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Ci sono date destinate a diventare ricordo solo quando il lavoro del tempo darà i suoi frutti. Giorni, mesi, talvolta anni d'attesa per virgole d'istanti irrilevanti in frangenti temporali ben più complessi.

E nessuno avrebbe mai potuto immaginare il significato letterario, romanzesco d'un uggioso testa-coda dei primi di febbraio.

Al Penzo, il sei febbraio del duemilaventidue, si gioca Venezia-Napoli. 

Per gli amanti delle statistiche, il Napoli al Penzo aveva vinto una sola volta in 11 confronti. Nel 1947.

Per la classifica è di fondamentale importanza: con una vittoria, gli azzurri volerebbero a -1 dalla capolista Inter, crollata nel derby del giorno prima sotto i colpi di Giroud.

Pronti, via. Il vento è il vero protagonista. Vincerà chi saprà domarlo.

Venezia-Napoli: l'ultimo precedente

Lorenzo Insigne

Ospina; Di Lorenzo, Juan Jesus, Rrahmani, Mario Rui; Fabiàn Ruiz, Lobotka, Zielinski; Politano, Osimhen, Insigne.

Koulibaly e Anguissa in Coppa d'Africa, dalla panchina Elmas, Mertens e Lozano.

Ad occhio e croce, il miglior Napoli d'ogni tempo. Plasmato da Luciano Spalletti, che riabilitò la piazza e gli animi dei tifosi dopo il finale thriller dell'anno prima. Diede nuova vita a Lobotka, fino a novembre oggetto di scherno della becera ironia social. Era già bellissimo così.

Impantanati in laguna, gli azzurri diedero comunque spazio a combinazioni di alto livello nella prima frazione. Assatanato più che mai, un ragazzone scorbutico dalla chioma bionda passò i suoi 45 minuti a strepitare tra i centrali arancioneroverdi. Non giocava da tre mesi, aveva visto il suo viso frantumarsi a San Siro. Una maschera ultramoderna e tanta paura, l'assodata convinzione che non si sarebbe mai più visto con tanta convinzione nei duelli aerei.

Ma Napoli aveva bisogno del suo Supereroe

Al rientro in campo, il vento spira in maniera diversa. Soave, sulle ali delle voci rauche e innamorate dei napoletani giunti a Venezia, parve piegarsi ad un destino tutto da scrivere.

Politano traccia un arcobaleno verso l'area di rigore. 

La palla ammicca al portiere, poi ai difensori. Ma truffaldina arriva tra Caldara ed Ebuehi. 

Con i trampoli, sostenuto da Madre Natura, incorna imperioso Osimhen.

Palla all'incrocio, settore ospiti in delirio. Manona ad indicare lo stemma sulla maglia, faccia da schiaffi. Il ragazzone col vento nell'anima ha domato i venti della Laguna, Ha domato se stesso, ha domato la più naturale delle paure.

E Dio solo sapeva quante altre ne avremmo viste!

Venezia-Napoli, the last dance

Osimhen e De Laurentiis

La partita divenne una formalità in ben poco tempo, con la solita pantagruelica ansia delle partite mai chiuse o chiuse tardi. Il povero Ebuehi, terzinaccio del Venezia, chiuse la sua domenica bestiale con un brutto fallo che gli valse un rosso diretto. Allo scadere, il raddoppio di Petagna.

La settimana dopo? Napoli-Inter, con la Beneamata a -1. Vi ricorda qualcosa?

E poco importò la partita da recuperare dei nerazzurri, poiché lasciò la classifica invariata. Dopo una buona prova con i meneghini, gli azzurri avrebbero visto dissolversi il sogno Scudetto sul fotofinish e io avrei visto sfumare il sogno di un finale in stile The Last Dance per i miei idoli d'infanzia, lasciando partire con loro a giugno una parte della mia innocenza. In quell'ondata di nostalgia, lacrime e rimpianti reiterati, crebbe la più bella storia di cui io abbia onere e onore di narrazione.

Tre anni fa, al Penzo, nacque un'icona. Destinata a rimanere per sempre nell'immaginario collettivo della città più passionale della Nazione.

Una maschera, i capelli biondi, lo stacco d'un canguro e la potenza in movimento d'un felino. Le spalle abbastanza larghe da caricarsi sulle spalle intere generazioni di sognatori.

In un Venezia-Napoli, tre anni fa, nacque Victor Osimhen in versione mascherata. E con lui, la prefazione d'una fiaba tutta da raccontare. 

I finali nefasti non cancellano i nomi dagli almanacchi. E neanche i ricordi di chi s'è innamorato per davvero.


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