La chiacchierata inizia con un filo di suspense, da romanzo giallo. Già, perché Valeria ed io (mi ha dato del tu dal primo momento e ne ho approfittato) ci eravamo sentiti tramite messaggi ed avevamo preso appuntamento una settimana prima, dopodiché lei era scomparsa dai social. Ventiquattr'ora prima del nostro incontro le ho inviato un memo, ma niente; ho rifatto lo stesso la mattina dell’appuntamento e ancora silenzio. Voi che avreste fatto? Beh, nel dubbio ho pensato di andare lo stesso. Metti che lei viene comunque, che figura ci faccio poi se non mi presento?

Quindi, all’ora concordata ero lì ad attenderla, onestamente con poca speranza di vederla. Avrà avuto un contrattempo e non ha avuto il tempo di avvisarmi ho pensato – oppure, con tutti gli impegni che ha, avrà dimenticato questo che comunque mi ha concesso con squisita disponibilità. Mentre mi giocavo tutti gli alibi possibili, è lei a riconoscermi e a venirmi incontro. Ci accomodiamo ad un tavolo di un bar, al riparo dal Sole di giugno che ormai pare abbia deciso di annunciare finalmente l’estate, ed è Valeria la prima a prendere la parola.

Non pensavi di vedermi eh?

In effetti ho iniziato a temere che mi avresti dato buca, ma sappi che ti avevo già trovato mille giustificazioni nella mia testa.

La verità è che avevo deciso di fare un fioretto: una settimana di astinenza da social. Avevo avvertito i primi sintomi della dipendenza ed ho pensato di tagliarla sul nascere. Però ricordavo il nostro appuntamento.

Meno male! Sei stata davvero gentile a concedermi questa chiacchierata e, siccome ti avevo promesso che non avremmo affrontato più di tanto il tema Calcio, che in fondo è solo un pretesto per parlare di tutto quel che ci viene in testa, ti verrò incontro con la prima domanda.

Spara.

Mi dici la formazione del Napoli Campione d’Italia 2022-23?

Valeria ride di gusto. Ma no! Non la so!

Dai che la sai. Almeno qualche nome.

Vediamo: Meret, Osimhen, Kvaratskhelia, Lozano, Mbappè…

Eh???

No, scusa, come si chiama, aspetta! Ndombélé? Un momento, ho una spiegazione!

Sentiamo.

Ieri ho letto un articolo di Giulio Biino, uno dei presidenti del Circolo dei lettori del Salone del Libro di Torino, dove ho lavorato fino a poco tempo fa, in cui menzionava Mbappè. Mi sarà rimasto impresso.

Magari giocasse con noi. Purtroppo ci è toccato Ndombélé (al quale però vogliamo comunque bene). E invece chi sono il nostro Capitano e l’allenatore?

Di Lorenzo e Spalletti. Qui Valeria non ha dubbi. Però, senti, secondo me Spalletti l’hanno un po’ sedato l’ultima sera della festa, non pensi?

In che senso?

Non lo so, forse dipende da una sua capacità di essere Zen. Mi è sembrato un po’ assente.

Ma eri allo Stadio?

No no, l’ho vista in TV da casa.

Ti è piaciuta?

È stata divertente, sono stati tutti bravi, però avrei preferito veder girare la squadra per le strade, e secondo me pure Spalletti preferiva così. Era strano. Che gli sta succedendo?

Beh, lui ha detto più volte di avere un rapporto complesso con la felicità. Non è capace di godersela fino in fondo. Magari dipende da questo.

E secondo te perché a noi piace molto più l’uomo incapace di gioire piuttosto che il proprietario della squadra, l’uomo che comanda insomma, magari anche un po’ tronfio e pieno di sé?

Ammazza, la tocchi piano…

Eh.

È una bella domanda in effetti, però sei tu quella che dovrebbe dare risposte qui.

Eh no, invertiamo un po’ le regole, dai. Del resto questo è un dialogo. Domandi tu e domando io. Quindi rispondimi. Anzi, te la specifico: come giudichi la fine di questo rapporto tra Spalletti e De Laurentiis?

Allora, io ricordo una scrittrice che una volta scrisse che in una relazione c’è sempre chi decide e chi segue (ndr Troppa importanza all’amore, di Valeria Parrella). Forse in questo caso si sono incontrate due persone decisioniste e da qui è nata la frattura, lenta ma inesorabile.

Ma questo non è un matrimonio, però!

Ma è comunque una relazione.

La tua interpretazione è molto elegante ma non mi ha convinto. Secondo me è più semplice: siamo di fronte ad una situazione gerarchizzata in cui il più ricco comanda. La possiamo leggere anche utilizzando la mitologia greca.

In che senso, spiegamela come se fossi uno studente di Liceo classico a questo punto!

Noi abbiamo il nostro Pantheon, fatto di Urano, il Dio Padre, che sarebbe Maradona che ora ci guarda dai cieli. Abbiamo le nostre edicole votive, che sono i Quartieri Spagnoli, abbiamo il santuario che è lo Stadio, e in questi ultimi due anni abbiamo avuto Prometeo che ha rubato il fuoco da Zeus per donarlo agli uomini: Spalletti!!

Stai dicendo quindi che Aurelio De Laurentiis è…

Zeus! Che, privato del fuoco da Prometeo, decide di punirlo.

Lo sai che, se l’ego del Presidente è forte così come ci è sempre stato descritto e come appare, sentirsi paragonato a Zeus è musica per le sue orecchie, vero?

Fa nulla, anche perché preferisco parlare di Spalletti.

Ti piace?

Tantissimo. La cosa che ho amato di più di lui e poi della squadra in generale è stato questo understatement, che invece De Laurentiis non ha e che nemmeno la città, visto il suo andare facilmente su di giri. I giocatori di questa squadra sapevano che stavano compiendo un’impresa sportiva storica ma lo hanno fatto sempre come se fosse la cosa più normale del mondo, come se fosse il loro lavoro in fondo.

In effetti De Laurentiis è l’antitesi dell’understatement, ma mi interessa approfondire questo tuo concetto. Me lo spieghi più nel dettaglio?

Innanzitutto è stato bello concederci questa gioia collettiva dopo dei momenti duri come la pandemia, così come accadde negli anni Ottanta dopo il terremoto. E poi, quando i giocatori durante la festa hanno sfilato ognuno con la bandiera del proprio Stato avvolta addosso, è stato meraviglioso. Io non sono affatto campanilista. A me non frega nulla dove inizia una città, dove termina e dove ne inizia un’altra. Esistono le nazioni linguistiche – quelle sì – ma questo Napoli così multilinguista mi ha fatto impazzire. Guardare questi ragazzi, ognuno con la propria lingua, prendere il loro talento individuale, venuto da un altro continente e da altre culture, e metterlo al servizio di una squadra mi ha commosso. Vedere Kvaratskhelia festeggiare abbracciato alla madre, spaesata come una turista qualsiasi, mi ha fatto dimenticare il tipico calciatore iper tatuato, testimonial pubblicitario e mi ha riportato all’essenza dello Sport.

Beh, in effetti la lingua è molto caratterizzante di una cultura. Il paradosso di questa squadra è che i giocatori forse più rappresentativi, come Kvara, Osimhen, lo stesso Kim, completamente spaesato il giorno del dì di festa, non hanno mai proferito un’intera frase in italiano. Chissà, forse è stato anche questo uno dei segreti della vittoria.

In linguistica questa caratteristica si chiama koinè.

Me la potresti spiegare?

In parole povere è un modello linguistico, ispirato all’antica Grecia, che consiste nella capacità di trovare tra persone di provenienza diversa uno schema linguistico che permetta di vivere insieme, lavorare insieme, comunicare insomma, tramite una lingua comune che pesca un po’ da tutte le altre.

Quindi stai dicendo che i nostri giocatori hanno trovato come unica lingua comune… il Calcio!

Proprio così! Del resto io credo che ognuno di noi per dare un buon servizio alla comunità dovrebbe semplicemente fare bene il proprio lavoro. E loro lo hanno fatto.

E qui però mi dai un assist per lanciarti una provocazione.

Vai pure.

Anche De Laurentiis è uno che fa molto bene il suo lavoro…non trovi?

Io non l’avrei cacciato Spalletti! Su questo Valeria non vuole sentire ragioni.

Sicura che l’abbia cacciato lui?

Sì! Per me è stata una questione di comunicazione. E se pure fosse stata una decisione di Spalletti, vuol dire che ADL si è giocato male l’opportunità di convincerlo a restare.

Beh, una possibilità è che Spalletti abbia deciso già da tempo il finale di questa storia. Magari non è riuscito a superare certi piccoli dissidi risalenti all’anno scorso.

Può essere, ma De Laurentiis è uomo abile nella comunicazione, mi sorprenderebbe apprendere che non sia riuscito a fargli cambiare idea, di conseguenza concludo che questa separazione sia stata una sua volontà. Spalletti che nemmeno ha terminato il campionato che già dice che se andrà, l’anno sabbatico… mah, tu ci credi? Io no.

Però a volte quando uno ha già deciso la fine di una storia, non c’è nulla che possa fargli cambiare idea. Tu, per esempio, quando scrivi un libro, quando lo decidi il finale?

Prima dell’inizio. Non esiste autonomia del romanzo, non scherziamo.

Ecco, vedi? Magari Spalletti ha fatto lo stesso.

Chissà. Valeria mi concede l’onore delle armi, ma in realtà non sembra affatto che l’abbia convinta.

Insomma, che tu preferisca Spalletti a De Laurentiis è piuttosto chiaro. Del resto mi vien da pensare che, in quanto scrittrice, hai qualcosa in comune con l’allenatore. C’è una frase molto usata nel Calcio ultimamente: “se un allenatore sa solo di Calcio allora non sa nulla di Calcio.”

Oh, mi sembra interessante. Penso valga per tutti i giochi di squadra, allora.

Sì. È’ legata al fatto che un allenatore deve gestire degli uomini, non solo all’interno del rettangolo di gioco, ma anche fuori. Deve saper empatizzare con tutti loro, con i titolari così come con le riserve, essere un po’ psicologo. Non trovi una similitudine con il tuo dover gestire tanti personaggi al servizio di una trama?

Fammi pensare… no! Non sono d’accordo. Se io voglio uccidere un personaggio, lo uccido. Se lo voglio far scomparire, lo faccio scomparire. Puff!

Quindi non ti capita mai che un personaggio ti conduca dove non vuoi.

Assolutamente no. C’è chi lo dice ma non ci credo, un po’ come la storia di ADL incapace a convincere Spalletti (non l’ha proprio mandata giù questa separazione!). Sono io ad insufflare la vita nel personaggio. Sono il suo Creatore. So che a volte si ha la sensazione che il personaggio devii dalla sua linea originaria, ma lo fa perché sei tu scrittore che lo fai deviare, è la tua fantasia al comando. Non è verità. Quella verità nasce solo nella testa del lettore nel momento in cui la leggerà. Nel romanzo, quindi io non sono soltanto l’allenatore, ma anche il giocatore, il massaggiatore, quella che sistema le zolle del campo!

Ok ok, e invece cosa pensi del fatto che esistono allenatori definiti giochisti ed altri risultatisti? Con i primi più facilmente assimilabili al “bel gioco” ed i secondi che invece fanno tendenzialmente dipendere il loro destino dai campioni che hanno in squadra? In un romanzo conta più avere un personaggio molto caratterizzante oppure una trama ben articolata? Insomma, come scrittrice sei più Spalletti o più Allegri?

Ehi, calma, calma! Non c’era bisogno che mi facessi l’esempio, avevo capito cosa intendessi! Questo si chiama mansplaining!!

Oddio, no no, è che pensavo di essermi spiegato male…

Sì sì, va bene. Faccio finta di crederti, mi dice ridendo. Io mi sento colto in fallo, ma me lo merito. Così imparo ad essere troppo didascalico.

Comunque io penso che i personaggi molto caratterizzati siano più legati alle saghe, alla serialità in generale. Secondo me la letteratura è fatta di libri singoli, non di prequel, sequel, spinoff, roba nobilissima ma moderna e non classica. Non penso che Dostoesvskij avesse in testa un sequel del personaggio che aveva ucciso con un’ascia una povera vecchia. Questo è il genere a cui mi ispiro. Inoltre quando inizio a pensare ad una nuova storia, lo faccio per mesi e mesi senza prendere appunti perché sono convinta che la memoria mi faccia da editor: taglia quello che in fondo non serve, ma comunque ciò che conta è che la trama nasce insieme al personaggio. Anzi, Il movimento emotivo e dinamico del personaggio è già parte della trama stessa. Non lo puoi scindere.

Insomma, un po’ come il calcio fluido che piace tanto a Spalletti. Il giocatore che è lo schema stesso.

Esatto, ed anche come Napoli.

In che senso?

Di Napoli ti devi prendere il bene e il male. La grazia e la disgrazia. Il mare e la merda. Non puoi separarli.

Il mare e la merda. Potrebbe essere un gran bel titolo per un romanzo (non il massimo per il traduttore francese). In ogni caso, possiamo concludere che Valeria Parrella come scrittrice sia più affine a Spalletti che ad Allegri. Sei d’accordo?

Certamente, poi Allegri non è che mi stia molto simpatico, lo ammetto. Ha pure mollato Ambra!

Diciamo che Allegri non fa molto per risultare simpatico…. Ah, qui la domanda nasce spontanea: tra Allegri e ADL chi butti giù dalla Torre?

Senza dubbio Allegri. “Mi salvo il mio” si dice no? Quindi mi tengo De Laurentiis.

Viva Zeus, allora. Tornando ai romanzi, ne hai mai letti di sportivi? Valgono anche i saggi.

Lessi il “Te Diegum” di Claudio Botti, un libro degli anni 90, costruito sul mito di Maradona, e poi “Fútbol, Storie di Calcio” del giornalista argentino Osvaldo Soriano. Conosco anche Open di Agassi ma non l’ho letto.

Sai che proprio da Open c’è una frase che mi è tornata in mente in questo periodo? È questa: “una vittoria non è così piacevole quant'è dolorosa una sconfitta. E ciò che provi dopo aver vinto non dura altrettanto a lungo.”

Ma è una frase meravigliosa! Mi fa venire in mente un episodio che mi è capitato. Da un mio romanzo, “Lo Spazio Bianco”, venne tratto un film che poi fu proiettato al Festival del Cinema di Venezia. Ricordo di aver provato un momento di commozione quando venne chiesto alla regista, alla protagonista (Margherita Buy ndr) e a me di alzarci in piedi per prenderci gli applausi della platea.  Ecco, durante quell’attimo fui tentata dal pensare a tutte le cose che avrei dovuto fare dopo, alle sfide nuove che avrei dovuto affrontare, al fatto che avrei dovuto tenere testa a quel momento così alto, però ho avuto la prontezza di smontare in tempo quel pensiero. Mi sono detta “Valè, ma goditela e basta!” Bisogna sapersi prendere il bene. Anche su Twitter, vedi, quando parlo del Napoli lo faccio solo in momenti di gioia, non di dolore.

Pensi sia la strada giusta anche quando abbiamo a che fare con i famosi cori razzisti? Lasciar andare il dolore?

Secondo me in questi casi bisogna essere più distaccati e superiori. Sono Gandhiana, la via del combattere è il non combattere. Quando le cose vanno bene ne dobbiamo essere partecipi e quando vanno male dobbiamo esser consapevoli di aver fatto il possibile per farle andar bene. Ma comunque meglio non entrare in certe schermaglie. Vedi, per questo non sono su Twitter da una settimana! Se entri nell’Agone poi devi anche sapere restare a quel livello. E non credo di esserne capace. Meglio una chiacchiera ed un caffè con te!

Grazie! Il piacere è tutto mio. E ne approfitto per una domanda fissa di questa rubrica e che ha pure un titolo tutto suo: Vesuvio Erutta! Domanda calzante come non mai, visto che il tuo ultimo romanzo, La Fortuna, trova la sua collocazione temporale proprio a ridosso dell’eruzione del 79 d.C.

A proposito, ma chissà se lo sanno che qui abbiamo l’Osservatorio Vulcanologico Italiano, che tiene sotto controllo tutti i Vulcani attivi d’Italia. Prima di scrivere “La Fortuna” sono andata a documentarmi lì e la direttrice mi ha mostrato l’attività del Vesuvio, dell’Etna, della Caldera dei Campi Flegrei, mi ha descritto anche tutti i protocolli di sicurezza da osservare in caso di emergenza e mi ha anche rassicurato sull’eventualità che un evento del genere possa accadere in tempi “umani”.  E quindi, sai cosa ti dico? Che ci frega di quello che cantano e sperano gli ignoranti, tanto avrà sempre ragione l’Osservatorio.

E se invece accadesse l’imponderabile? Puoi salvare solo una cosa di Napoli o dei napoletani. Quale scegli?

Lasciami pensare… forse salverei il Mosaico di Alessandro Magno del Museo Archeologico Nazionale.  Lo guardi e ti commuovi per la bellezza. E magari pensi a quanto sono lontani lo Spazio ed il Tempo dal quale proviene, a quante Civiltà sono passate, a quante persone sono nate, vissute e morte nel frattempo, a quante partite di calcio magari hanno giocato nell’Anfiteatro di Pompei in tutti quegli anni! L’Arte ci sopravvive sempre, alla fine.

E forse è giusto così. Il Tempo è volato e vale anche per questo nostro incontro. Dunque, ora ti tocca la domanda finale: Cunusce a Lello, tu? Perché sei rimasta a Napoli?

Ma io ho cinquant’anni, dove vuoi che vada?

Però anche a trenta sei rimasta. Perché?

Ma sì, in fondo lo diceva anche Troisi, ogni giorno scegliamo di restare. Ed io l’ho fatto e lo faccio perché ho gli affetti.  Le persone che amo vivono qui. E quindi per me Napoli è la città più facile nel mondo. Probabilmente se fossi nata a Roma direi lo stesso di Roma oppure se mi fossi innamorata di un berlinese sarei andata a vivere a Berlino.

Beh, visto che Spalletti ci ha lasciato dicendoci che non se la sentiva di continuare proprio perché amava troppo Napoli e il Napoli per non dedicar loro tutte le sue energie, direi che una chiusura in nome dell’Amore sia adatta anche per terminare la nostra chiacchierata!

Sono assolutamente d’accordo. Viva l’Amore e viva Spalletti!