Vincenzo Italiano, allenatore del Bologna
Vincenzo Italiano, allenatore del Bologna

Ho fatto un sogno. Forse era un incubo. Non so.

Ho sognato un Napoli allenato da Vincenzo Italiano; era l’ottava giornata ed avevamo 8 punti. Ma, quanto possesso palla… Quanta qualità nelle giocate offensive… Quanta intelligenza nelle giocate di Castrovilli e Belotti.

Fuor di polemica, lo scenario che molti avevano auspicato, con le loro lavagnette tattiche e i numeri di siti di statistiche, sarebbe stato esattamente questo. Un Napoli affidato ad una panchina debole, ma ‘sicura’; certa dei presupposti tecnico tattici da mulino bianco (possesso palla, 4-3-3, tanti xG) e pieno zeppo di giocatori in linea con la comfort-zone idealistica del giovanilismo.

Conte ha ereditato macerie, altroché. Macerie tecniche e psicologiche, sia nella squadra, sia nella società. 

De Laurentiis ha avuto il grande merito di affidarsi ai professionisti più capaci su piazza, riagganciando il treno delle big che, dopo un anno perso ad inseguire la chimera dell’autarchia nel languore dell’esaltazione, era parso lì lì per sfuggire definitivamente.

Questi sono i due fatti. Intorno ai quali ogni ricostruzione alternativa appare, francamente, inutile e infruttuosa.

Il cambio di mentalità, tanto nella squadra, che oggi vive col mantra dei 3 punti impresso a fuoco sulla pelle, quanto nella società, impegnata ad assecondare la vocazione ortodossa del ‘testa bassa e lavorare’ è talmente lampante da destare sconcerto e disorientamento, in una piazza spesso prona più al sale della polemica che alla proverbiale esaltazione.

Il paradigma calcistico del Napoli, bello e illuminante, patinato nelle sue certezze ataviche, incastonato, vuoi per approssimazione, nel simulacro del 4-3-3, ad oggi è messo in discussione dal calcio di Conte che, in barba alle categorie stantie, ha (già) costruito l’impalcatura di un Napoli nuovo, in quanto a premesse e realizzazioni.

Diverso, come l’approccio sul mercato: mai come quest’estate il Napoli ha investito su calciatori già fatti, già pronti, affidabili. Per assecondare l’urgenza di nuove certezze.

Ora, questo bisogno di novità, anzi questa assoluta necessità di un vero Recovery Plan per una squadra che assomigliava all’Europa post ’45, deve essere per forza di cosa in chiave antitetica con quanto è stato fino a, non so, 14 mesi fa?

Perché a leggere qualcuno si prova quasi fastidio a notare come Conte e il suo staff abbiano subito sistemato cose che lo scorso anno parevano irreparabili; così come sembra deprecabile la delega come matrice gestionale di successo, laddove un anno fa tutto passava per le dichiarazioni sconclusionate, ipertrofiche e inconcludenti.

E soprattutto avrebbe avuto più solidità un progetto imperniato su allenatori deboli, alla Italiano, ma che avrebbero tenuto il Napoli nella sua comfort zone?

A me, personalmente, Conte ha ridato fiducia e speranza; perché, mentre fuori si parla di categorie, interrogandosi sul sesso degli angeli, il Napoli è tornato ad essere una squadra che mette timore. Che sa cosa fare, sempre; e che sembra rinvigorirsi nelle difficoltà. Una squadra che, per quanto ancora in costruzione, sembra avere già tante certezze; e, dopo un decimo posto, trovarsi al primo posto dopo 8 giornate è tutto fuorchè scontato.

Quel che sarà, sarà. Ma quello che è, e soprattutto quello che è stato, non cambierà.


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