Un suicidio annunciato che può essere ancora sventato
Una violenza psico-fisica quella subita ieri al Maradona. Un abominio al solo pensiero di ripercorrere una serata dai contorni abulici e dai molteplici versanti che ne hanno scaturito il suicidio perfetto.
Assistere indomiti a quanto stava accadendo è difficile da mandar giù, specie se pensiamo che solo un paio d’ore prima del match la città era vestita a festa. Non da due settimane per la sosta nazionali, bensì da oltre un mese. Lo scenario era lugubre già fuori dallo stadio, una contestazione civile, devo essere sincero, perorata probabilmente da una giusta causa: perché i tifosi ospiti hanno la possibilità di incitare la propria squadra con pezze, tamburi e megafoni e i gruppi organizzati di casa gli è vietato? Perché il questore di Napoli, un’istituzione pubblica, ha deciso di infierire ancor di più sulla punizione - giustamente inflitta - dei due mesi di divieto trasferta dopo gli scontri sulla Badia al Pino? Perché ad oggi vige una normativa per striscioni, coreografie e tamburi in passato non vi era tale esigenza? Oggi su 14 gruppi organizzati 10, all’incirca, sono tesserati. Fidelizzati, schedati. Insomma, il concetto è chiaro. In passato sappiamo benissimo che il concetto non era visto di buon occhio dalla categoria Ultras, e per presentare la suddetta richiesta - nell’ acconsentire l’ingresso di tali strumenti - si necessitava di compilare una regolare istanza che la società imponeva. Vi risulta possibile che ciò sia accaduto? Eppure striscioni, tamburi, megafoni e quant’altro sono sempre entrati. Non fraintendiamoci, io sono per corretta esecuzione di ogni tipo di protocollo che riguardi la sicurezza di chi presenzia allo stadio: ma perché prima c’era un tacito consenso e oggi regna cotanta intransigenza? Qualcosa non torna. Inoltre, se c’è così tanta osservanza delle regole, com’è possibile che ai controlli non passi nemmeno l’ombra di una bottiglia d’acqua (regolarmente venduta all’interno dello stadio, tappata e imbottigliata, contraddittorio atavico ormai) e a fine gara abbiamo assistito all’accensione di molteplici fumogeni in segno di protesta? Dove sono entrati? Chi ha consentito all’ingresso degli stessi. Pensare che un fumogeno possa passare di nascosto agli occhi della vigilanza - e di apposite ispezioni - è pressoché inverosimile.
Come si possa passare dalle ragioni esposte al più torbido dei torti anche questa è una peculiarità di questa città.
La vostra protesta - in riferimento espressa ai gruppi organizzati - l’avete fatta e ne avevate anche ben donde. Proseguirla con annesso ammutinamento (termine ormai noto nel nostro vocabolario ndr)? Di certo non sarebbe stato affine al ruolo del tifoso allo stadio ma, quantomeno, sarebbe stato un’atteggiamento razionale al cospetto delle scene da panico che abbiamo assistito. Che poi mi domando e dico: lo scempio del silenzio assordante di uno stadio in balia dei cori scalpitanti del settore ospiti non vi ha trafitto il fegato?
Vedere con i vostri occhi l’impatto conflittuale che stavate recando agli undici uomini che indossavano la maglia dal colore che amate più della vostra stessa vita non ha scalfito le vostre coscienze? Le discordanze tra il poter contestare o meno Aurelio De Laurentiis che hanno collimato con botte da orbi tra di voi - mettendo a repentaglio anche l’incolumità di famiglie con i propri figli - quale credibilità pensate di aver destato? Imporvi con ghigno funesto e deplorevole contro un vademecum che voi stessi avevate dettato e che - allo stato attuale dei fatti - vi si è ritorto contro agli occhi del mondo che domenica sera ha assistito a quelle scene di pura guerriglia.
Sono trentatré anni che aspettiamo l’occasione di festeggiare tutti insieme. Trentatré maledettissimi anni!
E dopo tutto quest’attesa abbiamo pensato bene di pestarci i piedi l’uno con l’altro? Non sono bastate le pene subite dal vedere la squadra della nostra città sprofondare negli abissi di un fallimento, i sacrifici che abbiamo dovuto supportare per risalire la china e constatare con i nostri occhi che nonostante fossimo i migliori c’era sempre qualcosa o qualcuno che ci impedisse di tagliare il traguardo della vittoria. No, a quanto sembra non è bastato, ci mancava anche la medaglia al merito della fratricida faida interna che non fa altro che riversarsi su una squadra alla quale andrebbe solo applaudita e incitata a più non posso per quanto profuso in questa stagione.
È mai possibile che in questo finale di stagione sia plausibile contestare il percorso cittadino che dovrà fare il pullman con la squadra a bordo durante i festeggiamenti? Ma davvero stiamo parlando di tutto ciò?
Redimetevi, tutti. Dal primo all’ultimo. Venirsi incontro e tendervi una mano sarebbe l’unica forma di democraticità da inculcare a questa città.
Abbiamo l’obbligo morale di tornare sui propri passi e vincere una volta e per tutte.
Tutti insieme, senza scissioni e senza paternalismi. Tutti, nessun escluso.