Per capire se ci teniamo alla Champions, basta guardarci dentro e chiederci: quanto stiamo pensando alla sfida di stasera? Oppure andare a vedere quante ore ci sono volute per polverizzare i biglietti per la partita di ritorno, senza nemmeno sapere come andrà a Francoforte.

Certo, puntare a vincere la Champions è obiettivo ben diverso dal puntare ad arrivare al “prossimo turno”.

Se la vittoria finale non è possibile da prevedere nemmeno per le squadre più blasonate è chiaro che l’obiettivo di eliminare l’Eintracht, fosse anche per la vendetta sportiva degli ottavi di Coppa Uefa del 1994, è sicuramente alla nostra portata. E dunque non è possibile derubricarla a sfizio, per motivi anche piuttosto sostanziali.

Uno di questi è che il primo salto di qualità che il Napoli ha fatto questo meraviglioso anno è stato proprio grazie alla Champions e a quel 4-1 senza senso al Liverpool che ci ha fatto pensare, a noi come ai giocatori, che "oh, ma vuoi vedere che siamo veramente forti?" fino a darci la convinzione di poter assurdamente pensare di vincerle tutte anche in campionato. E se l'Europa parla del Napoli non è stato per il sofferto successo di San Siro a Milano con gol del Cholito, ma per il 6-1 rifilato all’Ajax ad Amsterdam – la sconfitta più netta mai subita in casa nella storia dei lancieri – con il Napoli in versione deluxe. E senza Osimhen in campo, tanto per ricordarlo. Quindi vincere in Champions non serve solo ad andare avanti in Champions.

Il secondo motivo è quello più conosciuto: vincere aiuta a vincere. Perdere aiuta a perdere. Di quest’ultimo detto, meno famoso, ne ha dato un recente esempio il Milan che, per una partita storta è passato dal parlare di scudetto e “meritavamo noi” ad un rovinoso -18 dagli Azzurri. Ma, guardando al nostro orticello, chi meglio di noi può sapere quanto sia facile passare da una sconfitta ad un’altra. La vittoria invece porta autostima e dona consapevolezza. Se poi arriva in un ottavo di Champions ne da tanta. Ma proprio tanta. Specie ad un club che i quarti di Champions non li ha mai visti. Dunque aggiungiamo la voce: sarebbe un traguardo storico.

Terzo ed ultimo motivo: arrivare più lontano possibile permetterebbe da un lato di far ruotare più giocatori, dando ad ognuno lo spazio che merita (alzi la mano chi non avrebbe voluto vedere in campo Cholito e Raspadori, se Jack non si fosse fatto male, sabato contro l’Empoli) per migliorarne ancora di più la forma (ed il valore), e dall’altro anche di attrarre gli occhi degli addetti ai lavori ancora di più.

Eh sì, perché al di là del mero aspetto economico, per un Osimhen, esempio non a caso, sarebbe un pizzico più difficile salutare un Napoli che arriva tra le prime quattro in Champions League. Oppure, se proprio volesse cimentarsi altrove, per il Napoli sarebbe molto più semplice convincere un giocatore di alto livello a sostituire Victor, senza doversi appellare al sole, al mare, la pizza e al piazzamento nazionale.

Quindi, in conclusione, consapevoli che quando si gioca un doppio confronto sono i dettagli a deciderla: il Napoli non può considerare la Champions come uno sfizio. Anzi, è tutt’altro che uno sfizio.

Ma poi volete mettere il brivido di provare il sorteggio delle palline dei quarti con il nome "SSC Napoli" all'interno, preceduto da un'intera mattina a fare le nostre simulazioni o a dire all'amico "io voglio il City perché ormai possiamo giocarcela con tutti" o parimenti "io temo il derby italiano" e via discorrendo.

E allora andiamoci a prendere quelle palline, su.