginare.

Gli azzurri andarono a Gennaro Gattuso che riuscì a vincere il primo trofeo italiano post covid, la coppa Italia in finale di rigore con la Juventus. In campionato non riuscì a riprendere le posizioni che contano. Nemmeno l'anno dopo ci riuscì, col famoso Napoli Verona che fino a poche settimane fa ancora faceva discutere. In realtà non sarebbe servita quella partita se nella solita Juventus - Inter fosse stato fischiato fallo di Cuadrado su Perisic e non rigore per i bianconeri. Ma la storia non si può cambiare. Il Napoli chiuse sesto e addio a Gattuso, esonerato un minuto dopo il triplice fischio finale del pareggio interno con gli scaligeri.

L'avvento del Mister Campione d'Italia e la rivoluzione aureliana

Arrivò, quindi, Luciano Spalletti. I social erano pieni di commenti contro il tecnico di Certaldo. Il "toscano sbagliato" scrissero pagine con centinaia di migliaia di followers. Ma Spalletti subito lasciò l'impronta, riuscendo a vincere 11 partite di fila. Il Napoli restò in corsa per il campionato fino ad aprile, quando cadde sotto i colpi di Fiorentina, Empoli e il pari con la Roma. La piazza attaccò ferocemente Spalletti. Lo contestò in estate a Dimaro, arrivando addirittura a disturbarlo durante le sue conferenze stampa. Lo invitarono ad andar via assieme alla sua Panda, che avevano rubato poche settimane prima. Addirittura l'amato Ciro Mertens rincarò la dose criticando il tecnico con una frase apertamente furba e velata: "non c'erano squadre più forti di noi, sono più deluso oggi che per i 91 punti".

La svolta

Ma in estate De Laurentiis, avendo capito e notato che i calciatori più vecchi della rosa avevano finito le motivazioni, scelse per un cambio generazionale, mettendo a segno, grazie alla grande collaborazione del DS Giuntoli, "il mercato dei mercati". Abbassò l'età media, dimezzó quasi il monte ingaggi, ringiovanì la rosa e scudetto fu. Un capolavoro da consegnare ai posteri. Mertens chiese 4 milioni annui, non vennero accettati e andò in Turchia, con scarsi risultati. Insigne andò ad arricchirsi in Canada con risultati anche peggiori, Ruiz andò a farsi prendere in giro al Psg, Koulibaly al Chelsea per quello che è l'anno più disastroso della sua carriera. Di Ospina invece non ci sono più notizie. Sembra giochi in Arabia Saudita ma non so dove.

Spalletti andrà via. Si poteva prevedere. Vincere uno scudetto a Napoli equivale emotivamente nel vincerne 10 altrove. Ti sfianca. Ti invecchia. De Laurentiis ha fatto di tutto per trattenerlo, ma "le ali non si tarpano".
Mazzarri, Benitez, Sarri, Ancelotti, Gattuso e Spalletti. Sei allenatori in 12 anni. Meno di altri club. La maggior parte di loro, appena andati via da Castelvolturno, hanno firmato a suon di milioni contratti con top team. Escludendo Ancelotti che è ritornato al Real, nessuno si è espresso come a Napoli. Nemmeno Sarri, che nonostante qualche trofeo non è mai riuscito ad imporre il proprio gioco. Basti pensare che a Londra nonostante la vittoria della Europa League i tifosi gli dedicarono il famoso "fuck sarriball" e a Torino sponda juve, nonostante lo scudetto, lo esonerarono senza minimo scrupolo.

A dimostrazione, forse, che il Napoli ha un problema molto più importante del rapporto Presidente - Allenatori. Problema che comunque ha in casa sua. O meglio vicino casa sua, nella fattispecie chi dovrebbe preservare questa società che ha ampiamente dimostrato di saperci fare. Di voler vincere. Di saper vincere. Di poter essere un punto di riferimento per chi vuole migliorare la macchina calcistica italiana. Poi ci sono le pagine social alla ricerca di like e, quindi, soldi facili. Centinaia di migliaia di interazioni per persone che non ne hanno beccata mezza nemmeno per sbaglio.

Chi è alla continua, e perenne, ricerca di prebende e tende da piantare al Konami Center senza fortuna. E da qui, quindi, alla costante detrazione della SSC Napoli. Chi dimentica il proprio ruol, coivolgendo negativamente la parte del tifo più rumorosa e si lascia plagiare in una maniera francamente disarmante, omettendo sempre la verità assoluta pensando al bene personale. Alla loro tasca, detta in parole povere. Così come la pensa il Presidente, certo. Solo che, di riflesso, il bene personale del Presidente è anche e soprattutto il bene del Napoli.

Basterebbe una semplice e comune unione d’intenti. Giusta, razionale ma sacrosanta, onde evitare il prossimo papponismo 19.0, come gli anni di presidenza De Laurentiis.

Sarebbe clamoroso e paradossale un papponismo 19.0 con lo Scudetto cucito sul petto.