Sono trascorsi 19 anni da quando il Napoli è rinato. Agli inizi di settembre, nel 2004, Aurelio De Laurentiis deposita assegni circolari per circa 32 milioni di euro e acquisisce il titolo del club.“Si vince se si semina e se si costruisce. Cinque anni per ricostruire la società e per assestarla. I secondi cinque anni per vincere", furono queste le prime dichiarazioni del Patron.

La prima vittoria del Napoli arriverà dopo 8 anni, in Coppa Italia contro la Juventus appena scudettata. Seguiranno una Super Coppa Italiana, altre due Coppa Italia fino ad arrivare allo storico terzo scudetto della storia azzurra. Trofei conditi da 14 anni di presenza consecutiva in Europa, come nessuna italiana fin qui.

Un percorso, quello del Napoli di Aurelio De Laurentiis, che è sotto gli occhi di tutti. Il club ha visto crescere la propria reputazione in maniera vertiginosa e si è posizionato tra i primi 20 club d’Europa per valore della rosa. Un traguardo raggiunto attraverso la sostenibilità economica e la valorizzazione tecnica dei propri investimenti. Principi definiti e perseguiti sin dal ritorno in Serie A, datato 2007. Un altro dogma fondante del percorso è stato la scelta dei profili sui quali il club ha deciso di investire. Raramente si è puntato su prospetti già affermati, il club ha sempre cercato di allineare la propria crescita tecnica con quella di calciatori in rampa di lancio. Acquistati un attimo prima che esplodessero. Una ricerca di caratteristiche compatibili al contesto tecnico e sociale. Nella stragrande maggioranza dei casi, calciatori, allenatori o dirigenti, hanno dato il meglio della loro carriera proprio alle pendici del Vesuvio e una volta andati via, sono diventati normali o, quantomeno, non sono riusciti a migliorarsi ulteriormente.

Re a Napoli, soldati altrove

Gli esempi sono tanti, anche nomi di un certo spessore. Edinson Cavani, preso per sostituire Quagliarella, si rivelò un calciatore straordinario. Autore di 104 gol in soli 3 anni, fu acquistato dal PSG per la cifra di 60 milioni di euro (altissima per l'epoca). Sotto la Torre Eiffel l'uruguagio farà ottime annate, ma mai ai livelli straripanti di Napoli. La storia parigina del Matador si complica anche per l'acquisto di Zlatan Ibrahimovic, dopo un anno dal suo arrivo, prima dei vari Neymar & Co.

L'anno precedente alla cessione dell’uruguagio in Francia ci andò anche l'argentino Ezequiel Lavezzi, idolo dell'allora San Paolo, per 30 milioni. Buone annate, ma nulla a che vedere col calciatore spacca difese ammirato in Italia. Senza scomodare profili minori, ci sarebbe da citare Allan. Il centrocampista brasiliano preso dall'Udinese, a Napoli divenne tra i migliori del ruolo nel campionato italiano, al punto tale che proprio il PSG, dopo averlo visto all’opera in una gara di Champions, arrivò a offrire a De Laurentiis la bellezza di 75 milioni di euro. Proposta rifiutata dal Patron. Allan fu ceduto in seguito allo storico ammutinamento di novembre 2019, all'Everton per 25 milioni. Dire che è andato nel dimenticatoio è un eufemismo. Così come Koulibaly, autore di grandi annate a Napoli, tanto da essere considerato tra i primi 3 difensori d'Europa. Passato poi al Chelsea per 40 milioni, è stato venduto dopo un solo anno in Arabia a seguito di un'annata disastrosa. Stesso discorso per Mertens, che con 4 milioni di euro a stagione (cifra che voleva dal Napoli per rinnovare e che sembrava anche avere il placet di De Laurentiis ma che alla fine non ebbe seguito anche per motivi legati alla mancata propensione di Spalletti nell’utilizzarlo) in Turchia - anche per motivi anagrafici e di conseguenza fisici, è lontanissimo parente del calciatore ammirato a Napoli, o dell'ex capitano Lorenzo Insigne che, passato al Toronto, ha perso anche la Nazionale.

Chi invece ha mantenuto gli standard, ma senza mai arrivare ai livelli napoletani, sono Jorginho e Gonzalo Higuain. La punta argentina vinse uno scudetto a Torino da protagonista, dove il campionato lo avevano vinto anche con Matri e Vucinic, ma non raggiunse mai gli standard di eccellenza napoletani. I 90 e passa milioni di euro che il Napoli incassò servirono per rifondare la rosa e mettere le basi per quello che poi sarebbe diventato il Napoli attuale. Il regista brasiliano, invece, dopo il passaggio al Chelsea di Maurizio Sarri, fu protagonista di un anno strepitoso con la vittoria dell’Europa League e in grado, successivamente di alzare coppe di maggior prestigio come la Champions e la Coppa europea con la nazionale italiana. Addirittura terzo al pallone d'oro. Da quel momento, un lento declino, oltre i due rigori di fila errati che hanno costretto l'Italia a non partecipare per la seconda volta consecutiva al Mondiale.

Ci sono altri casi di calciatori, come Fabian Ruiz, Arkadiusz Milik (al netto degli infortuni). Buone annate a Napoli, mai emulate e ripetute altrove. Ma se i calciatori sono sotto gli occhi di tutti, stesso discorso si potrebbe fare anche per dirigenti e allenatori.

I dirigenti del Napoli di De Laurentiis

Pierpaolo Marino fu il primo ds del Napoli targato Aurelio De Laurentiis. Fu lo l’artefice della scoperta dei talent, su tutti, di Lavezzi e Hamsik (anche lo slovacco, altrove, non ha mai raggiunto i livelli partenopei). Nell'anno in cui Roberto Donadoni fu sostituito da Walter Mazzarri dopo solo 7 giornate di campionato, anche il buon Marino fu sostituito da Riccardo Bigon. Dopo Napoli, Marino ha girovagato tra Bergamo e Udine senza mai lasciare il segno. Stesso dicasi per Bigon. Dopo Napoli passò al Bologna. In terra emiliana non ha mai lasciato il segno come invece fatto a Napoli in coppia con Mazzarri prima e soprattutto con Benitez poi.

Dopo Bigon arrivò Giuntoli che ha raggiunto, l'anno scorso l'apice della sua carriera. Il tempo dirà se a Torino, sponda Juventus, ripeterà le gesta partenopee.

Gli allenatori del Napoli di De Laurentiis

Per gli allenatori discorso anche più ampio. Ma sotto l'occhio di tutti. Mazzarri, autore di annate straordinarie (primo trofeo dell'era Adl, prima qualificazione Champions, ottavi di finale di Champions League) andò all'Inter dove fu messo miseramente alla porta dopo qualche mese. Di lì in poi una carriera davvero da dimenticare. Benitez stravolse il Napoli: un profilo internazionale coadiuvato dalla società che non vedeva l'ora di fare il salto di qualità. Nella famosa estate del 2013 la società partenopea sbarcò sul mercato europeo: dal Real Madrid arrivano Higuain, Albiol e Callejon, dal Liverpool arrivò Pepe Reina . Il Napoli dello spagnolo arrivò alle semifinali di Europa League (prima semifinale europea del nuovo corso) uscendo contro il Dnipro dopo un arbitraggio che definire scandaloso è alquanto riduttivo. Benitez fu chiamato dal Real Madrid, dove fu allontanato dopo poco tempo per un approccio totalmente errato ed un gioco che non sposava le caratteristiche (né la volontà) dei senatori. Da quel momento, nonostante un curriculum da paura, Rafa entró nella più classica delle parabole discendenti.

Anche Sarri ha vissuto i suoi migliori anni professionali a Napoli. Preso dall'Empoli, portò un gioco da fantascienza riconosciuto in tutta Europa. Addirittura fu coniato il termine "Sarrismo", che finì sui vocabolari italiani, per definire "la concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva". A Napoli toccò quota 91 punti, ancora record per la società partenopea. Una volta andato via, vince una Europa League al Chelsea e uno scudetto a Torino, ma del suo iconico gioco neanche l’ombra. Successi arrivati grazie alla capacità del tecnico di adeguarsi alle caratteristiche dei vari gruppi di lavoro, tecniche e mentali, più che per l’incidenza delle proprie idee. Trofei vinti d’inerzia che hanno riempito il suo palmares, ma che non hanno oscurato nell’immaginario collettivo il Sarri di Napoli.

Capitolo a parte per Carlo Ancelotti. Il tecnico emiliano arriva dopo l’esonero in Baviera. È chiamato per ripartire dopo la rivoluzione monca del toscano. Ma le cose non sono andate per il verso giusto. Il primo anno, in realtà, Ancelotti non migliora le performance in Champions League, con un girone da alti e bassi perso ai danni di Psg e Liverpool, in campionato conferma la seconda posizione del suo predecessore, senza però mai lottare per lo scudetto. La stagione successiva, il corso ancelottiano si sfalda completamente. Complice uno spogliatoio ostile, il tecnico viene esonerato a dicembre 2019, dopo lo storico ammutinamento del mese prima. A inizio 2020 passò all'Everton, dove non fece un buon campionato, nonostante quell'anno i Toffes fecero un mercato milionario. Poi, per Carletto arriva nuovamente la chiamata del Real, un vero e proprio jolly per il tecnico, che rilancia nuovamente la sua carriera confermando la tesi dell’ottimo gestore di campioni ma non di produrre un calcio efficiente in piazze meno blasonate.

Gattuso venne per sostituire Ancelotti, vincendo la Coppa Italia, che resta l'unico trofeo della sua carriera da allenatore. L'ex centrocampista del Milan e della nazionale arriverà ad un punto dalla qualificazione Champions, mancandola all'ultima giornata contro il Verona, in un match diventato icona negativa degli ultimi anni. Lontano da Napoli, la sua carriera sembra essersi arenata.

Di Luciano Spalletti ci racconterà il futuro. La cosa certa è che, nonostante sia sempre stato un grande allenatore, a Napoli è riuscito a scrollarsi di dosso l'ingiusta etichetta di perdente affibiatagli dopo tanti secondi posti.

Napoli oasi felice?

Lontano da Partenope si diventa più ricchi. L'unico valore destinato a crescere è quello del conto in banca. Ma, dal punto di vista tecnico, l'aria di Napoli fa miracoli. Trasforma giocatori normali in fenomeni, mediocri in calciatori di livello, ed ex fenomeni ritornano a brillare come mai fatto prima. Le eccezioni ci sono, ma servono solo a confermare la regola. Il club sembra essere da sempre cosciente di tale valore aggiunto e la proprietà non ha mai concesso deroghe alla missione di scovare talenti pronti a esplodere e a donare al club i migliori anni della propria carriera. Abbandonando le suggestioni, però, l'aria di Napoli non è altro che un modello di lavoro che tiene conto di ogni aspetto legato all'atleta. Una consapevolezza che il club sfrutta in ogni ambito, ma soprattutto in sede di mercato. Anche per questo grande attenzione è rivolta allo scouting. Individuare i profili in giro per il mondo è la benzina che permette al club di guardare al futuro con fiducia e non legarsi troppo ai singoli. Un booster sul quale pochi club in Europa possono contare.

Questo modello di impresa è rischioso. Soprattutto in una città come Napoli, che ormai ha fatto l’abitudine a lottare per i vertici e che ha alzato l’asticella del piacere: dal bel gioco al bel gioco vincente. Aspettative che lasciano poco margine d’errore e rende sempre più difficile la mission societaria.

Chiudiamo con un punto di domanda: è il Napoli a rendere migliori i propri tesserati o viceversa?