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bipolarismo
il tifoso bipolare

Non c'è pace per i tifosi del Napoli. Dopo aver attraversato il deserto dell’era Rudi Garcia, con le sue idee rivoluzionarie - rivoluzionarie nel senso che nessuno capiva dove volessero arrivare - e averne applaudito con fervore le incomprensibili scelte tattiche , oggi ci ritroviamo con una sfortuna che non ci meritavamo: Antonio Conte in panchina. Già, proprio lui, il tecnico retrò e del "calcio becero".

La malinconia del qualunquismo

Ricordate i bei tempi andati? Quando ci si alzava in difesa dell'illuminato Garcia, sostenendo con orgoglio che la squadra non fosse *così* allo sbando, nonostante le sconfitte contro la Lazio fossero nette e prive di appello. Altro che palo di Anguissa e legge del calcio che ti condanna agli Isaksen di turno: allora, si parlava proprio di un dominio biancoceleste che lasciava il Napoli a leccarsi le ferite senza nemmeno capire come fossero arrivate. Ma guai a criticare il tecnico francese, perché "bisogna dargli tempo", "il progetto va consolidato" e "non si può vivere nel passato di Spalletti".

E com'era delizioso il teatrino dei calciatori che ignoravano sistematicamente Garcia, mandandolo platealmente a quel paese in campo, perché non sapevano se attaccare o difendere, figuriamoci memorizzare schemi. Ah, che nostalgia per quelle partite dove l’unico schema sembrava “palla lunga e speriamo che Osimhen faccia qualcosa”.

Rudi Garcia stagione 2023-24
Rudi Garcia

L'avvento del ‘Malaugurato Conte’

Poi è arrivato Antonio Conte. E qui, apriti cielo. Il tecnico che ha avuto il coraggio di mettere ordine tra le macerie, di riprendere una squadra svuotata dopo la trionfale stagione scudetto, il quale è stato accolto prima dall’enfasi e poi giudicato con diffidenza. Certo, perché non sottolineare a furor di popolo che Conte non è simpatico, e il suo calcio è stato bollato come retrogrado. Del resto, a Napoli siamo abituati a filosofie sofisticate: meglio perdere dominando il possesso palla che vincere con pragmatismo. Perché giocare è importante, ma farlo “con stile” è essenziale per l’estetica della narrazione. Tutti bravi a raccontare la favola del risultato che non conta - e che vincere non è l'unica cosa che conta - ma quando poi si perde la vetta della classifica tutti a storcere il naso, ad improvvisarsi allenatori e propinarci fantomatici rimedi tattici blaterando - e mal interpretando - di xg e via discorrendo.

E allora eccoci qui, quasi a rimpiangere i tempi in cui difendere le scelte di De Laurentiis era un obbligo morale, anche quando si parlava di calciatori lasciati senza guida, o di tecnici reclutati con curriculum perfetti per la “metà classifica”. Triadi scellerate come Garcia, Mazzarri e Calzona erano “giustificabili”, perché, in fondo, “nessuno vuole subentrare a Spalletti”. Vero? Era difficile trovare un tecnico che potesse caricarsi il fardello di una squadra che aveva già vinto, era più che scontato. O sbaglio? Questa è una delle tante leggende che mai capirò e che aleggiavano quasi in maniera sovrana la passata stagione, il tutto per giustificare un anno di disastri annunciati e la gloria dello scudetto macchiata da scelte gestionali che definire azzardate è un eufemismo.

E sia chiaro: non c’è nessuno qui che nega i meriti di De Laurentiis. Anzi, ha avuto il coraggio di ammettere gli errori e scegliere Conte. Antonio Conte. Non un “triccheballacche” qualsiasi. Eppure, c’è chi lo critica a prescindere, aggrappandosi a un pregiudizio sterile sul suo calcio “vecchio” e compassato.

Cari tifosi, critichiamo pure Conte per il suo taglio di capelli, la sua teatralità a bordo campo o il fatto che urli più del necessario. Ma se vogliamo attaccarlo per il “calcio retrò” o per la “mancanza di estetica”, ricordiamoci almeno da dove veniamo.

Probabilmente l'unico tecnico capace di ricostruire una squadra dalle macerie di quella gloriosa ma travagliata stagione. E che si fa? Lo si critica. Non per i risultati, non per la capacità di restituire un'identità tattica a una squadra spaesata, ma per lo "stile". Perché il calcio di Conte non è abbastanza moderno, non è abbastanza bello da vedere, non è "possessione-centrico".

Un allenatore che ha vinto ovunque sia andato, che costruisce squadre solide, che suda in panchina tanto quanto i suoi giocatori in campo. È uno che non ha paura di prendere decisioni difficili e che ha il coraggio di affrontare critiche sterili.

Ma no, meglio rimpiangere i tempi in cui si difendevano ad oltranza scelte disastrose. Meglio criticare oggi un tecnico preparato solo perché il suo calcio non fa impazzire gli esteti da tastiera. E pazienza se Conte è stato l'unica scelta veramente ambiziosa di De Laurentiis dopo un anno che aveva deciso di giocare alla roulette con la panchina, gli adulatori ad oltranza del Patron se ne faranno una ragione prima o poi. Pazienza se sta cercando di riportare ordine dopo il caos. L'importante è trovare sempre qualcosa di cui lamentarsi, perché è questo che ci riesce meglio: criticare, senza mai guardare oltre il nostro naso.

Quando si capirà che lo scempio verificatosi lo scorso anno non ha come metro di paragone scudetti e Premier vinte da Antonio Conte, bensì la risalita dal 9º posto alla qualificazione Champions con il Tottenham - ottenuta magistralmente al primo anno dal tecnico leccese - forse, questa platea ne prenderà coraggio di riconoscere il merito anche quando non è vestito di puro estetismo.


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