Le settimane immediatamente successive alla matematica vittoria dello scudetto del Napoli sono state caratterizzate, oltre che dall'analisi del capolavoro e dalle relative lodi, dall'entropia che ha accompagnato la narrazione sul prossimo futuro del club azzurro.

Nel calderone mediatico sono finiti tutti, in un tritacarne in cui è difficile cogliere la differenza tra fatti, sensazioni, rumours e boutade. Era evidente che, dopo il divo Giuntoli, a finire attenzionato come futuribile partente, ci finisse pure lui, Luciano Spalletti. Anche perché, diciamolo chiaramente, il racconto del fuggi-fuggi generale dal Napoli a fine stagione è oramai un vero e proprio genere letterario, un best-seller per il quale è bene farsi trovare pronti, anche se l'estate metereologica tarda ad arrivare.

Nel caos informativo di queste ore, si è raccontato tutto ed il contrario di tutto, dando in pasto alla piazza anche una serie di stilemi che da sempre accompagnano i caratteri dell'allenatore e di Aurelio De Laurentiis.

Spalletti a un bivio: rinnovo o non rinnovo?

Razionalizzando, proviamo a ricostruire la vicenda che, da meri osservatori, desta particolare interesse: qualche mese fa, come abbiamo raccontato in anteprima su Napoli Network, il Napoli ha formalmente esercitato l'opzione di rinnovo automatico del contratto dell'allenatore. Un passaggio, previsto contrattualmente, esercitabile fino a sessanta giorni prima della scadenza (giugno 2023); per l'appunto, un passaggio formale, costitutivo di un rapporto giuridico protratto e dichiarativo della volontà del club di proseguire con il proprio tecnico anche per l'anno successivo.

Passaggio, peraltro, comune nella prassi del club azzurro, nota anche a Spalletti che, infatti, l'anno scorso affermò di apprezzare un metodo che, in ogni caso, garantiva la possibilità di ragionare anno per anno, soprattutto per lui, giunto alla soglia dei 65 anni, allenatore col maggior numero di panchine in serie A.

Ecco, contestualizzata tale affermazione, possiamo intravedere un primo elemento di potenziale incrinatura del rapporto con la società. Se Spalletti e il Napoli si sono dati come metodo quello di 'ragionare' sulla possibilità di aggiornarsi a fine stagione, un passo in avanti di qualsivoglia natura, per quanto in buona fede, significa, in special modo per un uomo che sulle spigolosità dei rapporti ha costruito la sua immagine pubblica, prendere una strada eccentrica rispetto ai patti.

Il DS figura chiave per la permanenza di Spalletti

In tutto ciò, si può supporre anche che l'imminente addio di Giuntoli, nota a Castelvolturno da sei mesi a questa parte, abbia fatto venir meno quel cuscinetto di cartilagine che garantiva la coesistenza di due personalità tanto diverse, quanto forti. Il Direttore Sportivo, nell'era Spalletti, ha svolto un ruolo di raccordo tra l'area sportiva, di campo, e la proprietà. Per Spalletti, l'addio di Giuntoli paradossalmente potrebbe incidere di più di quello di Kim.

Non è pensabile che vi siano problemi di natura calcistica; le due stagioni appena trascorse hanno sancito la superiorità del progetto Napoli che, l'anno scorso, senza fare mercato, ha lottato fino ad aprile per il titolo, raggiungendo un terzo posto e la qualificazione CL che mancava da due stagioni. E che quest'anno, con una situazione economico-finanziaria bonificata, ha raggiunto la tanto agognata vittoria in campionato, con annesso quarto di finale di Champions League.

Il Napoli si ciba di competitività, è un progetto allettante; dopo questo maggio, in cui la celebrazione dello scudetto è stata la breaking news sportiva in tutto il mondo, ha assunto un ruolo di primaria importanza nel panorama calcistico internazionale, diventando modello di sostenibilità, passione e gran calcio.

Dato per morto per due anni consecutivi, non è chiaro perché oggi, con fatturato, appeal e riconoscimento in crescita, il progetto dovrebbe essere meno allettante. Per chiunque, Spalletti in primis.

Non è nemmeno pensabile che sia questione di soldi; offerte pazze all'orizzonte non sembrano esserci. E, ovviamente, la proposta sul tavolo raddoppierebbe l'attuale ingaggio.

Una suggestione è che Spalletti, in fondo, si senta un battitore libero: un grande professionista, il più grande - forse - per risultati raggiunti da queste parti, ma che in fondo sia refrattario ad essere identificato con il club che allena. Che, chissà se scottato da esperienze passate, non abbia l'ambizione di sentirsi parte integrante del Napoli Calcio; che, di fronte alla prospettiva di un ristrutturazione dell'area sportiva, in cui lui sarebbe il più alto in grado per esperienza, il manager di riferimento in una fase nuova, prevalga la ritrosia ad assumere un inevitabile incarico di perno, de facto, della società. E che, in lui prevalga la volontà di evitare responsabilità altre rispetto a quelle di campo.

Così sarebbe, in caso di arrivo di Accardi; che per quanto contiguo al tecnico toscano, rappresenterebbe in ogni caso un personaggio di una caratura diversa al suo cospetto, che necessiterebbe di un inevitabile processo di 'avviamento' alle dinamiche interne che, forse, Spalletti, per vocazione, non si sente in grado di offrire. Ecco, forse, che l'arrivo di un altro Direttore, magari con una esperienza decennale, solleverebbe Spalletti di un compito che volente o nolente gli ha portato tante rogne in passato (cfr. Icardi-Inter e Totti-Roma). Ed è per questo che, se ADL riuscisse a strappare dall'amico Fenucci (Amministratore Delegato del Bologna, nda) il demiurgo dei sogni, Giovanni Sartori, artefice dei miracoli Chievo e Atalanta, Spalletti potrebbe sentirsi tranquillizzato dalla presenza di un'area tecnica di indubbia esperienza e sicura affidabilità.

E non è un caso che il nome del responsabile dell'area tecnica del Bologna sia cominciato ad uscire su qualche giornale, nelle ultime ore.

Spalletti ha due grandi caratteristiche. E' un po' refrattario alle critiche. Mal le sopporta, s'intuisce, quando fondate; figurarsi, se immeritate.

E, soprattutto, ha una memoria d'elefante; ricorda tutto, ogni singola frase, ogni battuta, ogni espressione. E, diciamo che, è abbastanza intuibile che la tarda primavera dell'anno scorso, quando le testate napoletane ne hanno chiesto a gran voce, quasi unanime, la testa, il tecnico toscano abbia fatto come Arya Stark nel Trono di Spade, segnandosi i nomi e i cognomi, per fargli pagare il conto.

Tra quei nomi, non è detto che non vi sia proprio quello di Aurelio De Laurentiis, che di dichiarazioni bulimiche è esperto e che, l'anno scorso, nei giorni della Panda infame, non proferì parole che non fossero 'Bisogna sentirsi addosso la napoletanità'; in tal caso, tenerlo sulle spine per qualche settimana è una vendettuncola che spiegherebbe ghigni beffardi, sorrisi sornioni e frasi interlocutorie.