Napoli battuto a Torino contro i rivali storici. Sconfitta da contorni tecnici molto amari. La gara, però, da cui ricominciare il percorso verso la Champions.

1) IL BUNKER ANTI POSSESSO PALLA

Il Napoli perde sicurezza acquisendo il percentile del possesso palla che assevera il disagio della sconfitta, e con le medesime statistiche di predominio del campo e di detenzione della palla avutesi lo scorso Aprile allo Stadium, in questa circostanza ma con vicissitudini avverse e un periodo tutt'altro che semplice, gli azzurri non riescono a scrollarsi di dosso le paturnie del risultato, inerpicandosi in un inutile scalata allo scabro muro juventino.

I campioni d'Italia provano a disambiguare qualche uscita dal basso e a far assaggiare con costrutto la propria fame da goal, ma il risultato è quello di una fluidità di palla abbastanza lenta ed un incisività offensiva quasi nulla, e per quanto contino anche gli expected goals, le occasioni procurate sono cestinate senza troppa cura.

È così che il Napoli si sfalda dinanzi all'inapplicabilità di alcuni vecchi concetti di gioco consolidati, estinguendo del tutto uno sforzo più immane nel ragionamento che nel fisico su alcune periferie di campo, andando a lesinare grinta a dispetto di duelli individuali non vinti, una forma non di primo livello ed una contrizione ad offendere, sempre più nervo scoperto della squadra, orfana di certezze metabolizzate e sfortunata;

La Juventus attuale non è neanche una squadra al livello del Napoli, ma vince le partite perché non ha bisogno di resettare uno stile di gioco o di fidelizzare la propria identità, bensì le basta difendere molto bene, il più grande antidoto al Napoli in affanno.


2) LA FASCIA SINISTRA ASETTICA

Il Napoli incespica in una ricorsività di manovre che in teoria dovrebbero privilegiare l'esterno alto ricercato a campo invertito, col vantaggio di potersi accentrare oppure puntare il fondo di campo per la giocata determinante.

Ma complice anche l'infortunio di Oliveira e e Rui, con conseguente adattamento di Natan su quell’out, la fascia sinistra è diventata un rebus in cui il giovane brasiliano non sa quando spingere e quando difendere, Kvara è tendenzialmente accerchiato, triplicato e inibito e le associazioni con la catena dei giocatori di riferimento Lobotka, Cajuste, Raspadori e Zielinski, raramente si producono in azioni piroettanti. L’incubazione tecnica che vive il talento georgiano è l'attitudine monca della squadra a voler sviluppare il gioco in verticale, avviluppandosi in orizzontale, con un briciolo di prevedibilità e la manovra non sveltita che contribuisce a depotenziare il Quantum del Napoli, che qualche tempo fa sprintava sempre su quel versante.

3) GATTI NON MANSUETI

Lo ha rifatto ancora Federico Gatti, adescando dall'arte oscura della provocazione, melensa nel suo caso, provando con l'irsuta gesticolazione e la veemenza maligna a levigare le parti aguzze del carattere di Kvaratskhelia, mai come in questo caso ligio fino al midollo e reo solo di subire perpetranti calunnie verbali ed una sorta di bullismo da parte di un giocatore scorretto, che ad onor del vero infastidisce vedere anche protagonista nei tabellini delle partite.
Lo scorso anno Gatti, in trans agonistica da marcatura, gli aveva tirato un pugno in piena regola, volontario, non sanzionato né dall'arbitro né dal Var.

Quest'anno, seppur con un gesto di tono minore ma uguale furia, spintona Kvara a gioco fermo inducendolo a una reazione istintiva. Kvara paradossalmente viene ammonito e risulta evidente che la tutela del ‘rigore’ comportamentale, bypassando il concetto di due pesi e due misure, volge in direzione ostinata e contraria al fair play per lasciare di nuovo il giocatore con la condotta a immacolata a referto, ed è un episodio di recrudescenza d’ingiustizie palesi per il calcio italiano.

4) KVARERRORE SOFFOCANTE

Sul ribaltone di fronte in cui Osimhen è lesto e bravo a vedere Kvara accorrente sul lato opposto, il georgiano non perfeziona lo stop, si allunga il passo e sbaglia la mira calciando alto, in un angolo di tiro troppo sbilenco; fatto sta che col beneficio del dubbio possiamo dire che non tanto tempo fa, lo stesso goal lo avrebbe segnato, così com’è anche giusto dire che il giocatore manca di un killer Instinct di cui avrebbe tanto bisogno in questo momento nella sua carriera per affermarsi ad un livello ancora più alto.

Ovvio che per questo Down all'interno della partita e in più partite da ieri a questa parte, Kvara crea una sorta di discomfort nel gioco, e nelle situazioni in cui fa meno bene viene punito oltre misura da errori lampanti che gravano come macigni sul risultato; in questo momento il determinismo del Georgiano manca tanto al Napoli e le colpe sono da condividere con la squadra in maniera leggermente minoritaria rispetto a quelle che può addossarsi da solo, sbagliando goal semplici come successo contro l'Empoli, fallendo una rete sotto porta, che offusca il piacere del suo stare in campo e soffoca le ambizioni della squadra.

5) RRAHMANI FARFALLINO

Amir Rrahmani avrà calcato poco la mano sull’update di come si esercitano le marcature ferree, o ancor più orfano del rimpianto Kim avrà perso coscienza di quanto il tempo d’assalto alla palla è molto più decisivo dell’elevazione e della posizione primitiva; è così che dopo aver abbandonato Giroud col Milan, soprasseduto sulla marcatura di Lookman contro l'Atalanta ed essersi chiamato fuori da quella di Gatti, negli scontri diretti la sequela di errori gravissimi di Rrahmani è diventata un'abitudine spuria più che malsana, per una squadra che difensivamente, con enorme fatica perlustra solidità ed equilibri mai attuali.
E’ sotto l'occhio di tutti che in questo momento i dieci gol subiti nelle ultime 6 partite del Napoli sono un pesantissimo segnale d’allarme che il reparto arretrato della squadra, pur non concedendo tantissimo, è blando nelle retrovie e subisce in corrispondenza biunivoca con le centellinate occasione altrui, naufragando nel risultato.

6) IL MEMORANDUM DI OSIMHEN

A fine match lo sfogo labile di Osimhen, che nel salutare i propri supporters, ricorda con le mani a quelli avversari che la vera mortificazione del 5-1 di 11 mesi fa non può essere cancellata da uno striminzito e manco convincente 1 a 0 a cui i tifosi bianconeri sono notoriamente avvezzi.
Sotto le Alpi non si capisce quale entusiasmo provano i tifosi bianconeri a schernire i calciatori azzurri con disprezzo, ma se questo gesto da un lato testimonia il grande attaccamento al risultato sportivo conseguito con il Napoli da parte dell’attaccante di Lagos, dall’altro esacerba una rivalità che travalica anche i confini dello sport, ed è l'atto testimoniale del leader, che la squadra s’incupisca nell'incapacità a replicare quanto di buono fatto nel passato ed espletare una supremazia stordente nei confronti di avversari rimasti nei valori assoluti immutati se non addirittura indeboliti.
Potrebb’essere che lo step-up mancante, sia figlio del predominio della frustrazione, che non aiuterà a poter rivivere quei momenti di gioia.

7) LE REGOLE NON SCRITTE DEL CALCIO

Non esiste regola del gioco del calcio che racconti che tirare tanto in porta oppure passarsi tanto la palla serva a meritare la vittoria, specie in epoca di risultati magri, in cui il merito è semplicemente nei numeri.
Ma è chiaro che quella del gol sbagliato e gol subìto, diventa sempre di più un tabù insfatabile dal Napoli, in codesto frangente di campionato in cui tante ambizioni sono ovattate e le capacità si esprimono col guinzaglio anche con la sfera.

Il confronto tra la partita dello scorso Aprile contro i bianconeri in casa loro e quella del capitombolo dell'8 Dicembre, lascia constatare che in quella circostanza per segnare un gol al novantesimo bastarono cinque conclusioni in porta antecedenti e ieri l'una soltanto, tra quelle considerate regolari e mal concretizzate, segnala che la molla del gioco va addirittura allungata per arrivare con maggior esplosività, e lascia trapelare che il cinismo in questo momento nel calcio conta quanto l'altro fattore “C”

8) PROSELITI DEL RISULTATISMO JUVENTINO

Rispetto ad una delle cose dalle quali è più facile reclutare la dissidenza verso il divertimento in nome di una gloria tutta da giustificare, molto figlia nei lustri d’escogitazione, finanze traballanti e talvolta favoritismi, quella che la Juventus brandisce come riscossa, in realtà non è altro che l'epitaffio del proprio calcio: poco mobile, poco bello, poco attuativo, poco interessante ma molto esecutivo, molto efficace, molto redditizio, con una tendenza a difendersi quasi ad oltranza per sfrecciare estemporaneamente in sortite offensive, alcune delle quali ben riuscite.

Il dato di fatto è che questa squadra, che l'anno scorso di questi tempi in prospettiva si sarebbe data per scomparsa dai radar, a un anno di distanza è oggi più che rediviva, gioca addirittura per vincere lo scudetto, non subisce quasi mai gol e con questo stile avulso dalle logiche del divertimento è riuscita ad imbrigliare anche il Napoli che dello spettacolo con la palla fa un proprio caposaldo istrionico.

Dopo aver visto lo scontro diretto e con quasi due terzi del campionato ancora da giocare, rimane da chiedersi nel caso questa Juventus veramente dovesse diventare clamorosamente campione d'Italia, se l'insegnamento del Napoli al sistema calcio dello scorso anno sia valso a qualcosa.


9 L'IDENTITÀ SBIADITA DELLA SCUDETTO

La congiuntura tecnico-societaria ha indotto Il Napoli squadra ad involvere e depauperare tantissimo il proprio valore, teso a non rendere come i fasti recenti e soprattutto ad essere incapace di vincere le partite in maniera nobile; è lampante che il testamento dello scudetto non può essere ripercorso in toto, imparato a memoria e ricostituito in equipollenza, perché ogni stagione è diversa, le difficoltà sono innumerevoli e sempre varie in base al coefficiente degli avversari in quel momento storico e soprattutto gli infortuni e le defezioni possono anche accentuare la precarietà della squadra stessa, specie quando questa non ha delle volizioni che suclassino maliziose teorie di sorta.

Il cavillo del gioco è un anatema per chi guarda il Napoli, negli ultimi mesi si sarebbe anche potuta variare la metodica di come assaltare l’area pur di conseguire l’obiettivo, ma è tangibile che la squadra non nè è in grado e le tracce di questa défaiance vivono nel solco di cambiamenti che non sono stati strutturali ma solo funzionali nelle componenti, avvizzendo motivazioni, che per quanto possano ancor essere apicali, diventano retroattive verso un obiettivo che va al di là delle proprie possibilità e dei propri limiti.

Vincere lo scudetto per il Napoli quest'anno sarebbe stato “utopico”, il gruppo è unito ma stanco mentalmente, la difesa delicata, il centrocampo asimmetrico ad anatomia oblunga, l’attacco normalizzato, con le polveri bagnate, e le guide tecniche che in tutti i modi si ostinano a capire che cos'è che non va, lasciano emergere la verità assoluta che questa squadra non può ripetersi perché farlo vorrebbe dire assumere le difficoltà come lo sprone a dare ancora di più ed invece in questa stagione alla primissima difficoltà il vessillo della squadra si è laconicamente ammainato.

10) L’ANATOMIA DEL PERICOLO

Non esiste un modo per poter impedire che certe cose accadano nello sport, quando queste sono frutto del destino e dell'imponderabile; in campo per il Napoli appare impercettibile il pericolo quando a correre è una palla e prevederne la traiettoria rende poco sincroni gli obiettivi della squadra, con l'attitudine a fare le cose in maniera non impeccabile e la totale mancanza di cognizione di quello che potrebbe accadere vivacchiando su delle buone note tecniche ma senza mai alzare il livello di concentrazione.
Ecco che si subisce un gol francamente leggibile ed evitabile da parte di Gatti ed altre situazioni per quanto poche ma ampiamente opponibili, sforando la linea dell'inconsistenza.
Il Napoli si aggrappa al confine immaginifico tra vedere la palla prima che parta e possedere quella palla che sta nel pugno stretto e alzato millantato da Raspadori nel pre gara. Un pugno oggi senza forza.