Importante riconoscimento per l’impresa meridionale: lo rivela il noto quotidiano “Il Sole 24 ore” in edicola. Il giornale ha infatti rivelato: “Il Mezzogiorno supera il Centro Nord nella bioeconomia. Al Sud il 23,6% delle imprese è “bio”, cioè utilizza risorse biologiche inclusi gli scarti nelle proprie produzioni, contro il 19,7% delle imprese del resto del Paese. E nel Mezzogiorno le imprese “bio” sono anche più innovative. Il 59,8% ha investito o investirà in tecnologie 4.0 tra il 2017 e il 2024, (contro il 56,3% del Centro Nord). Sono le conclusioni a cui è giunto uno studio realizzato dal Centro Studi Tagliacarne e da Svimez su un campione di 2 mila imprese industriali, con un numero di addetti tra 5 e 499.

Imprese aperte al territorio

Il 50% delle imprese intervistate, poi, ha adottato un modello di “open innovation”, ovvero aperto alle collaborazioni con Università, clienti e fornitori per una crescita strutturata del territorio e per il rafforzamento delle filiere produttive (contro il 46,1% del Centro Nord). Anche per questo la scelta bio può essere una potente chiave di sviluppo per il Sud.

Prezioso asset per lo sviluppo del Sud

«In una fase in cui si ripropone in maniera rinnovata il tema della crescita della base produttivo-manifatturiera del Mezzogiorno, la filiera della bioeconomia si pone come un prezioso asset a livello locale. Perché esprime una forte capacità di creare collegamenti tra segmenti diversi a valle e a monte della catena produttiva, come quello dell’agricoltura, che costituisce tradizionalmente un’eccellenza del territorio, e del recupero delle relative produzioni», sottolinea il direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, Gaetano Fausto Esposito, che aggiunge: «il profilo dinamico di queste imprese in investimenti nella duplice transizione e la maggiore sensibilità ai temi della sostenibilità, anche in termini sociali e di attenzione all’occupazione, deve porre questo segmento di imprese al centro di policy di rilancio della crescita per il Sud, anche attraverso politiche di incentivazione mirate».

Bianchi (Svimez): «Filiere da sostenere»

Per il direttore generale dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno Luca Bianchi «si conferma quanto rilevato dalla Svimez in questi anni circa le potenzialità di sviluppo offerte dai nuovi settori dell’economia circolare e della bioeconomia in particolare per il Mezzogiorno, a condizione che le importanti esperienze oggi presenti siano accompagnate da politiche industriali e di filiera funzionali a renderle più solide e a favorirne la crescita anche dimensionale.”Essere “bio” rende le imprese più “smart”, non solo al Mezzogiorno La scelta “bio”, nel complesso, si rileva nel Mezzogiorno come nel resto d’Italia un potente stimolo per investire in green e in innovazione su cui ha puntato il 63,2% delle imprese nazionali della bio-economia».

Imprese bio più orientata a investire in digitale

Nel Meridione, infatti, il 63,4% delle imprese bio ha investito tra il 2017 e il 2024 in processi e prodotti a maggior risparmio energetico, idrico e/o a minore impatto ambientale (contro il 37,0% delle non bio), in linea con quanto si è verificato nel Centro-Nord dove (63,2% contro il 35,2% nelle non bio). Anche per questo il 57,3% di queste imprese meridionali ha investito o investirà in R&S nello stesso periodo (contro 45,3% delle non bio). Essere “bio” si traduce, inoltre, pure in una maggiore attenzione ai lavoratori non solo dal punto di vista sociale, ma anche professionale. Il 61% delle imprese bio del Mezzogiorno ha avviato percorsi formativi per i propri dipendenti nel biennio 2017-2019 e ha intenzione di continuare le attività di formazione anche nel biennio 2022-2024. Una quota che si presenta anche più elevata nel Centro-Nord (62,5%).

Il digitale spinge la produttività

Investire in digitale fa bene agli affari delle imprese bio. Nel Meridione, in particolare, queste realtà imprenditoriali che hanno già puntato tra il 2017 e il 2021 sul digitale dichiarano di avere ottenuto una maggiore produttività nel 28,0% dei casi, una migliore qualità dei prodotti e minori scarti (24,4%), una maggiore velocità nel passaggio dal prototipo alla produzione (23,2%), nuove funzionalità del prodotto derivanti dall’Internet of things (22,0%).


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