Tanto l'aria s'ha da cagna'
È paradossale. E soprattutto divertente. Cosa? Che l'anno del possibile ritorno in cima al calcio italiano coincida con una narrazione del tutto singolare che sta avviluppando il Napoli. Al giro di boa della stagione azzurra i numeri sono al contempo straordinari e terribili. Di una bellezza abbacinante per noi figli di Partenope; di una spietata e fredda durezza per chi sta provando a tenere il passo - tra inciampi sportivi e stangate giuridiche figlie di una dissolutezza amministrativa sfacciata e ritenuta fallacemente impunibile - del clan Spalletti che ormai è più lanciato di un meteorite che solca i cieli blu.
Mettendo da parte le scaramanzie di circostanza (non è il caso di chi scrive, troppe pillole indigeste ho assunto) e affidandosi alla scienza, è lecito asserire che "l'innominabile" è alla portata del Napoli che potrebbe accontentarsi di un girone di ritorno col freno a mano parzialmente sollevato se le milanesi e le romane presenteranno il medesimo passo offerto nelle prime diciannove partite (l'analisi matematica potete leggerla a questo link). +12 sulla prima inseguitrice a metà tenzone, quel Milan battuto in casa con annesso dramma esistenziale che si palesa una domenica sì e l'altra pure, è un'evidenza che nell'era dei tre punti non si era mai registrata. Segnali inequivocabili che raccontano di un campionato che potrebbe chiudersi presto. Con un anticipo larghissimo, sfrontato... quasi scostumato per portata e modalità con cui è stato costruito.
Campionato archiviato a marzo: cui prodest?
La matematica certezza arriverà, se arriverà, più innanzi. Ma se i trend si confermano quelli visti sino ad oggi, la Serie A rischia di chiudersi, nel verdetto principale, prima che i mandorli abbiano dato ai natali quei poetici fiori bianchi. Qualcuno eccepirà che ciò non è un bene per il sistema nella sua globalità. Per chi ha acquistato i diritti di trasmissione e deve gestire un fisiologico calo d'attenzione dell'Italia non napoletana. Per chi paga per ottenere spazi pubblicitari. Per tutto l'indotto - giornali, televisioni, new media, agenzie di scommesse - che non sapranno a chi vendere la mercanzia.
E questo, per chi è disabituato a vincere come nel nostro caso, è motivo di preoccupazione. E' fonte di timori che una mano invisibile, ma ben percepibile, controlli indebitamente il mazzo di carte per orientare la partita e renderla più incerte. Non accadrà, non ci pieghiamo a teorie del complotto che imperversano ad altre latitudini geografiche, ma lo sottolineiamo per scongiurarne la realizzazione. Non si sa mai.
La Seria A che chiude i serra anzitempo o che si riduce alla corsa per verdetti meno nobili è quindi una sconfitta sistemica? Affatto, è l'esatto opposto! E lo è perché certifica con straordinaria lucidità l'implosione di quel modello che si è preteso fosse unica via da perseguire per vincere. Il determinismo psichico e materiale applicato allo sport. L'idea malsana che potesse esistere una sola via, quella dell'acquisto compulsivo, delle spese folli, dei calciatori ingaggiati per il loro tornaconto fiscale (l'operazione Ronaldo non è che questo, altro che amore per i gianduiotti, la bagnacauda e la maglia bianconera) che si ripagano con maglie brandizzate, gadget pacchiani, flussi di like sui canali social e altre fantasiose corbellerie che i fatti, in questi giorni, hanno smontato con quel cinismo che si accompagna ad una nemesi storica degna di questo nome.
La prima metà del campionato 2022/2023 -(e invero anche i due precedenti) aveva detto che quell'archetipo basato sulla grandeur finanziaria è crollato miseramente mettendo a nudo una tensione non più oscura che narrava di una faida familistica che visto, l'una contro l'altra, l'anima finanziariamente allegra di Andrea Agnelli e il pragmatismo di John Elkann che ai risultati e al blasone antepone i bilanci. La pulizia e la sanità degli stessi, per essere precisi.
Il Napoli del centro sportivo in affitto, dello stadio di un Comune con cui i rapporti rischiano di incrinarsi anche per definire il luogo ove sistemare la statua di Diego Armando Maradona, della "Cantera" traballante si è preso lo scettro del comando dettando legge in campo e fuori. Bilanci sani e risultati sportivi che possono coesistere. Uno schiaffo in faccia all'exemplum bianconero che s'è letteralmente sgretolato. Titoli e gloria arrivati perdendo un mare di soldi. E, ancora una volta, la faccia.
Napoli vincente: una ventata d'aria fresca a spazzar via un modello che odorava di naftalina
In questo anno che speriamo possa essere raccontato ai posteri come quello della definitiva rinascita facciamo delle scoperte che tali non sono per chi era capace di oltrepassare, con lo sguardo, l'intelletto e l'onestà etica, quella patina torbida che avvolgeva certe gestioni licenziose sanzionate dalla legge e condannate dalla storia. Non solo da chi scrive. Capiamo, or dunque, che si può fare bene senza lo stadio iper-tecnologico in pancia alla società; che si può accrescere il tasso tecnico senza un centro sportivo ottenuto con una concessione molto generosa di un centinaio d'anni. Che si può essere modello con natali umili, senza possedere un'autoreferenziale sala trofei piena più di un uovo (che ora sembra marcio) e senza avere alle spalle un colosso come Exor che controlla stampa, che influisce sulla politica e che determina gli andamenti finanziari e sociali di un Paese troppo piegato e "fantozzianamente" asservito.
Comunque andrà a finire questo campionato ci offrirà un lascito che ha il suono del monito: è morta e sepolta la politica dei parametri zero strapagati con commissioni fuori controllo e senza morale né logica fiscale. È ai titoli di coda la concezione di doversi imporre ad ogni costo. Contro il diritto amministrativo, contro quello sportivo, contro il buon senso ed il buon gusto. Esistono delle staccionate che non possono essere valicate nonostante motti sbilenchi che riconducono all'idea di dover vincere per forza. Qualcuno l'ha fatto. Non il Napoli che ha costruito, negli anni, anche ingoiando rospi di ciclopiche dimensioni considerando come certe franchigie concorrenti erano state create, un'intelaiatura tecnica così solida che oggi è vanto e lustro di una Serie A sconquassata dai venti che spirano dai tribunali.
Un campionato che esprime il suo verdetto cardine a marzo, quindi, ha senso? Ribadiamo il convinto sì. Non avrà motivo d'essere per la Lega Calcio, per la FIGC, per gli sponsor, per i piazzisti dei diritti TV, per le stesse televisioni, per le squadre che arrancano con la lingua penzoloni in una rimonta che speriamo sia inefficace. Ma ha ragione d'esistere per noi che aspettiamo l'inarrivabile da oltre sei lustri. Noi che non vorremmo un trionfo sulla sirena finale, ma un dominio di stampo bulgaro che rappresenterebbe la rivalsa delle rivalse. E che coinciderebbe con una festa lunga, sfacciata e smodata. Come l'incipit del nostro Milk Bar impone.