La piazza impazza, scalpita e sfavilla. C’è chi ancora analizza incredulo il ritmo forsennato sostenuto dalla squadra azzurra (41 punti ottenuti su 45 disponibili), chi non si capacita di come questa squadra sia bistrattata dalle prime pagine dei giornali e chi invece si danna l’anima per alcune decisioni arbitrali delle ultime giornate di campionato senza le quali avrebbe consentito al Napoli un maggior distacco dalle inseguitrici.

Al contrario dei tanti, fin quando si omette di un Napoli prestante e dominatore sui titoli dei giornali mi sta più che bene. Sì, perché l’oggettiva ratio equivarrà anche al concetto unanime ma rende nuda la sua essenza. Volete mettere la resa sicurezza di avvilupparsi in una solida armatura? Ermetica, senza dare possibilità al proprio avversario di infilzare il suo colpo di sciabola nel finale?

“Sono napoletano e soffro della sindrome della vittima predestinata”. Sì, anche questo ho visto scrivere dalla carta stampata. Anche napoletana se proprio vi interessa l’argomento. Siamo etichettati come gli adulatori del complottismo e pretestuosi del ‘chiagne e fotti, come si suol dire in gergo. Anzi, vi dirò di più, questo atteggiamento ci viene imputato non solo come un cliché già noto ma recherebbe anche un danno alla squadra. In che modo? Destabilizzando l’ambiente sano e spensierato di questo nuovo gruppo e inculcando negatività e retro pensiero del recente passato.

Un po’, giusto per fare un esempio, come quando Allegri destabilizzò l’ambiente Juventus nel 2017 con l’esordio della Var in Serie A parlando di una malsana oggettività dello strumento.

Ne stravolse l’ambiente in maniera tale da compiere una fatica immane per poi ricompattarlo. Eh sì, non ricordate i sudori profusi in quel di Cagliari?

O i possenti meeting motivazionali di Roma?

Per non parlare del sopraggiunto affiatamento che avvenne in quel di Milano. Appunto, non ne parliamo.

In effetti potremmo anche tornare a parlare di come siamo stati ‘bravi’ a strumentalizzare gli episodi di Pechino nel 2012 che sancì la sconfitta in finale di Supercoppa italiana per 4-2 contro la Juventus. Come dimenticare il presunto insulto rivolto da Pandev all'assistente di linea, Stefani? A lungo si discusse su cosa avesse detto di così grave l'attaccante per meritare il cartellino rosso diretto. A lungo è stata fatta dietrologia sul provvedimento disciplinare giudicato troppo severo rispetto a un atteggiamento "veniale" che avrebbe meritato buon senso. "Vorrei sapere da chi ha preso lezione di lingua macedone il guardalinee che ha fatto espellere Pandev, disse De Laurentiis allora, visto che il giocatore si rivolse a lui nella propria lingua. L'elenco delle contestazioni degli azzurri annoverava un rigore quantomeno generoso concesso alla Juventus (contatto tra Fernandez e Vucinic), e dulcis in fundo le due ammonizioni che portarono anche all'espulsione di Zuniga, ingiustamente punito per un fallo subito e non commesso.

Nel 2021, invece, abbiamo affinato le nostre abilità di risultare dei puerili perseguitati. Concentrammo il tutto nel finale di campionato, quando la corsa per il quarto posto utile alla qualificazione in Champions si giocava sul filo del rasoio. Prima con un gol annullato ad Osimhen che avrebbe portato il Napoli a condurre per due reti a zero il match contro il Cagliari ma che l'arbitro Fabbri ha annullò per un fallo dubbio su Godin. Poi fummo talmente bravi nel “recitare la nostra parte” che nelle ultime due giornate riuscimmo nell’intento di far fischiare un rigore fantasma a Cuadrado - che consentì alla nostra diretta avversaria di vincere contro i già campioni d’Italia dell’ Inter - e abbattere il morale della nostra squadra al punto tale da non consentirle di battere tra le mura amiche il Verona di Juric. Sì, è vero, quella sera gli azzurri peccarono in tutto, personalità, agonismo e senso di appartenenza. Tutto giusto. Ma una partita storta può capitare o dobbiamo avere a tutti i costi una squadra col fiato sul collo pronta a sbranarci per colpa di decisioni alquanto discutibili?

Roberto Saviano squarcia il dibattito

Cosa temo? Da tifoso: che non ce lo facciano vincere... Che si metta in moto la grande macchina che spinge le squadre del Nord.

Roberto Saviano alla Gazzetta dello Sport

L'opinione pubblica in questi giorni si è spaccata sulle dichiarazioni di Roberto Saviano, che da tifoso del Napoli, ha confessato le sue paure circa l'eventuale condizionamento dell'esito sportivo del campionato, in un'intervista alla Gazzetta dello Sport. Se anche uno degli intellettuali più in vista degli ultimi anni ha osato mettere in dubbio la lealtà dei club del nord, cosa potremmo mai aspettarci dal napoletano medio, che dal sentire comune è inteso come una sorta di stregone medievale? Le dichiarazioni dello scrittore hanno messo in moto la macchina del luogo comune su Napoli e i suoi abitanti. La solita sceneggiata sabaudo meneghina, poco pubblicizzata, ma che affonda le radici nei primi anni di unità nazionale. Dichiarazioni che però hanno anche acceso le luci in anticipo su una questione meridionale che i numeri - e quelli non mentono mai - supportano.

Forse i media hanno effettivamente ragione, siamo dei millantatori e godiamo nel compiacerci nel nostro brodo di giuggiole. Ci lagniamo del superfluo e abbiamo poca dimestichezza con il regolamento giuoco calcio, ad esempio, prima della sosta invernale, dovuta ai mondiali in Qatar, solo da queste parti non eravamo a conoscenza della norma che elide il fallo di mano perché può risultare inaspettato in area di rigore. Non lo sapevate vero? E nemmeno il sottoscritto.

Perché ignoriamo e ignoranti in materia. L’onniscienza è un mondo a noi sconosciuto, appartiene agli altri, e gli altri non siamo noi.


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