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Aurelio De Laurentiis
Aurelio De Laurentiis

Il Napoli merita di ricevere dall'ambiente serenità. Ma non per partito preso o per diritto acquisito. Semplicemente perché la serenità l'ha conquistata attravareso il lavoro, con sacrificio, forza e decisione. Con passione.

Il mercato di gennaio ha portato i cecchini a puntare di nuovo i fucili. Il picco della protesta è stato raggiunto all'annuncio del povero Noah Okafor, che avrà pensato di essere stato tesserato da un club sull'orlo di una crisi di nervi invece che dalla capolista. Capolista unica e certificata, visto il crollo dell'Inter in terra toscana.

La conquista, dicevamo. Tutto quello che in 20 anni ha fatto il Napoli, lo ha realizzato sempre, o quasi sempre, sotto i colpi del fuoco amico. Accompagnato da un ambiente uterino (eufemismo) e un racconto al limite del ridicolo.

Si è passati dalla fortuna alle aragoste pescate dal cesso a velocità supersonica. A un certo punto, la società è stata tirata in ballo pure per i parcheggi (?) intorno allo stadio. Tutto questo, duole dirlo, è sempre per la mancata unione dell'ambiente tutto. E per tutto si intende media, giornalisti, tifosi, club. E chi più ne ha più ne metta.

Sono da considerarsi meritevoli di invidia i progetti (fantasiosi) di altre piazze, tendenti alla difesa a oltranza anche dinanzi a evidenti errori/orrori o al sonnambulismo sul filo della legalità. Un sogno. Napoli no, ne è sempre stata esente. Eccessiva anche in questo. Divisioni su divisioni, narrazione tossica e controvertibile, incapace e cattiva.

Il Napoli lavora bene quando è sotto attacco

Luciano Spalletti contestato a Dimaro
Luciano Spalletti contestato a Dimaro

Ma il Napoli, in questo clima bellico, non si è mai scomposto. Lo ha spiegato benissimo Giovanni Manna nella conferenza di martedì. Ha inseguito, e conquistato, valori. Ha cercato, e conquistato, sicurezza. Ha rincorso, e conquistato, solidità. Da solo. Con la forza delle idee e il coraggio degli ultimi. Basti pensare alla indimenticabile estate del 2022. Scorta ad Aurelio De Laurentiis e banane lanciate all'indirizzo di Luciano Spalletti. E tra striscioni incommentabili e uova strapazzate sui bus, il Napoli costruiva lo scudetto.

A distanza di due anni e mezzo, tutti sono ricaduti nell'errore della divisione e nella sindrome del cecchino. Aiutati dai social network sempre più miniera d'oro di improvvisati (raccontati egregiamente da Cesare Cremonini nella sua splendida "Nessuno vuole essere Robin").

Oggi il Napoli, con lavoro, coraggio e investimenti è di nuovo primo. E poco importa, sinceramente, quale sarà l'epilogo di questo bellissimo campionato. Con un grande allenatore in panchina (Antonio Conte sarebbe stato impossibile da ingaggiare solo pochi anni fa) e una squadra fortissima che sa come si vince (impensabile, anche questo, fino a poco tempo fa).

I meriti e i demeriti a seconda se si vince o se si perde hanno padri diversi

Conte e De Laurentiis
Conte e De Laurentiis

Già sappiamo di chi saranno meriti o demeriti a seconda dell'epilogo. Ma non ci interessa. Quello che invece ci sta a cuore è un altro aspetto. E cioè la Conquista. Il Napoli ha conquistato rispetto. Sarebbe ora di riconoscerglielo senza che una TV su un canale lontano (60) lo faccia inconsciamente. Sarebbe segno di maturità, di crescita. Di internazionalizzazione.

È giunto il momento, anche se questo momento è giunto da anni. Non dovesse essere così, pazienza. Vorrà dire che questa società continuerà a lavorare duramente in un clima non sereno. È abituata, fortunatamente. Con i suoi difetti. In questo modo li ha limati. Da ogni errore è sempre rinata. E dal fuoco ne è sempre uscita. E se tutti facessimo la nostra parte, proprio col fuoco potremmo "accendere un sogno e lasciarlo bruciare in noi" (W. Shakespeare) molto più spesso.

Questo club, queste squadra, questi uomini, tutti, meritano un ambiente di maggior classe (semi cit.).


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