Nel lontano 2016 Piotr Zielinski rappresentava il rampollo della leva calcistica del 94 della serie A. La mezzala dalle uova d’oro, estro, classe e tecnica di puro prestigio messe a disposizione delle platee del massimo campionato nazionale. Nonostante il suo percorso in Italia si era diviso tra Udine (società che deteneva il cartellino) ed Empoli (società con cui si era messo in mostra), quest’ultima le consentì di giocare con continuità e di poter mostrare il suo talento e fare gola ai club di maggior blasone. Dribbling da fantascienza, regia e cucitura del gioco suscitarono le fantasie della società partenopea, degne di ispirazione a tal punto da annotarlo sul taccuino degli acquisti per poter ricoprire il ruolo del vice Hamsik, l’allora capitano inamovibile dello scacchiere del Napoli di Maurizio Sarri.

Aurelio De Laurentiis aveva già un accordo di massima con la società di Pozzo che deteneva il cartellino del calciatore, ma lo stesso - probabilmente affascinato dai rumors di mercato - non diede l’impressione di voler concludere in fretta e in furia il suo passaggio alle pendici del Vesuvio. Nomi altisonanti come Milan e Liverpool, interessati anch’esse alle gesta del calciatore, portarono alle lunghe la firma del contratto, al punto tale da generare malumore al Patron della società azzurra, al punto tale che espresse ai microfoni dei media: “Sembra che il calciatore stia facendo di tutto per non firmare”.

Napoli è una città che ti accoglie e ti avvolge con tutto il suo calore, ma è anche diffidente per chi non ne sposa la causa. Già nel recente passato fu costretta ad assistere allo sgradevole “mal di pancia” di un idolo come fu il Pocho Lavezzi, il quale nel finale di una stagione tribolante come quella del 2008-09 si fece protagonista della classica “fuitina” nel suo paese d’origine alla ricerca di trasferimenti di alto borgo europeo che - con reali richieste, e non inventate di sana pianta (come poi si scoprì a suo tempo) - si paventarono solo nel 2012 con la cessione del calciatore al Paris Saint Germain.

Il rapporto instauratosi tra la città e Piotr Zielinski è stato sempre alquanto altalenante, sia per le prestazioni discontinue del calciatore sul campo che per un legame che tardava a saldarsi, anche per il susseguirsi delle molteplici instabilità che subì l’ambiente societario agli eventi sopraggiunti dopo la stagione dei 91 punti. Probabilmente lo snodo cruciale si è avuto dopo la conquista del suo primo trofeo qui a Napoli, una coppa Italia sotto la gestione Gattuso ottenuta con regolare titolarità nell’undici azzurro e la definitiva consegna delle chiavi del centrocampo partenopeo. Le doti del calciatore polacco non sono mai state messe i discussione, ma le potenzialità inespresse possono valorizzarsi solo attraverso il senso di appartenenza e il vissuto della terra in cui si è deciso di intraprendere il proprio percorso.

Questi è un sentimento d’identificazione e di attaccamento che si dedica a un gruppo o a un ambiente che si sente a sé vicino. Ma, a sua volta, il legame sociale che si instaura produce un impegno verso il gruppo per cui si è scelto di legarsi, il che rende possibile l’identità sociale e l’affinità dello stesso gruppo. L’identità del luogo è definita dalla correlazione del proprio essere con il suo contesto fisico, continente di riferimenti spaziali, sociali e storici.

Il senso di appartenenza e l’identità individuale sono correlati. Quest’ultima non corrisponde solo all’idea che una persona ha di se stesso, bensì si correla con l’affinità che si instaura alla presenza dei restanti componenti del gruppo, dall’alterità etnica che lo stesso può conferire e da come si riesce nell’intento di strutturarla in base alle relazione con gli altri e dalla connivenza di significati ed esperienze.

La consacrazione di Zielinski

Rompere gli argini, coglierne l’essenza, il numero venti azzurro di tutto questo ne ha fatto - probabilmente tardi rispetto al suo avvento, ma quantomeno ci è riuscito, un sol boccone negli ultimi 3 anni, sollevando sul groppone ad ogni partita un carico di responsabilità che mai - o solo in poche occasioni - si era notato fin prima.

La gestione Spalletti lo ha portato alla definitiva consacrazione, il doppio passo all’Allianz Stadium con lo scarico verso Elmas per l’assist vincente a Raspadori è stato probabilmente l’apostrofo rosa della stagione che lo ha visto tra i principali protagonisti della conquista del tricolore; l’assieparsi sul terreno di gioco dopo il gol della vittoria sul campo della Juventus al 93º ha raffigurato il dejà vu della sua carriera in azzurro, la rivalsa di quel sogno infranto cinque anni or sono, in quel momento è calato il sipario della serenità. Per tutti, anche per i suoi ex compagni. La gratificazione di avercela fatta: il conflitto interiore e la repressione che volavano via una volta e per sempre. La guerra era finalmente finita.

Ad oggi, con l’incontrastato sopraggiungere delle super potenze arabe, con i loro possedimenti e la possibilità di ricoprire d’oro chiunque voglia approdare alla corte dei petrodollari che mette a disposizione la Lega saudita, ci appropriamo delle nostre convinzioni: Piotr Zielinski è un napoletano d’adozione. In tutto e per tutto. Ebbene sì, perché dopo aver glissato al perentorio assalto del dinamico duo Lotito-Sarri, sicuri nel convincerlo a cambiare casacca, il polacco ha ulteriormente rifiutato il lauto compenso di 36 milioni per 3 anni che proponevano i dirigenti dell’Al Ahli.

Quella orientale si appresta a diventare probabilmente una dimensione per super eroi consumati, ma la città di Napoli dei Batman di plastica ne ha probabilmente vissuti fin troppi, oggi può vantarsi di possedere il prode scudiere nelle vesti del suo Robin ancor più prezioso.