Il Napoli supera con sufficienza piena l'esame Inter a San Siro. Squadra rilanciata nella bagarre per il quarto e quinto posto. Quale resoconto e quali fatti salienti sono emersi dalla serata alla scala del calcio contro la rivale più forte del campionato, lo vediamo qui di seguito:

  1. ORGOGLIO PARTENOPEO

Malgrado l'andamento sghembo ed un'inclinazione prettamente irregolare a dare continuità di gioco, di prestazione e risultati nel corso di tutta la stagione da parte del Napoli, sotto la perspicace gestione di Ciccio Calzona fatta di pochi proclami e tanta dedizione, si sono avuti sei risultati senza sconfitte (Barcellona esclusa), ed è un buon monito per mirare al rush finale della squadra, da affrontare al massimo delle proprie potenzialità con l’ardimentosa speranza di recuperare tutto il terreno perduto agli albori della stagione. 

Sotto le luci cangianti della scala del calcio Milanese, il Napoli raddrizza la schiena dopo le botte di Barcellona, in una prestazione quanto meno maschia, figlia della voglia di non soccombere, del sussiegoso esercizio di predominio territoriale e d'una corazza capace di reggere anche la turbolenta onda d'urto dell'Inter in molti frangenti di gioco. I nerazzurri sono meritevolmente la prima della classe e la squadra più forte del torneo, che codifica ed esegue in maniera sincrona e ritmica l’uscita degl’esterni con e senza palla ed il contrattacco. 

Malgrado ciò, il Napoli è rimasto in partita con il fervido intento di occupare bene gli spazi, detronizzare la potenza reattiva dei centrocampisti e degli esterni nerazzurri e sobbarcarsi nei minuti finali il peso di aspettative fluttuanti per la vittoria, come spesso in quest'anno tradite.

La seconda parte della gara contro i nerazzurri, malgrado i pochi tiri in porta, offre lo spaccato di una squadra che sta con anima e corpo cimentandosi in una ripresa anche nelle condizioni più impervie e contro avversari migliori, senza scoprire la propria pelle alle scottature che hanno condizionato gli azzurri in molte partite e con la bussola del percorso ancora salda in mano. L'Inter che essendosi espressa al massimo, dopo nove successi casalinghi consecutivi impatta contro l’orgoglioso Napoli in un giusto pareggio, conferisce più merito al gruppo di Calzona per aver riassestato il livello dei Campioni d'Italia prossimi uscenti con i prossimi divenenti campioni, ad una differenza non abissale.

  1. IL COLMO DEI RAZZISTI “ACERBI”

L'episodio dell'insulto discriminatorio con marcato sfondo razziale nei confronti di Juan Jesus che nella serata di San Siro ha come esponente cardine Acerbi, non un eunuco del calcio, per quanto riprovevole e ormai reiterato pone inevitabilmente nella condizione di dover valutare se i principali interpreti di questo sport siano all'altezza delle campagne mediatiche che lo sport stesso in tutte le sue rappresentanze si propone di divulgare, ed in questo periodo in maniera speciale con tanto di logo affisso sulle maglie ufficiali della Serie A. 

Se il giocatore dell'Inter spontaneamente cade nella botola del razzismo, come se fosse uno scherzo nei giorni di maggior sensibilizzazione verso un tema quanto mai scandaloso in era contemporanea, c'è da chiedersi se i calciatori, che in molti casi per i tifosi accaniti diventato idoli o addirittura eroi per le loro gesta, abbiano in mente licea ed ineludibile la conseguenza che un insulto razziale, evinto in televisione, sortisca l’effetto propaggine nella società in cui l’affettazione dell'insulto permea ogni ambito anche extra sportivo. Ciò vuol dire che quella campagna mediatica della Lega calcio contro il razzismo in ogni sua forma, può assurgere solo al ruolo di marketing omologativo e tendenzioso. 

A ciò si aggiunge una recrudescente quanto omertosa dichiarazione di un giocatore importante come Di Marco, che nel post-partita corrobora lo stigma con la sibillina dichiarazione precompilata “sono cose di campo e non c'è niente da parlare”. Dopo l'allontanamento di Acerbi dal ritiro della Nazionale per motivi da non strumentalizzare, che sono primariamente etici, morali ed d’integerrimità, l'argomento diventa ancora più incandescente.

Auspicando sia finita l’epoca dei proclami e delle minacce, oltrepassando gli slogan, siamo sicuri che i tempi siano ‘maturi’ per estromettere dal calcio non solo i tifosi ma anche i giocatori che si macchiano dell'infamia del razzismo?

  1. I SEI GIORNI DI ALLENAMENTO TATTICO

Lo denuncia apertamente Francesco Calzona in fase di analisi post partita nel momento in cui pone in evidenza il tempo centellinato in appena sei giorni per ripristinare un canovaccio tattico e disciplinare della squadra, che riconosca i principi fondamentali della compattezza tra gli uomini, delle distanze tra i reparti e dei meccanismi di gioco all'interno di una gara.

Con il tecnico calabrese nell'ultimo scorcio di stagione si è vista una compagine non spregiudicata ma molto o meno annaspante sul campo, con il piede schiacciato sull'acceleratore e contemporaneamente la leva del freno azionata.

Ma se i primi 31 giorni di Calzona sulla panchina del Napoli escludendo i sette giorni delle partite, il giorno dell'arrivo, quello della preview di Champions e le ore sottratte al lavoro tra viaggi e spostamenti, si concretizzano in sei giorni “ufficiali” di allenamenti votati integralmente alla tattica è già da apprezzare il tentativo miracoloso d’instillare qualcosa di nuovo nel gruppo azzurro, denotando un inedito modo di difendere la zona, smussando la conca di centrocampo che scopre spesso la difesa ed alimentando di più il gioco sugli esterni, per quanto questo ad oggi permanga poco redditizio in egual misura col gioco della prima punta, chiunque esso sia.

La mano calda dell'ex secondo di Sarri sul Napoli ha intiepidito le freddure del periodo Gariciano e Mazzarriano, senza escogitare alchimie di fantasia o peccando d’eccesso di protagonismo, ma rinforzando il modo equilibrato di affrontare gli avversari e cimentarsi nelle due fasi di gioco con eguale costrutto, senza il condizionamento ossessivo del risultato, a cui il Napoli dimostra comunque di voler rimanere coriaceamente attaccato.

  1. IL LAVORO DUALE DI CALZONA

Soluzione sempre più adottata oggigiorno, mutuata dalla federbasket, dalla pallacanestro americana, dal volley, dalla NFL piuttosto che da altri sport di nicchia, quella di utilizzare un commissario tecnico che ricopra anche il ruolo di primo allenatore per una società di calcio o un club professionistico di livello internazionale.

Per la prima volta nella storia del Napoli è il caso di Francesco Calzona, in pectore allenatore della nazionale Slovacca, con la quale ha conseguito la qualificazione ai prossimi europei del 2024 e per la quale lavora indefessamente senza soluzione di continuità anche quando ci sono le partite di campionato, seppur a regime ridotto, che prevedibilmente mancherà da Castel Volturno in questa pausa delle nazionali per almeno 10 giorni, immergendosi in toto nella realtà parallela di tecnico d’un gruppo autoctono di calciatori che nulla ha a che vedere (Lobotka a parte) con l'ambiente Napoli.

Suffragato da Hamsik a tempo debito per avanzare la propria candidatura a diventare commissario tenico di una nazionale europea, la medesima sponsorizzazione dal grande Marek l’ha dovuta ricevere per appropinquarsi sulla panchina del Napoli. Oggi Calzona si trova in nella condizione di dover far fronte a contingenze diametralmente opposte tra allenare una nazionale e un club e dover anche disambiguare il compito totalizzante di fare risultati per fini diversi, pur preservando il livello di professionalità.

Ciò implica una configurazione duale della missione da allenatore di Calzona, già al massimo storico della sua carriera, che in questo momento assume maggiore deficitarietà per un gruppo di calciatori napoletani che non solo si smembrà perché destinato alle proprie selezioni nazionali, ma che lascerà una sorta di vuoto straniante tra le mura domestiche del centro sportivo azzurro.

E’ la prima volta che Napoli e il Napoli si trovano a dover affrontare una situazione di anonimato gestionale, senza né giocatori né allenatori a programmare l’ultimo ciclo di partite stagionali; questo significa che Calzona, come già asserito, avrà sempre meno tempo per preparare sempre meno partite, il rischio più grosso in questo momento dell’anno.

  1. L’INTER STRARIPANTE FRENATA DAL PASSAGGIO DI CONSEGNE

E’ davvero forte l'Inter di Simone Inzaghi, uscita vittima della cabala degli 11 metri contro l'Atletico Madrid (poi stramazzato contro il Barcellona già esecutore del Napoli, nel medesimo turno di campionato di Liga per le extra fatiche riportate dalla Champions), ma con un oliatura negli argani di gioco di notevole funzionalità e attrattività.  

Difficile fare un paragone tra il miglior Napoli che l'anno scorso con largo anticipo ha vinto il campionato furoreggiando, con l'Inter attuale che nello stesso solco sta provando a far meglio in termini di punti, e con ogni probabilità vi riuscirà.

Fatto sta che il Napoli dei tempi attuali non è neanche omonimo della squadra da incanto mistico che univa il calcio con il piacere, ed è nettamente inferiore all'Inter che sul campo sciorina potenza atletica, reattività agonistica ed esplosività sganciando bombardieri da qualsiasi zona del campo.

Eppure gli azzurri sono riusciti a contemperare l'esperienza nell'affrontare i big match con la caparbietà a non desistere dal proprio intento, malgrado gli strali multipli da parte degli undici del tecnico Piacentino. Non a caso occasioni preziose si sono avute nel primo tempo in cui l'Inter ha potuto sfuriare nel proprio massimo bagliore del match, senza le scorie della partita antecedente, ma poi è stato il Napoli ad imprimere, seppur non troppo vivacemente, il segno della riscossa nella contesa, proponendosi con un gioco di buona coralità e mettendo a dura prova la tenacia dei nerazzurri.

I partenopei, contro i primi della classe, si sono conquistati la possibilità di trasformare una stagione fallimentare da raccolta delle proprie ceneri  in una metamorfosi evolutiva all'altezza del futuro che si immagina.

  1. JUAN JESUS EROE DELLA NOTTE

Fuor di retorica, Juan Jesus è una persona di profondi valori umani, da anni in prima linea nel contrasto attivo alle discriminazioni nello sport e un brasiliano prossimo ad essere naturalizzato italiano. Soprattutto è un calciatore a fine carriera di una serietà encomiabile e un rispetto incondizionato per tutti. 

Nell’intervista a caldo, le sue parole di melina e glissamento per tutelare la figura etica di un collega tesserato su un episodio passato in mondo visione, testimonia la ciclopica statura dell’uomo che lesina lamentele da ludibrio e omette la critica, fedele alla logica delle “vicende di campo” che nascono e muoiono sul terreno verde.

Questo gesto vale quanto il suo gol, da mero Karma, che blinda il risultato ed echeggia nella plebe partenopea come il simbolo della vittoria morale contro l’oscurantismo dei corrotti e dei potenti, che credono di essere immuni alla critica anti schematica.

  1. I TERMINALI OFFENSIVI INTERROTTI

C'è il tema dei pochi gol segnati, dibattuto ed irrisolto sia dagli allenatori del Napoli che dai giocatori stessi in campo, specie quelli offensivi, che nei numeri non trovano una buona cartina tornasole al rendimento complessivo.

Sono meno di trenta in Serie A le reti messe a segno dai sei attaccanti, tra punte centrali ed esterni, che il plotone azzurro può disporre per aggredire gli avversari, considerando che in rosa ci sono giocatori dal talento eccezionale come Kvaratskhelia ed Osimhen.

Anche nella serata di Raspadori titolare contro l'Inter, inghiottito dai carneadi nerazzurri, come già visto a più riprese in altre circostanze si è vista la penuria di soluzioni che una figura non arietina al centro delle combinazioni offensive può offrire; non cambia la sostanza anche quando è Simeone a fare da boa e centro di gravitazione dell'attacco partenopeo.

Sono attaccanti che in termini di realizzazione quest'anno hanno dato veramente poco e se si unisce alla scarsa verve dei comprimari la poca assiduità a calcare il terreno di gioco con una certa regolarità da parte di Osimhen, che in campionato ha segnato 11 gol di cui due rigori, testimonia che c'è una tendenza alla sterilità offensiva da parte degl’offendenti, che non costruiscono in maniera sincopata l’azione e si lasciano spesso imprigionare nel reticolo di gambe assiepato fuori e dentro l'area di rigore degli opponenti.

La grande prolificità degli avamposti azzurri della scorsa stagione, quest'anno ha lasciato spazio a ceneri che più che bagnate in molti casi sono stati spente. Ma il problema è anche la stereotipizzazione della divergenza sugli esterni dove l'azione muore perché mancano degli snodi in catena o delle frapposizioni tra giocatori che possano andare ad innescare delle combinazioni reattive, vedere uno spazio vuoto o creare un’opportunità per liberare l'uomo smarcato.

In questo vortice di problemi che si accodano l'un l'altro, non sarà certo l'individualismo oppure la giocata estemporanea a sbrogliare il bandolo della matassa, piuttosto ripercorrere e rinnovare dei sincronismi ormai datati che possano risvegliare la fragorosità dei terminali offensivi del Napoli.

  1. BUONA NOVELLA TRAORE’

Dopo un mese di titolarità quasi ininterrotta Traorè è entrato a pieno merito nell'undici tipo azzurro e con un buon volume di gioco sta affermando la sua bramosia di leadership all'interno del reparto; per quanto manchi spesso di associarsi correttamente ai compagni per tempi di selezione o identificazione del gioco, è un ragazzo giovane ed un calciatore moderno, box to box, che sta dimostrando quanto potenziale nel corso del tempo sia stato soppresso da infortuni e scelte sbagliate di carriera. In questo momento Traorè è ancora un'incognita per la società Azzurra che dovrà decidere se riscattarlo dal Bournemouth per una cifra non inferiore ai 25 milioni tra bonus e altri asset d’investimento contemplati. 

La partita che ha giocato contro l'Inter è però sicuramente di grande spessore, considerato se disputata al cospetto di grandi interpreti militanti nella compagine del Biscione, con alcune occasioni da gol alimentate, una presenza sodale con lo spartito tattico, la caparbietà di vincere i contrasti e l'intraprendenza d’andare al tiro spesso e volentieri, purtroppo velleitariamente.

E’ probabilmente la vera nota lieta che il Napoli del futuro, qualora si decida di optare per la sua stabilizzazione nel club, può intravedere nel bocciofilo in apertura dell’ivoriano per le sfide del domani da affrontare. 

Traorè è scevro di condizionamenti della storia di inizio campionato, vive su un entusiasmo contrito di voler aiutare la squadra e poter dimostrare allo stesso tempo le sue indiscutibili capacità, ed a bilanciare quest’esuberanza con l'utilità delle giocate sarà il principale compito di Mister Calzona, unitamente all'upgrade che il giocatore ha già fatto a livello fisico ed ora deve completare anche a livello di scelte tecniche.

  1. ZIELINSKI CONTRO IL FUTURO

Piotr Zielinski ha fatto la sua scelta di carriera che esula da quella di cuore. Il polacco che ha trascorso la propria consistente vita calcistica a Napoli divenendo figura di spicco nel club; decidendo d'accasarsi a Milano sponda Interista, si è procurato il disturbo di vivere notti come quella del Meazza, in cui è stato estromesso per cause impredicibili dalla contesa con gl'oggi rivali e futuri compagni di squadra.

La traiettoria da calciatore di Zielinski caracolla in un declivio di valore e fiducia. Separato in casa, con pochi assi nella manica da giocare e delle performance degl'ultimi mesi ben al di sotto del suo potenziale che nel corso del tempo si è cristalizzato, con quello scettro di giocate fantastiche diventate una zappa sui piedi da fuoriclasse.

Guardare dalla panchina la partita contro la sua prossima squadra annunciata è un'immagine cruda dello stato dell'arte di Zielinski, nella sua peggior stagione in carriera, che ha completamente smollato impulsi e stimoli d'inizio stagione.

  1. LE NOVE GARE DI RINCORSA CHAMPIONS

Con 9 punti di distacco dal Bologna quarto, al Napoli tocca fare una vera e propria impresa per raggiungerlo, considerando che non dipende solo da lui, contando che ci sono solamente 27 punti in palio ed il margine da recuperare è già un terzo di quello residuo e alla squadra ne servono almeno 22 per poter ambire a l'agognato quinto posto, che in caso di ranking confermato garantirebbe l'accesso alla prossima Champions.

Ma le mire d'ambizione del club partenopeo, prescindono inequivocabilmente dall'obiettivo minimo di andare in Champions, che diventa quello di vincere più della metà delle nove partite che restano da qui a maggio; vale a dire inanellare vittorie di seguito contro l'Atalanta, il Monza, il Frosinone, l'Empoli e il grande big match contro la Roma, in previsione, allo stato dei fatti, di una partita casalinga il 12 Maggio contro il Bologna che potrebb'essere la vera gara spartiacque per la prossima stagione.

Ma se il Napoli a quell'incontro dovesse arrivarci con distacco non esiguo, potrebbe già voler dire bandiere ammainate. In questo senso fare i calcoli non serve a tanto, se non pensare che su cinque partite casalinghe il Napoli dovrà far valere più di sempre il fattore campo e portare a casa 15 punti. 

Considerando che l'obiettivo più sensibile è sempre quello più vicino della prossima partita, e servirà per capire se questa rincorsa Champions “s’ha da fare” o resterà l'ennesima illusione di una stagione dalle mille sfaccettature tutte trasversalmente incompatibili l'una con l'altra. 

Per questo al gruppo di Calzona si richiede uno sforzo in più, al di là della persecutorietà della non qualificazione Champions che aleggia come pestilenza a Napoli, ma in quest'ultimo ciclo di partite centrare il traguardo avrebbe un significato molto più ampio di quanto si pensa.