Ho sempre distinto il concetto di forza e bravura. La dote che ti ha concesso madre natura è una qualità che si detiene e che nessuno può mettere in discussione, può oscillare dall’anatomia muscolare, cartilaginea e tendinea che il proprio corpo riesce a sviluppare e a tenere sotto tensione in fase di resistenza fisica durante un’attività agonistica. La bravura sta nel riuscire a sfruttare al meglio le suddette condizioni e quantificarla sotto forma di risultati, riuscendo ad ottenere prestazioni di alto livello anche quando l’avversario presenta una build di maggior spessore.

Il Napoli è stato eliminato nei quarti di finale della Champions perché è stato meno forte o meno bravo del suo avversario? Beh, premettendo che la suddetta competizione - come d’altronde tutte quelle che prevedono l’eliminazione diretta - concettualmente non prevede un lavoro di programmazione come, invece, si conviene ad un torneo lungo, e tortuoso, come quello nazionale. Vincere il campionato di serie A, ad esempio, è frutto di una profusa organizzazione la quale- in arco temporale di sei mesi, e 38 partite sul groppone - porti a realizzare un progetto vincente.

Con questo si intendere sminuire la competizione più prestigiosa d’Europa? Assolutamente no, né tantomeno sminuire il passaggio del turno del Milan, ma è altrettanto giusto pensare che gli uomini di Spalletti non abbiano potuto dimostrare la propria essenza e relativa forza che ha caratterizzato questa squadra nel corso di questa stagione. In un torneo lungo come il campionato nazionale il tempo per poter recuperare infortuni, squalifiche immeritate - e non propriamente distribuite in egual misura (ndr) - senza contare il doppio infortunio subito nel giro di 10 minuti a calciatori di spessore tattico come Politano e Mario Rui, c'è. Diventare campioni d’Europa è sicuramente il fiore all’occhiello per un club di calcio, ma non sempre la squadra che alza la coppa al cielo risulta la squadra più forte. Di esempi ne potremo fare a bizzeffe, gli stessi rossoneri ne furono vittima contro il Liverpool di Benitez, la Juventus di Lippi contro il Dortmund di Reuter e il Real di Mihajtovic, il Chelsea che ne fece le spese del Manchester Utd di Cristiano Ronaldo, il City di Guardiola che ci rimise le penne contro gli stessi londinesi.

Il Milan è stato più bravo, questo è un discorso corretto da poter affrontare. Abile nello sfruttare - nel suo momento migliore - i punti deboli dell’avversario che, non al top della propria condizione, era ancora intento a recuperare smalto e in una fase di assesto per la mancanza dei suoi terminali offensivi (3 su 3). Un conto è poterlo fare nella fase iniziale della stagione, cosa che la squadra partenopea ha dimostrato di saper fare all’occorrenza quando Raspadori, Simeone ed Elmas hanno sostituito egregiamente gli infortuni di Osimhen e Kvaratskhelia nello scacchiere di Spalletti, riproponendo lo stesso canovaccio tattico ma con dinamiche e movenze appropriate ai singoli calciatori. Che il Napoli sia più forte è un dato oggettivo, e inoppugnabile aggiungerei, sia per le prestazioni offerte nel duplice confronto, sia per quanto ci ha indicato il percorso fatto, per l’appunto, in campionato.

Ricordiamoci che questa squadra è stata allestita per fare 5 partite in Champions e ottenere un 6º/7º posto in serie A. E nessuno avrebbe potuto dire nulla a riguardo, perché puntare su una rifondazione con annessa riduzione degli ingaggi comporta degli step graduali con aspettative a lungo termine. E invece ci ritroviamo qui a parlare di una rosa composta da uomini eccezionali che sono giunti al finale di stagione con un quarto di finale di Champions League e un primato in classifica distanziando la prima inseguitrice di ben 17 punti. Che questa squadra abbia compiuto una vera e propria impresa lo abbiamo percepito tutti, non solo attraverso la bellezza che ne caratterizza il gioco da svariati anni, ma da un gruppo che non si è mai sgretolato nemmeno dinanzi alle avversità, dall’assenza del sostegno casalingo dei gruppi organizzati ad un’eliminazione europea che avrebbe potuto comportare spiacevoli ritorsioni. Questo lo si deve anche al suo condottiero, adesso è giunto anche per lui il momento di lasciarsi avvolgere dal desiderio di poter fantasticare, di accantonare il ‘vorrei ma non posso’ che è scorso fin troppo sulla mimica del suo viso in queste ultime settimane, ne avrebbe avuto ben donde specie domenica scorsa ma forse è stata proprio questa la sua arma vincente: il dovuto e incessante rispetto per l’avversario.

È innegabile che questa squadra non riproduca più il calcio che tanto abbiamo osannato fino ad un mese fa, gli infortuni e il calo fisiologico hanno condotto questi ragazzi allo strenuo delle proprie risorse fisiche; ma con l’ardore di un immenso e generoso cuore sono riusciti nell’ennesima impresa di sbancare anche un campo storicamente ostico come l’Allianz Stadium e consentire ai propri tifosi di entrare nell’immaginario di un sogno proibito cinque anni fa, con un gruppo che, per quanto profuso e deliziato sul campo, avrebbe dovuto ricevere altrettanta gloria.