Quando si parla di gestione strategica aziendale, la programmazione assume un ruolo rilevante in quelle che sono le scelte operative. Nel calcio, un’industria a tutti gli effetti, le cose non cambiano. Ma programmare non è sinonimo di successo. La programmazione in visione prospettica serve esclusivamente a ridurre il rischio d’impresa.

Rischio che persiste e che non potrà mai essere eliminato. Il Napoli ha da sempre una vision che non si limita al breve termine e non a caso traspare continuamente durante gli interventi del Presidente Aurelio De Laurentiis. I ricorrenti piani quinquennali vi ricordano qualcosa? Certe volte le tappe vengono bruciate e la platea si sfrega le mani, ma non si può fare una frittata senza rompere qualche uova.

Isolare questa stagione, limitandola all’operato degli ultimi mesi, potrà anche nutrire l’ego di chi da anni parla di gestione approssimativa e fortunata, ma vorrebbe anche dire analizzare la questione in maniera superficiale. Tranquilli, adesso arriviamo al punto. Ma apparecchiare la tavola era doveroso.

Oggi, la strada battuta è quella del presidente dispotico e narcisista. Un leitmotiv al quale nessuno sembra riuscirsi a sottrarre. L’incredibile successo dell’ultima stagione aveva annichilito anche i più fervidi detrattori del numero uno azzurro. Messi spalle al muro dopo anni di rigurgiti antisocietari. “Non vuole vincere” il tossico caposaldo della propria narrativa.

A questa visione distorta si contrappongono le figure che decidono di intraprendere un nuovo percorso professionale. Dipinti come eroi. Gli eretici sfuggiti al giogo Aureliano. Accolti come gli ultimi tra gli ultimi prima della immancabile beatificazione. Emblemi del ridimensionamento al loro arrivo. Pavidi capitani da acque chete. Cristiano Giuntoli e Luciano Spalletti appunto.

A loro il Napoli deve una fetta del proprio successo, ma a quale costo? Sicuri che non abbiano responsabilità in questa stagione?
“Ecco, i soliti lacchè presidenziali”, direbbe qualcuno. Pronti a gettar fango sui partenti. No, invece. Non giudichiamo le loro legittime scelte, ma l’impatto che hanno avuto sulla programmazione che il Napoli si era imposto. Su quello è giusto fare chiarezza.

Tecnico e DS si sono sottratti ai propri obblighi contrattuali, costringendo la società a ripiegare su figure minori a un anno dal valzer delle panchine che coinvolgerà i club di mezza Europa. La lista dei papabili in estate era modesta e i nomi lontani dall’impronta tecnica che il club ricercava per rinvigorire le cresciute ambizioni. L’etica societaria ha fatto il resto. Stoppando sul nascere probabili trattative. La pista Italiano non percorsa pur di evitare uno sgarbo a Commisso, tanto per dirne una.

E siccome il Napoli non opera per il gusto di farlo, la scelta più logica è stata quella della continuità. Confermare in blocco la squadra, al netto della inevitabile cessione di Kim e affidarsi all’esperienza di un tecnico che aveva il compito di ricalcare lo spartito del suo predecessore.

Scelta sbagliata? Ma perché esistono quelle giuste? Una scelta deve il suo valore al contesto in cui viene adottata. Quando si è liberi di scegliere. Il Napoli non aveva questa libertà. Ha dovuto scegliere tra un ventaglio di proposte mediocri. Dovendosi accontentare di quello che il mercato offriva e di coloro disposti a sposare il progetto.

Ma la pezza usata per coprire il buco è stata anche peggio. Lecito obiettare. Ed è qui che viene fuori la forza di una società che decide di cavalcare la tempesta piuttosto che lasciarsi andare alla deriva. La capacità di non dipendere da una stagione. Di ricompattarsi. Di costruirsi il proprio futuro. A fine stagione il Napoli “sceglierà” da chi ripartire.

Per finire, una menzione di demerito va alla squadra e ai suoi protagonisti. Svuotati. Sazi dopo un anno famelico. Divorati dalla presunzione al punto di condurre alla gogna un tecnico. Un gesto che ha finito per metterne a nudo i limiti caratteriali in questa stagione dai contorni sbiaditi. Si doveva rifondare? Ma quando si decide di farlo bisogna partire dal manico. E in assenza di quello, ecco che ritorniamo inesorabilmente all’idea di continuità

Alla società contestiamo la comunicazione. Conferenze che hanno finito per alimentare il clima di contestazione. Pensieri castrati dalla necessità di non mettere a nudo fragilità e certezze operative. Apparenti tentativi di giustificare il mancato successo. Ma il Napoli ha tutto per ritornare “milionaria”. Solo che adda passà ‘a nuttata.

https://youtu.be/FvB3Hk-YRAo?si=6XGmaPXkJoYXpqrK
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