The Kingdom of Prejudice - le Crociate di Sir Antonio Conte
Nonostante le avversità e i 44 punti in 19 partite non c’è pace per i detrattori del tecnico leccese
C’è una narrazione che si ripete da anni nel mondo Napoli, un copione ormai logoro ma che continua a trovare adepti pronti a recitarlo con fervore. Gli adulatori di Aurelio De Laurentiis, coloro che in ogni circostanza si ergono a paladini delle scelte del Patron, sono riusciti a trasformare un fallimento sportivo, come quello rappresentato dall’avventura di Rudi Garcia, in una giustificazione a posteriori per dimostrare che "era tutto inevitabile". È la filosofia del "ce l’avevano detto", del "vedete che non si poteva fare di meglio", una strategia difensiva che non lascia spazio all’autocritica.
Dalle chiacchiere ai fatti
L’arrivo di Antonio Conte sulla panchina del Napoli, con i suoi 44 punti in 19 partite e un’organizzazione tattica che ha ridato dignità a una squadra alla deriva, ha mandato in crisi questo sistema di pensiero. Come si può negare l’evidenza? Il tecnico pugliese ha portato lavoro maniacale, disciplina e quella fame di vittoria che mancava da mesi. Ha preso una squadra che sembrava confusa e disorientata sotto la guida di Garcia e l’ha trasformata nuovamente in una contendente ai vertici della Serie A. Anche contro le avversità incontrate per gli infortuni di uomini importanti del suo scacchiere, prima Lobotka, poi Buongiorno per poi passare per Kvaratskhelia e Politano. Eppure, non c’è pace.
Rinsavire tu non puoi…
Il problema non è tanto Antonio Conte, quanto ciò che rappresenta: il ribaltamento di una "dottrina aziendale" che De Laurentiis ha costruito in due decenni. Una filosofia fatta di profili gestibili, di tecnici capaci ma mai troppo ingombranti, e di un sistema che rifugge il talento assoluto se questo rischia di mettere in ombra la figura del presidente stesso. Conte, con il suo carisma, la sua autorità e la sua ossessione per la vittoria, è l’antitesi di tutto ciò.
E allora si attende il passo falso. Si cerca con ansia l’errore, il risultato stonato, la crisi di spogliatoio. Non per amore della squadra, ma per poter dire: "Vedete? Non è lui l’uomo giusto". Si costruisce una narrativa tossica in cui Antonio Conte, l’uomo che ha sanato i disastri dello "stratega francese", diventi da Araba Fenicia all’Anatra infelice da spennare, l’obiettivo di un pregiudizio che non ha nulla a che fare con il campo.
Ma la realtà è testarda. Conte ha dimostrato che questa squadra può tornare a competere ai vertici, a patto di essere guidata con ordine, ambizione e lavoro incessante. Se questo non si allinea alla filosofia aziendale di De Laurentiis, allora è la filosofia a dover essere messa in discussione, non il lavoro del tecnico. Perché il calcio è un gioco semplice: vince chi lavora meglio. E finora, il Napoli di Conte ha dimostrato di sapere come si fa.
Il vero problema non è la filosofia, né la dottrina, né l’ideologia. È l’incapacità di alcuni di accettare che, a volte, la risposta giusta non è quella che avevano previsto. E Conte, che piaccia o meno, è la risposta giusta.