Era il 23 dicembre 2020. Turno infrasettimanale prima di Natale. Napoli - Torino.

Venivamo da due sconfitte dolorose. A Milano contro l’Inter, espulsione di Insigne e rigore di Lukaku in una partita dominata, ed a Roma contro la Lazio, 2 a 0 senza storia.

Ma quel giorno il Napoli non era in cima a miei pensieri.

Mamma stava morendo.

Il tumore diagnosticato a luglio la stava divorando. I dottori ci avevano dato un’aspettativa di vita di tre anni. Io a quei tre anni mi ero aggrappato come un naufrago sulla scialuppa di salvataggio.

Tre anni.

In fondo è sempre una questione di prospettive.

All’inizio ti sembrano pochi, niente, un soffio. Poi ti abitui, e provi a vivere giorno per giorno, ogni momento come se fosse l’ultimo.

Eppure ero convinto che ci fosse ancora tempo. Ma il tempo stava scadendo. Inesorabile.

La situazione era precipitata in pochi giorni.

Io non mi sentivo pronto.

Ma chi lo è?

Quella mattinata era stata straziante.

Corsa tra le farmacie a fare scorta di ossigeno, un andirivieni infinito di infermieri, fisioterapisti e dottori.

Dolori, urla continue, panico, sensazione di impotenza.

Nel pomeriggio era andata un po’ meglio. In termine medico credo si chiami miglioria premorte, o una cosa del genere.

Con grande fatica riuscimmo a farla sedere. Il corpo stava cedendo, la mente era maledettamente lucida.

Le feci vedere le foto dei nipoti, misi un paio di canzoni, cominciai a raccontarle cose del passato. Faceva sì con la testa, un sorriso forzato attraverso il respiratore.

Provavo già ad abituarmi all’assenza.

Poi ricominciò l’agonia.

Mi allontanai dalla camera da letto trattenendo le lacrime.

So che può sembrare folle, ma il pensiero della partita in qualche modo mi trasmise serenità.

Era come se fuori il mondo continuasse a girare.

Andai in salotto e, con le luci spente, misi Dazn sul cellulare.

Pensai che per compensazione quella saremmo avremmo vinto.

E invece facemmo schifo.

All’improvviso suonarono alla porta. Entrò un dottore amico di famiglia, un tipo della Asl.

Fu molto gentile. Ci disse che avrebbe cercato di far autorizzare una trasfusione che avrebbe alleviato il dolore.

Qualcuno a casa si illuse.

Io no.

Io non mi ero mai illuso. Forse per proteggermi.

Se ne andò dopo un’ora. Vagai un po’ per la casa. Mille pensieri e non me ne ricordo manco uno.

Quando tornai a vedere la partita eravamo sotto di una rete. Gol di Izzo, un ex. Un classico.

Mi venne da sorridere pensando che, per la prima volta, non me ne fregava un cazzo.

Nei gruppi WhatsApp volavano gli insulti per quella prestazione ignobile.

Io mi sentivo distante da tutto.

Poi qualcuno a casa disse che bisognava andare in farmacia.

Avrei potuto finire di vedere la partita ma ogni cosa mi sembrava senza senso.

“Vado io”, dissi.

Avevo bisogno di prendere aria.

Eravamo nei minuti di recupero. Pensai che non avremmo segnato neanche se la partita fosse durata due giorni.

Scesi le scale, aprii il cancello e il silenzio fu squarciato da un urlo.

D’istinto afferrai il cellulare e misi Live Score.

Insigne. 1 a 1.

“Afammocc!”, sussurrai tra i denti.

Poi andai a comprare le medicine.