Napoli che da Udine a Udine vive un anno esatto in caduta libera con il pareggio in terra friulana che lascia il defintivo amaro in bocca, per una stagione tra le peggiori mai viste all'ombra del Vesuvio. Ecco quanto fa emergere in superficie, tra effimere gioie e dolori afflittivi, Il risultato di 1-1 contro l'Udinese:

  1. IL 52 NELLA SMORFIA NAPOLETANA

Sembra uno scherzo del destino e invece è un harakiri che connubia gioia e dolori, ambizione e ridimensionamento, successo e tonfo del Napoli, che nel passaggio da bruco a farfalla ritorna crisalide, la stessa crisalide di tempo che dalla matematica assegnazione dello scudetto di Udine 2023 grazie ad un gol segnato al minuto 52 da Osimhen, tramonta ad Udine 2024 plausibilmente allo stesso minuto 52, punto di congiuntura astrale tra i due mondi che hanno attraversato l'universo partenopeo in appena 12 mesi e diventa il numero della resa di qualsiasi intento per la diaspora finale, ancora una volta agli sgoccioli di una partita quasi vinta.

E’ un tempo solfeggiato quello della perdita degl'ideali del Napoli, mietuto come vittima da gran parte della serie A e dai club europei, in una stagione nefasta, dove anche i rigurgiti d’orgoglio che questa squadra ostenta in maniera instabile, diventano sfuggenti lame puntualmente raccolte dagli avversari dalla parte del manico.

Il goal spacca porta di Osimhen che aveva generato un boato con elettricità di rara comparazione il 4 maggio dell'anno passato, appena un anno e due giorni esatti dopo rappresenta la cerniera con il passato ed il trapasso verso l'estinzione del gruppo squadra vincente in futuro. A proposito, nella tombola napoletana il numero 52 designa “La mamma”, l’unica che quando non hai più niente ti resta sempre, e che ad Udine metaforicamente diventa per il Napoli la madre di tutte le partite, il filo rosso che non si spezza della narrazione che ha condotto dalle stelle alle stalle.

  1. TRASFERTA UN(SUCCESS)FUL

L'undici azzurro, sul traguardo stramazza al suolo e permette ai friulani di restare in corsa per la bagarre retrocessione. Udinese che nulla aveva fatto se non proporsi con fideistico senso tattico a discapito della gestione del pallone, capace pertanto d'immascescire il Napoli per un tempo, imberbe attorno all’area di rigore. Poi le giocate paurose di Osimhen nella ripresa a costruire un successo cancellato dal VAR e da Success.

Ma il Napoli ormai non vince più, a Monza un mese fa si era avuto un labile ritorno di fiamma per 19 minuti conditi da quattro goal che avevano salvato la partita, e infatti la funambolica rete del neo entrato attaccante bianconero impedisce agl’azzurri di dare seguito alle uniche vittorie in trasferta refertate nel campionato in corso a Frosinone, Salerno e Reggio Emilia, tre squadre di cui una già retrocessa, implicate per non tornare in B. Il nome del Nigeriano Success con prefissazione “un” che sovverte sintassi e significato, è il vero titolo dell’ignobile stagione del club partenopeo: fallimento.

  1. LA MEMORIA CATARTICA DEL BLUE ENERGY STADIUM

Dolci ricordi, velata malinconia, recrudescenza della vittoria del terzo scudetto, senso di unità. Il potere della mente che rimane adagiata sui sorrisi spontanei e felici, che diventano l'amaca su cui adagiarsi per rallentare l’ebollizione del sangue nelle vene costante per i tifosi che da tanti mesi assistono ad un Napoli completamente depotenziato.

E’ nel Blu Energy Stadium del Friuli, impianto di proprietà della società Udinese, costruito grazie alla lungimiranza della famiglia Pozzo che in questo momento dopo ventitré anni di presidenza e ventinove totali di Serie A rischia seriamente di poter retrocedere, che il Napoli dopo averlo colonizzato, si arrende.

Il cosmo gira all'incontrario per tutti, come un destino stritolato nella morsa del dare-avere e tutto quello che hai dato prima o dopo ti dovrà essere restituito e viceversa; quindi, nello stesso stadio, con il gol del Napoli arrivato allo stesso minuto, con lo stesso risultato e forse qualche tifoso in meno, il Napoli termina tutta l'energia che aveva accumulato nelle batterie dello scudetto, alimentate dal tifo finché è stato vicino alla squadra, e da un unico credo, quello del passaggio dall’illusione alla delusione.

  1. 14 ANNI D’UN FIATO PRIMA DI RICOMINCIARE

Costantemente in Europa, per sette volte l'Europa che conta chiamata Chmapions League. Aurelio De Laurentiis aveva promesso bene e mantenuto altrettanto bene tutto quello che aveva desiderato, auspicato, programmato e conseguentemente eseguito per il suo Napoli; il club partenopeo, faro calcistico del sud Italia e probabilmente di tutto il sud Europa, ha rappresentato un unicum nel palcoscenico europeo ed internazionale, guadagnandosi una scena che nel quasi secolo addietro aveva rubato in maniera sparuta ed occasionale, malgrado Maradona.

Il Napoli è negl’anni duemila una realtà sportivamente riconosciuta in tutto il mondo, le sue caratteristiche e peculiarità sono rinomate ed apprezzate anche grazie alla cassa di risonanza del movimento sportivo e calcistico nella fattispecie. Ma oggi il virtuosismo della società sostenibile che qualificandosi alle coppe europee ed avanzando attraverso i suoi steps riesce a generare un valore che funga da moltiplicatore di fattori per tutte le risorse da impiegare, diventa una leva commerciale senza più il fulcro e l'operazione di restructuring non solo della rosa ma anche delle casse della società, nel caso quasi annunciato di fallimento e non qualificazione alla prossima edizione della Champions League e dell'Europa League, rappresenta l’unico argomento ponte verso nuovi programmi a corto medio raggio di 5 o 10 anni che prendano le redini dal progetto pilota che prevedeva la partecipazione fissa alle coppe europee, ma che in tal caso prescinda totalmente da esse, piuttosto corra in parallelo con lo status di un grande club, snellito di spese ma non di ambizioni. 

  1. IL ‘TEMPO’ MANCATO

A fine gara nell'intervsta dalla pancia dello stadio, Jens Cajuste dice “ci è mancato il tempo” veleggiando senza convinzione sulle concause che hanno portato alla mancata vittoria nella trasferta di Udine, in cui per altro lo svedese non ha mal figurato. 

Per “tempo” si può designare qualsiasi concezione di durata, di periodo, di intervallo all'interno di un contesto, all'interno di un segmento orario, all'interno di uno spartito musicale o all’interno di novanta minuti più recupero. Ma la dimensione del tempo è così ampia che dischiude scenari addirittura onirici, ai quali il calcio si presterebbe volentieri ma nell’immagine figurata che il centrocampista del Napoli ha voluto proporre c'era sicuramente quella della successione degli istanti in cui la squadra è entrata e uscita sistematicamente dai momenti catartici del gioco, in cui disconnettersi alla lunga si è rivelato fatale per il risultato.

Il fatto che al Napoli manchi il tempo, per quanto gliene sia stato dato, quand’anche esso ci fosse mai stato dovendo rincorrere sin dal principio, certifica che ormai tanti calciatori vivono in un altro tempo, che non è più quello del Napoli.

  1. I REDIVIVI RIVITALIZZATI DAL NAPOLI

Gli ultimi goal subiti dal Napoli su azione in campionato sono un caso studio.

Success non segnava una rete ufficiale dal 23 Aprile 2023, più di un anno fa. Stesso discorso dicasi per Abraham, giustiziere del Napoli nella domenica antecedente sempre all’ultimo respiro, che (causa grave infortunio) non entrava nel tabellino dei marcatori dal Marzo 2023 e addirittura Cerri, il quale ad Empoli aveva sancito il finale di stagione tragico per gli azzurri, non segnava un gol nella massima categoria da più di due anni.

Tre indizi fanno una prova: Il Napoli resuscita gli animi di goleador sopiti.

Non serve aggiungere altro a queste annotazioni cronologiche che portano alla ribalta contro il Napoli calciatori non più appariscenti, e che tra i molteplici demeriti di questa stagione trova la grottesca opportunità di restituire grazia a chi non ne aveva più. 

  1. AD OSIMHEN MANCANO I FRENI

Quando andrà via, mancherà forse troppo Osimhen al Napoli. E’ stato l'uomo della riscossa, colui che più di tutti gli ha permesso di godere del successo, il giocatore che si è affermato ed esaltato nel palcoscenico mondiale tra le prime punte sia del calcio italiano, dove staziona da tre stagioni sul gradino più alto alternandosi con Lautaro Martinez, che in Europa dove rincorre fenomeni del calibro di Haaland, Lewandowski, Salah ed Harry Kane tutti più di uno step sopra di lui.

Osimhen è stata la forza motrice del Napoli, capace di superare le forze spiranti all’incontrario e gli avversari più pavidi, ha dato al Napoli gol, generosità, altruismo, grinta, presenza costante nel gioco, slanci atletici fuori dall'immaginario e tanta dedizione per la causa che in molte circostanze hanno fatto di Osimhen un capo popolo ed un miracolo umano, partito dal fango della sua terra d'origine con cui erano fatte anche le case fino a potersi permettere di prosperare nell’oro.

Una scalata al potere peraltro ancora in divenire, figlia solo dalla sua forza di volontà che anche ad Udine prima lo spinge a fare un gol da attaccante indomabile, poi a prodursi in una giocata di finezza tecnica sbandierata a posteriori per fuorigioco millimetrico dal Var e soprattutto infortunarsi al ginocchio in uno scatto superfluo, per dare l'esempio alla squadra di che cosa poteva significare raggiungere quel risultato di cui ieri era unico protagonista fino all'uscita dal campo, lasciando la squadra in balia di se stessa senza il suo condottiero.

  1. EFFETTO DEPAUPERAMENTO ROSA DI CALZONA

Cicco Calzona si prostra dinanzi alla disfatta. Dice di aver trovato la squadra a Febbraio in condizioni mentalmente disastrose e che il lavoro fatto non è stato redditizio non solo per la combinazione di fattori negativi e parametri tecnici sbalzati. Si apprende dalla sua stessa analisi poi che la squadra non può entrare nelle contese sporche perché non ha queste caratteristiche, che ha recuperato ordine ma non riesce più a verticalizzare e che a palla scoperta indietreggia per un senso d’insicurezza.

Tutte situazioni di gioco che gravano come un macigno sullo scoring dei suoi e che dall’avvento del coraggioso tecnico Calabrese trapiantato in toscana, hanno fruttato la media di un gol e mezzo subito a partita e la miseria di 1,23 punti in 13 partite che ingenerosamente lo vedono essere il peggior allenatore degl’ultimi quindici anni del Napoli. A corroborare impunemente questo spregevole dato, c’è il fatto che oltre ai risultati, Calzona non abbia elevato il valore oppure il rendimento di alcun giocatore, standardizzando un livello di performance medio basso della squadra, anche dal punto di vista attitudinale e nei contenuti di gioco, insistendo su giocatori che non hanno più nulla da offrire, prevaricando la logica che il gruppo ormai ha perso valore, caratura e capacità di vincere perchè occorreva salvare il salvabile. Mission over.

  1. INEBRIARSI DEL PERICOLO ALLO SCADERE 

Il riconoscimento del pericolo ti fa drizzare le antenne dell’allarme, rende la capacità di concentrazione superiore alla norma e attiva il senso di reazione sul momento, sull'istante, sulla frazione di secondo anche di fronte ad una catastrofe. Eppure dinanzi a queste simulazioni, i calciatori del Napoli sembrano sempre più alienati, dopo aver pagato lo scotto di non aver potuto raddrizzare le ultime partite della stagione a causa del gol subito da Abraham in condizioni pericolanti, la squadra ci ricasca e stavolta non fa bene nè il pressing, né le marcature, né i contrasti per far sì che l'Udinese su l'ultimo disperato attacco all'area partenopea, riesca a tirare fuori il coniglio dal cilindro.

Un gruppo di giocatori che imbelle dinanzi a quello che succede, che non percepisce quanto valga di più spendere intelligentemente un fallo in quel momento che eseguire un tiro preciso in un altro frangente, perché non c'è esitazione alla paura nel cuore di chi lotta ed è evidente in questo caso che quando c'è da aver paura il Napoli s’irretisce.

  1. CANNAVARO UNICO NAPOLETANO FELICE

Avrà certamente provato emozioni ondivaghe ed incendiarie allo stesso tempo Fabio Cannavaro, che nel calcio mondiale è una leggenda e porta alto il nome di Napoli in giro per il globo grazie alla sua fama e al suo buon esempio, dovendo affrontare alla sua vera prima partita casalinga in Serie A la squadra del cuore, il suo passato e presente, in una Nemesi rovesciata, per il fatto di non essere lui ad allenare gl’azzurri ma implicato in una situazione addirittura più ardua con i friulani.

A fine partita, dopo aver preparato molto bene il match contro gli azzurri che avrà avuto come punto di riferimento di analisi e studio negl’ultimi anni, Fabio si è mostrato placido, modicamente soddisfatto e coerente con la sua storia recente, senza alludere a nessun condizionamento, valutando episodi in modo fugace, basandosi su elementi di partita che soppiantano la discussione sulle singole azioni.

La sconfitta avrebbe determinato la quasi certa retrocessione dell’Udinese, che ora con sette punti in tre gare può ancora auspicare che il terreno sia fertile per garantirsi la serie A, stavolta con la griffe partenopea.


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