Aggettivi ulteriori non servono: per descrivere questa stagione del Napoli bastano i risultati, i punti in classifica e qualche fotogramma qua e là.

Tre allenatori, ciascuno inadeguato a suo modo - Garcia, il peccato originale, Mazzarri, fossile novecentesco, Calzona, monolitico nella sua sindrome di Stoccolma - sono già di per se il fatto, un’anomalia statistica in grado di raccontare meglio di ogni altra cosa i connotati tragici di questa congiuntura storica.

Il limite dell’osservatore è quello di non poter ipotizzare futuri possibili con lo stesso grado di ragionevole certezza con la quale si può guardare al passato: un passato glorioso che oggi vive la prima crisi strutturale del suo ciclo di vita.

I vent’anni di era De Laurentiis oggi sono di fronte ad un momento epocale; con la forza delle proprie idee il club si è imposto nel panorama nazionale ed europeo come esempio virtuoso e vincente, modello di sostenibilità e competenza.

Dopo la celebrazione dello scudetto, la Terra Promessa che, pur non sbandierata, teneva insieme sogni, ambizioni e progetti di piazza e società, come collante e orizzonte unico di un approdo da sempre agognato, De Laurentiis è di fronte ad un bivio.

Scegliere cioè su quali binari proiettare il futuro della sua squadra: se ancorarla ai dettami ideologici che hanno orientato la gestione ante-annus horribilis o, d’altra parte, provare ad irrobustirsi, con le rendite della cessione onerosa di Osimhen, sulla scorta di quanto accadde nel 2013, nel Napoli post-Mazzarri I.

Il presidente azzurro è chiamato ad una scelta ideologica e strutturale: ha avuto la dimostrazione empirica che nel suo modello di società affidarsi a personaggi minori, intrinsecamente ed estrinsecamente deboli - perché deboli ne sono i caratteri del mandato a cui rifarsi - magari regalerà estati di giubilo e standing ovation in solitaria nei vari ritiri montagnoli, ma porta dritti dritti al disastro.

Se questa stagione fosse finita nella mediocrità di obiettivi non raggiunti, l’urgenza di un cambio di passo non si sarebbe fatta avanti; il terrificante andamento stagionale, che ha fatto del Napoli la peggior squadra del campionato italiano, incapace non solo di dare continuità, ma finanche di risultare credibile sul piano agonistico, impone riflessioni sulla possibilità stessa di ritenere credibile, ancorché auspicabile, la linea di continuità nelle idee tecnico-tattiche e nella rosa da consegnare al prossimo allenatore.

La short list del presidente

De Laurentiis ha l’onere di rilanciare il progetto. Probabilmente per farlo dovrà mettere in discussione tutto ciò che ha professato e praticato in vent’anni di presidenza; che in soldoni significa rivoluzionare il parco giocatori, sostituendoli con profili diversi, sotto il profilo tecnico, tattico e, forse, anagrafico.

Quest’urgenza lo ha portato a mettere in standby il progetto originario, che vedeva in Vincenzo Italiano, tecnico valido ma i cui limiti sembrano figli di un arrivismo personalistico più che d’una consapevole serenità, l’erede designato di Spalletti, al quale affidare la squadra dopo l’Inter regno di Garcia.

Da ottobre quella soluzione sembra inadeguata a rilanciare un progetto smottato da crepe più profonde di un allenatore approssimativo: al Napoli s’è imposta come necessaria una rivoluzione copernicana.

Ecco le ragioni degli approcci con Antonio Conte, allenatore agli antipodi con il De Laurentiis pensiero, ma che incarna perfettamente il prototipo della rivalsa, dopo un anno in cui a venir meno è stata non solo la competitività ad alti livelli, ma, per la prima volta, lo status di top club del Napoli.

Il nuovo d.s. Manna lavora sin da febbraio per il Napoli: e pare abbia convenuto sulla necessità di un profilo forte per la panchina.

Ieri sera Gianluca di Marzio ha rilanciato la disponibilità di Conte, oltre che di Gasperini, altro top su piazza, e Pioli, che appare sfiancato dagli esiti della sua storia milanista. Tre allenatori con più di 500 panchine tra serie A ed Europa.

Segno che evidentemente De Laurentiis sta scogliendo le riserve su uno dei tre: di Conte sappiamo anche eventuali richieste in sede di mercato (profili alla Sudakov piacciono tanto, ma davanti preferirebbe Lukaku a David). Gasperini invece darebbe meno paletti, pur chiedendo garanzie sulle caratteristiche dei calciatori. Pioli, invece, rappresenterebbe un conciliatore tra il vecchio e il nuovo, avendo il suo 4231 milanista molti punti di contatto con la rosa attuale.

Non è detto che il Napoli scelga uno dei tre (la suggestione De Zerbi inizia a serpeggiare), come non è detto che la scelta dell’allenatore emendi d’amblais i deficit evidenziati da questa stagione.

Ma una cosa è certa: il nuovo Mister racconterà molto del futuro che ci attende.