Qualcuno tremendamente ricco disse che una cosa non puoi realmente permettertela se non puoi comprarla almeno due volte.

Per il Napoli (società) lo scudetto vale solo se lo vince due volte. Per i calciatori o per gli allenatori può valere anche se non lo vincono, come accaduto sotto la gestione Sarri. E vale addirittura il doppio se lo vincono davvero. Il triplo se lo vincono e poi scappano come ha fatto Luciano Spalletti.

Per il club, invece, l’asticella delle aspettative è come se avesse un sensore incorporato, che le permette di allontanarsi e alzarsi più su ogni volta che l’obiettivo viene raggiunto. Un automatismo infallibile, che pone il club sempre ai margini della storia che egli stesso crea attraverso scelte e investimento.

Negazionismo e Cancel Culture

È accaduto per ogni obiettivo. Dal primo anno di Serie A. Dal più piccolo al più grande. Ogni successo relegato a casualità. Ma se la mamma delle vittorie è mutevole il padre delle sconfitte, invece, è sempre lo stesso. Ogni qual volta - accade spesso - un tesserato del Napoli rende al massimo viene contrapposto al bene comune e alla figura del Presidente che lo ha messo nelle condizioni di esprimersi come mai nella sua carriera. E spesso come mai più farà.

Una cancel culture sempre attenta ad annullare i meriti di un club che in un contesto degradato - moralmente e economicamente - come quello della Serie A, è riuscito a sviluppare un’idea di business e spettacolo sostenibile e vincente.

Chi contribuisce a questa forma di negazionismo fa un torto al Napoli, e di questo ne è cosciente, ma fa soprattutto un torto ai più piccoli. Ai tifosi del domani, che hanno nelle loro mani le sorti del calcio italiano e del nostro club. Non saper spiegare loro che lo sport è prima di tutto sconfitta, setterà intere generazioni sul mood che vincere è l’unica cosa che conta. E quando si renderanno conto che vince solo uno, il calcio a Napoli morirà.


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