I motivi del "no" di Conte a De Laurentiis
Stanno emergendo, piano piano e sottovoce, i dettagli della trattativa lampo della settimana scorsa condotta dal presidente Aurelio De Laurentiis e Antonio Conte, arenatasi improvvisamente dopo essere sembrata in procinto di chiudersi con un esito positivo.
De Laurentiis e Conte si sono incontrati. Questo è un fatto; d’altronde, volendo ricostruire gli eventi dello scorso inizio settimana, De Laurentiis aveva lasciato presagire la sua volontà di intervenire sul momento no sostituendo Rudi Garcia, l’allenatore che pubblicamente ha ritenuto di contestare con parole di commiato.
De Laurentiis si era convinto; d’altronde, la pausa delle nazionali era apparsa a tutti, e soprattutto a lui, l’occasione perfetta per invertire la rotta, sostituendo il proprio tecnico, dopo due mesi e mezzo in cui i risultati sono stati al di sotto delle attese, e, per assurdo, il contorno di dichiarazioni, intemperanze e mormorii vari han consegnato uno scenario ben peggiore.
S’è già detto: l’isolamento di Rudi Garcia, il suo atteggiamento di ritrosia nei confronti dell’imminente passato, l’aver costituito un’enclave francofona con solo il proprio staff e la diffidenza a condividere informazioni anche con il team manager ed il direttore sportivo aveva messo all’erta De Laurentiis già dopo il primo mese a pieno regime a Castel Volturno.
I risultati e le prestazioni, poi, hanno fatto il resto. De Laurentiis, al termine del disastro di Napoli-Fiorentina si era convinto ad esonerare Garcia, al punto di palesarlo off the records praticamente a chiunque glielo avesse chiesto. Entrando anche nel dettaglio di una scelta rivelatasi sbagliata, opinando cioè sulla sua disabitudine ad allenare in Italia; e, in maniera incredibile, citando altri allenatori sondati in estate (Aurelio, sei lo stesso che ha negato di aver fatto casting?!).
Il resto è storia. Quando il dossier Conte sembrava già in dirittura d’arrivo, con tanto di chiacchierate più che esplorative per comporre lo staff, la doccia fredda: s’è parlato di volontà di rimanere fermo da parte di Conte, s’è detto di mancato accordo economico, s’è scritto di ipotesi congelamento dovuto ad una clausola col Tottenham.
In realtà, la trattativa si è interrotta, a fronte al vero nodo gordiano di questa fase: Conte a Napoli, anzi, in un Napoli in difficoltà, avrebbe messo come prima ed irrinunciabile condizione la centralità della sua figura. Un manifesto, se si vuole, di un approccio ontologico diametralmente opposto alle idee della presidenza.
Probabilmente, i rapporti amichevoli tra Aurelio e Antonio han fatto sì che il salentino, in una evidente posizione di forza nel gioco della ‘contrattazione’, abbia affrontato il tema dell’agibilità del tecnico nel club e chiesto, di petto, una ritrazione del ruolo presidenziale che, evidentemente, nell’ambiente sembra essere il vero problema reputazionale del club.
De Laurentiis – Conte si sarebbe chiusa senza intoppi se ADL avesse derogato ai suoi dogmi: se, cioè, avesse accettato di cedere le chiavi di Castel Volturno al suo allenatore, limitandosi a un ruolo di patron e lasciando alla rinnovata area sportiva le redini di comando.
Il presidente del Napoli non ha mai accomodato un tale ruolo a nessuno; non è successo né con dirigenti, né con allenatori. Questo è fuori dubbio.
Ma allo stesso modo, De Laurentiis si è trovato, nei suoi 19 anni alla guida del club, grandi dirigenti e grandi allenatori che, giorno dopo giorno, si sono guadagnati sul campo una centralità, divenendo, essi stessi, uomini forti di riferimento e, talvolta, contraltari alla ‘voce del padrone’.
Anzi, a dirla tutta, la vera fortuna del Napoli è stato costruire la credibilità dei propri uomini di campo al netto di una società che, sul piano degli spazi, teneva distinte l’indirizzo politico ed il campo: lo è stato sin dagli albori, dove il Napoli risale la china e si impone subito anche in Europa con Pierpaolo Marino. E poi, via via Mazzarri, il primo allenatore spigoloso; Benitez, un professore della comunicazione trasversale, le cui conferenze stampa pedagogiche erano il medium per messaggi da dare alla società. Infine, Giuntoli, che nel giro di otto anni ha concluso un cursus honorum dal quale è emerso come figura incredibilmente più centrale di quanto si potesse ipotizzare nei primi anni della sua esperienza. Quel Giuntoli che è stato più di un D.S., quasi il collante, il garante di una continuità tecnica e identitaria, tramandata dai tempi di Sarri e sublimatasi nel biennio Spalletti.
Oggi, questo breve excursus ci evidenzia il fulcro della questione: il Napoli, teorizzato ed ipotizzato come società snella, non può prescindere da allenatore e direttore tecnico forti, credibili ed autorevoli.
Il non detto di questa estate, il problema dei problemi: l’area sportiva del Napoli è debole. Ha un direttore sportivo che si ricorda soltanto per l’estrema accortezza nello scegliere gli abiti da indossare. Ha un club manager che appare più longa manus della proprietà che dirigente autonomo. Ha un responsabile dello scouting che, a fisarmonica, è coinvolto nelle responsabilità ovvero esautorato a seconda del caso. E, oggi, ha un allenatore che, come detto, è, per citare il Tony Blair che apostrofa John Mayor nella House of Commons nel 1997, ‘Weak, weak, weak”(debole, debole, debole).
In questo momento, nel Napoli l’unica figura forte è De Laurentiis: e sembra che questo modello, questo schema, sia non già figlio di una successione, quella a Giuntoli e Spalletti, difficile e accidentata. Quanto esito di una scelta consapevole, voluta e rivendicata.
Il commissariamento di fatto di Garcia verrà ricordata come una delle pagine più tragicomiche della sua esperienza di allenatore; un’onta per un allenatore che si trova ancora in panchina semplicemente perché il suo presidente non è riuscito a chiudere un accordo con un altro tecnico. E che, si mormora, si troverà nelle prossime ore a incontrare calciatori partiti con le nazionali che, prima di lasciare Capodichino, si sono augurati di non trovarselo nello spogliatoio.
Ma è anche un altro, l’ennesimo, errore in sequenza di un De Laurentiis che, fino a questa estate, aveva sbagliato poco o nulla: figlio, ancora una volta, di un eccesso di fiducia nelle proprie abilità di convincimento. Ma anche dell’incapacità ad accettare che qualcuno possa reclamare un ruolo operativo e decisorio più ampio.
Vedremo come ne uscirà fuori. Se il dossier Conte non sembra essere ancora chiuso del tutto, nonostante le smentite di facciata, al momento gli spiragli per risollevare una stagione che sembra già compromessa sembrano pochi. La soluzione ‘traghettatore’ resta ancora sullo sfondo; con i tanti dubbi sulla possibilità di trovare sul mercato un tecnico in grado di offrire garanzie maggiori del seppur delegittimato Garcia.
Con una domanda, maliziosa, che fa capolino: l’eventuale approdo di Vincenzo Italiano a giugno vale una stagione, questa, senza ambizioni?