Odio Napoli
3 ottobre 1999. Sesta giornata del campionato di serie B.
Cosa ci faccio imboscato nel settore distinti dello stadio Arechi, la sciarpa azzurra ben nascosta nella giacca, un fascio di nervi, le unghie rosicchiate per la tensione, a prendermi insulti di ogni tipo mentre continuo a chiedermi perché non sono in curva coi nostri?
Per scoprirlo dobbiamo fare un salto indietro di due anni.
Nell’estate del 1997 faccio la mia prima stagione di animazione in un villaggio a Palinuro. Stringo amicizia con un gruppo di ragazzi di Salerno. Si instaura un bel feeling. Sono grandi appassionati di calcio, tifosi della Salernitana, e mi invitano a vedere delle partite in curva con loro.
La Salernitana mi sta simpatica. Mi dico che è comunque una squadra campana. E poi quell’anno gioca davvero in maniera spettacolare. Nella stagione 1997/ 98 infatti, guidati da Delio Rossi, i granata frantumano ogni record del campionato di serie B. Un 4 3 3 super offensivo, le sponde di Artistico, i gol a raffica di De Cesare e Di Vaio.
Assisto dal vivo a parecchie partite, soffrendo come un cane con la mia fedele radiolina mentre il mio Napoli sprofonda in serie A. È l’anno della retrocessione, dei 14 miseri punti in campionato, dei 4 cambi di allenatore, della difesa guidata da Prunier, di goleade subite e umiliazioni mortificanti.
L’estate successiva torno nello stesso villaggio. E mi accorgo presto che il vento è cambiato. Subisco sfottò e prese per il culo. Apprendo, con mia grande meraviglia, “che il calcio in Campania siamo noi”.
“Inchinatevi all’armata granata”, “La vergogna dell’Italia siete voi”, “Napoli merda, Napoli colera…”.
Ribatto, mi incazzo, gli ricordo che negli anni di Diego tifavano tutti per il Napoli.
È l’inizio di una rivalità che non avevo proprio messo in preventivo.
Per non farmi mancare niente ho una storia con una ragazza di Salerno, la cugina di uno del gruppo.
Vado sotto, azzecco, perdo la testa.
La storia continua anche d’inverno. Fresco patentato, con la mia Golf mezza scassata, macino chilometri su chilometri. La Napoli – Salerno diventa la mia seconda casa. Comincio a frequentare i suoi amici. Quando si parla di Napoli sento sempre le stesse cose. “È sporca e piena di criminali”. Mi ergo a paladino della mia città. La difendo. Ma spesso sono costretto ad abbozzare.
Una volta mi tiro una questione con uno che per forza vuole convincermi che “vuoi mettere il nostro lungomare con quel cesso che tenete a Napoli?”
A livello calcistico è una stagione pessima per entrambi. Noi disputiamo un tristissimo campionato di serie B che ci vede galleggiare a metà classifica. Loro retrocedono all’ultima giornata.
Nella stagione 1999/2000 siamo entrambe in serie B.
Ed eccoci qua. 3 ottobre 1999. Sesta giornata.
Decido di andare insieme a lei. Tifa per l’Inter, sta in fissa con Ronaldo il Fenomeno, ma naturalmente simpatizza per la squadra della sua città.
Prendo due biglietti per i distinti.
Venticinque anni fa era molto semplice andare allo stadio. Niente documenti, niente tessera del tifoso, niente divieti per la trasferta.
Parcheggio la mia Golf mezza scassata e siamo dentro.
Il clima è incandescente. Mi rendo subito conto che sarà una lunghissima serata.
È il Napoli di Novellino e degli scatti di Schwoch. È un Napoli che al termine di quella stagione arriverà secondo e tornerà in serie A. Ma è anche un Napoli che, in quel momento, gioca un calcio orrendo e non riesce a fare due passaggi di fila.
Lo dico sempre a mio figlio: ora ti consoli con Kvaratskhelia e Osihmen, ma c’è stato un periodo in cui tifare era una missione.
Ma il 6 ottobre 1999, quello di giocare bene è l’ultimo dei miei pensieri. Mi basta uscire vivo da questa situazione.
Come un novello Zelig provo a mimetizzarmi nell’ambiente. Vorrei essere un camaleonte. Assumo l’espressione più neutra possibile mentre tutti saltellano attorno a me cantando a squarciagola “Odio Napoli!”
“Se segnano non ti permettere di esultare”, mi fa lei accodandosi ai cori.
Sta stronza.
Un tipo grosso e cattivo, barba incolta, vena del collo ingrossata, alito pestilenziale, mi squadra in continuazione.
Sono in paranoia.
Stringo i pugni, mi mordo le labbra a sangue, guardo in continuazione il nostro settore che non smette di cantare.
Desidererei essere lì.
La partita è orrenda. Piena di falli. Senza un’azione che sia degna di nota.
Poi, sul finire del primo tempo, un cross innocuo di Asta non viene trattenuto dal portiere. La palla finisce sui piedi di Schwoch che la mette sotto la traversa.
Nel silenzio tombale reprimo a fatica l’esultanza. Resto fermo, immobile. Una sfinge.
Mi giro di scatto e scappo.
“Dove vai?”, chiede lei.
Non rispondo. Fendo la folla con il il cuore che martella nel petto.
Mi faccio largo e, con le orecchie che fischiano, mi metto alla ricerca del bagno. Lo trovo e mi fiondo dentro. Chiudo la porta. Tiro lo scarico.
“Gooooooooooooooooooooooool! Afammokk!”, grido nella tazza del cesso.
Poi rientro.
Calmo, tranquillo, serafico.
Siamo già all’intervallo.
“Hai gli occhi che ridono”, dice lei risentita.
Ma io non parlo. Sono muto. Una mummia. Come quando gioco a Cucù a Natale e, per non fare rientrare i morti, perdo temporaneamente l’uso della parola.
Mi ripeto solo che voglio uscire da lì sulle mie gambe. E possibilmente con i 3 punti in tasca.
Il secondo tempo, se possibile, è ancora più brutto: la Salernitana attacca in modo scomposto, noi difendiamo con le unghie e con i denti quel golletto insperato.
Il tipo affianco a me ripete ossessivamente da un’ora la stessa frase: “Sti napoletan e merd, sti napoletan e merd”.
È un brutto sogno. Che diventa un incubo a dieci minuti dalla fine, quando il loro centravanti Guidoni pareggia di testa. Nel delirio vengo abbracciato e baciato dal tipo con l’alito a peste, con la mia tipa che si dimena felice e io che mollo un paio di pugni di rabbia pura nella folla che mi sballottola.
Quando finalmente l’arbitro fischia tre volte voglio solo tornare a casa.
Ma la serata non è finita.
Arrivati alla macchina noto subito che c’è qualcosa che non va: sulla portiera c’è uno sfregio. Una scritta che non passa inosservata: Odio Napoli.
“Mi ha fottuto la targa”, dico imprecando tutti i santi in ordine alfabetico.
“E vabbè, tanto era un cesso”, fa lei.
“Ci ero affezionato a sto cesso”, rispondo pensando già a quando ci sarà la partita di ritorno.
Incazzato nero ho un solo desiderio: vendetta. Tremenda vendetta.
Che presto arriverà.
Ma questa è un’altra storia…