Marco Rose, un vincente nei cortili della medio-alta borghesia europea
Nel calcio certi uomini sono indissolubilmente legati legati a una città e al suo club. E lo sono anche quando cambia tutto: proprietà, nome della squadra, modello societario. E così è per Marco Rose e il Lipsia, club che l’attuale tecnico dei tori rossi ha vissuto sia nella sua prima vita calcistica, quella da giocatore, che nella seconda, quella da allenatore.
Marco Rose: la carriera
Classe 1976, Rose ha avuto modesti trascorsi da difensore, muovendo i primi passi proprio nell’ex club della DDR, quando ancora si chiamava Lokomotiv, club che ha ritrovato nella sua prima esperienza in panchina, durante la stagione 2012-13 (quando il club ancora militava in Regionalliga, attualmente la quarta divisione tedesca). La grande occasione, però, gli si presenta l’anno seguente: viene arruolato nella fitta rete del nascente impero Red Bull, che lo mette alla guida delle giovanili del Salisburgo, con cui vincerà la UEFA Youth League nel 2017.
Da lì, la carriera è in costante ascesa: viene promosso sulla panchina della prima squadra, con cui vincerà subito il campionato nazionale, bissando l’anno seguente, in cui otterrà il double, grazie alla conquista della Coppa d’Austria. Molto buono anche il bilancio europeo, grazie ad una semifinale e un ottavo di finale raggiunti in Europa League.
Forte dei risultati raggiunti, nell’estate 2019 è ingaggiato dal Borussia Moenchengladbach: un po’ a sorpresa, il primo anno in Bundesliga riesce a piazzarsi al quarto posto. Non si ripeterà nella stagione seguente, riuscendo ad arrivare solo ottavo, ma raggiungerà il prestigioso traguardo di superare la fase a gironi, alle spalle del Real Madrid, battendo la concorrenza agguerrita di Shakhtar Donetsk e Inter. Un cammino, dunque, che convince la dirigenza del Borussia Dortmund a chiamarlo in Vestfalia per la stagione 2021-22: nonostante un secondo posto in Bundes, però, il cammino nelle coppe europee è piuttosto deludente e dunque i vertici del BVB prendono l'inspiegabile decisione di richiamare Edin Terzic.
Poco male, però: nel settembre 2022 Rose torna a casa sua, al Lipsia, sostituendo Domenico Tedesco. La squadra è forte e, grazie a campioni come Gvardiol, Szoboszlai e Nkunku, i Bullen arrivano terzi, vincono la Coppa di Germania battendo in finale l’Eintracht Francoforte. Mentre in Champions, dopo un ottimo girone, il cammino è macchiato dal 7-0 subito nel ritorno degli Ottavi di finale contro il Manchester City. Attualmente, la squadra di Marco Rose è quarta, con 33 punti in sedici partite ed ha vinto la Supercoppa di Germania imponendosi per 3-0 sul Bayern Monaco grazie ad una strepitosa tripletta di Dani Olmo.
I principi di gioco di Marco Rose
Per quanto riguarda il modulo, Rose è un tecnico che è stato sempre abituato a variare molto la disposizione in campo dei suoi calciatori: si passa dal 4-3-1-2 del suo primo anno col Salisburgo al 4-4-2 e al 4-3-3, passando per il 3-4-3, fino ad arrivare all’ardito 4-2-2-2 con cui oggi schiera il suo Lipsia in fase di possesso, a riprova del fatto che per un allenatore con metodologie ben radicate nel calcio contemporaneo il modulo è un falso problema, un’indicazione tutto sommato secondaria da dare ai suoi giocatori rispetto ai principi di gioco.
Ma quindi com’è il gioco di Rose? Ce l’ha spiegato lui in un’intervista rilasciata al Guardian qualche tempo fa:
«La mia squadra? Non ha davvero bisogno di pensare. È sempre concentrata, sta nel vivo del gioco. Cerchiamo di conquistare palloni in una posizione alta del campo. Se abbiamo la possibilità di segnare velocemente dobbiamo sfruttarla, altrimenti bisogna mantenere il possesso, ma senza addormentare il gioco e muovendo il pallone velocemente, facendo correre gli avversari. Dobbiamo giocare in modo intelligente, duro, non per i fotografi e con la convinzione di poter vincere contro chiunque»
Insomma, riassumendo in estrema sintesi, i cardini sono due: intensità e possesso palla. Rispetto al passato, infatti, Rose adotta uno stile meno diretto, pur senza rinunciare alla ricerca costante dello spazio in profondità. Quello che resta una costante nel suo gioco, però, è la costruzione da dietro con la disposizione 4+2: da sempre, infatti, i due mediani si abbassano quasi sistematicamente sulla linea dei terzini, che invece restano più alti rispetto ai centrali. L’idea, praticata oggi dal Lipsia, è quella di sfruttare la fluidità posizionale dei due trequartisti laterali, Olmo e Xavi Simons, che di solito vanno in ricezione nei mezzi spazi, dettando ai compagni traccianti che riescono ad tagliare fuori le linee di pressing avversarie. Ce lo confermano i dati di Sofascore riportati qui sotto.
Il resto, poi, è affidato alla grande mobilità di un attaccante, che sia proprio una punta o una sottopunta (l’anno scorso Nkunku, quest’anno Openda), che svaria di più rispetto ad un centravanti maggiormente statico come Werner. Talvolta, inoltre, Rose non rinuncia ai lanci lunghi, anche con pochi metri di campo davanti, per innescare la pericolosità delle punte; mentre quando gli avversari difendono con blocchi medi o bassi le triangolazioni laterali e l’invasione della trequarti offensiva da parte dei terzini diventano armi fondamentali di una fase di rifinitura intensa e articolata.
Quando invece il Lipsia non ha il pallone, l’arma difensiva principale è rappresentata dalle riaggressioni, uno strumento che gli uomini di Rose utilizzano con grandissima ferocia. Dati Soccerment alla mano, infatti, il club di proprietà della Red Bull nella stagione scorsa è risultato terzo in Bundesliga per Gegen Pressing Index e secondo per PPDA (dato che, sostanzialmente, misura il numero di passaggi concessi all’avversario prima di riuscire a riconquistare la sfera). Insomma: in un campionato che va ad altissima velocità, il Lipsia spicca sulle avversarie per intensità ed efficacia difensiva.
Rose-Napoli: un matrimonio da fare?
Chi scrive si è sempre auspicato, almeno sin dai tempi del Salisburgo, che un tecnico come Rose potesse prima o poi accomodarsi sulla panchina del Napoli. Parliamo infatti di un allenatore sì vincente, ma che ancora ruota nella fascia dei club dell’alta borghesia europea (rango a cui appartiene anche la squadra azzurra), tatticamente molto ambizioso e che sa lavorare molto bene con i giovani.
Insomma, parliamo di un profilo che teoricamente avrebbe tutte le carte in regola per stanare la concorrenza in Serie A. Solo che una sua chiamata avrebbe richiesto, in tempi ben migliori rispetto a quelli attuali, ancor più coraggio da parte di De Laurentiis: una politica di player trading ancora più intenso (se non addirittura sistematico), l’abbracciare una determinata filosofia di gioco che non fosse genericamente “il bel gioco” – ma comunque dobbiamo solo essere contenti del relazionismo spallettiano ammirato nella scorsa stagione – e, forse, una struttura dirigenziale maggiormente articolata.
Tutto questo, naturalmente, se si fosse deciso di mettere il campo, il calcio giocato, al centro dei piani della presidenza. Se si fosse dato vita ad un’area tecnica realmente autosufficiente. Invece più che l’autosufficienza sono prevalsi l’autarchia e l’accentramento, forieri di malumori e caos. Ad oggi il Napoli sarebbe un club in grado di un allenatore come Rose? O, prima ancora, sarebbe oggi un club appetibile per un tecnico come Rose? I dubbi ci vengono, non lo nascondiamo. Magari, se si dovesse risalire la china, questo è un matrimonio che prima o poi potrebbe farsi.