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Aurelio De Laurentiis
Aurelio De Laurentiis

Il Napoli non è mai stato il Real Madrid e nemmeno la Juventus. E mai lo sarà. Può fare “certe cose” solo restando in parametri economici definiti che, per inciso, farebbero il bene del calcio italiano se applicati su scala nazionale.

Antonio Conte lo sapeva anche prima di firmare. Ha avuto otto mesi per elaborare il lutto di essere finito a Napoli. Il suo passato, i campionati vinti, la sua fama, alla fine lo hanno portato qui. Accompagnandolo gradualmente fuori dal giro dei top club europei. E non gli è andata neanche troppo male, visto che gli azzurri sono l’unico club con soldi veri da dedicargli per colmare le sue insicurezze.

Il signor Antonio Conte porti rispetto al Napoli. Alla sua storia e ancor di più alla sua storia recente. Ad ascoltarlo da otto mesi sembra quasi che il club di De Laurentiis non sia altro che quello finito decimo.

Eccezione trasformata in regola a furia di ripeterla e di ripeterla e di ripeterla. I tre lustri precedenti, invece, fatti di crescita costante, obiettivi annunciati e poi sistematicamente centrati in netto anticipo rispetto alla tabella di marcia, ridotti a figli del caso.

Da inizio anno il serial winner ha puntato forte su una comunicazione da cancel culture. Era scontato trovasse terreno fertile in quella parte di piazza, tifosi e media locali, che hanno vissuto con il marjuolo in corpo l'ascesa epocale del Napoli di De Laurentiis. Ma pensare che da queste parti ci siano solo creduloni è presuntuoso almeno quanto aver creduto di poter battere gli undici milioni del Psg con il carisma.

A proposito di Kvaratskhelia, oggi Conte ha deciso di smarcarsi anche dall'unica responsabilità che aveva avuto il coraggio di assumersi in un rarissimo slancio di onestà intellettuale. Il due di picche del georgiano è stato un brutto colpo alla vanità del tecnico che crede che il tempo per lui non passi mai e che il suo curriculum riesca a bucare anche le nuove generazioni di calciatori forti. Ma questa categoria di stelle le convinci se hai credibilità in Champions o se proponi un calcio europeo, moderno, coraggioso, che esalti talento più che il sacrificio militare tutto patria e famiglia.

Il Napoli gli ha dato l'opportunità di fare l'allenatore manager e lui è inciampato, anche goffamente. Come allenatore - da campionato - regge ancora botta, ma come comunicatore e gestore decisamente da rivedere. Forse è arrivato il momento di abbandonare la doppia ambizione e dedicarsi a tempo pieno al core business che gli ha permesso di auto proclamarsi serial winner. Anche perché negli ultimi mesi non ci è stato concesso di goderci novanta minuti interi di buon Napoli: sarebbero bastati e avanzati per affrontare questo rush finale da una posizione di vantaggio e non di rincorsa. E invece, altro che miracolo.


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