Quest’anno il Napoli di Luciano Spalletti - come piaceva spesso proferire Francesco Totti durante le sue interviste - gioca a pallone. Perché oggi questa squadra vi riesce mentre lo scorso anno risultava spezzata in due tronconi?

La mentalità di un calcio europeo è stata importata qui a Napoli un bel po’ di tempo fa, quando nel 1974 sedeva sulla panchina Luis Vinicio, osannato al punto tale da diventare una pietra di paragone per chi intende discutere di calcio-spettacolo. Dopo 39 anni, Aurelio De Laurentiis decide di seguirne la scia, decidendo di ingaggiare il tecnico spagnolo Rafa Benitez per riproporre un calcio che si ispirasse a quel modello.

Ma per dare forma e smalto al target che si era prefissato ci fu bisogno di aspettare ulteriori 3 anni quando, dopo gli strascichi della mancata qualificazione in Champions, Napoli accolse l’avvento del neofita Maurizio Sarri. La bellezza della squadra guidata dal tecnico di Figline Valdarno è stata riconosciuta oltre i confini del territorio italiano, ricevendo apprezzamenti da mezza Europa e da tecnici blasonati che adottavano la stessa dottrina calcistica.

Dopo il suo burrascoso addio e la parentesi del calcio liquido di Carlo Ancelotti, De Laurentiis, probabilmente ravveduto, sceglierà di affidarsi a Gennaro Gattuso. Sì signori/e miei, perché il ragionamento è alquanto logico: Ancelotti, come lo fu a suo tempo per Benitez, rappresentò una risposta carica d’orgoglio della società azzurra ai rifiuti di Sarri e Mazzarri di proseguire il percorso insieme. Ma se nel 2013 vigevano le condizioni - grazie ai ricavi delle cessioni di Lavezzi prima e Cavani poi - per poter rinnovare totalmente le fondamenta della rosa - e garantire l’innesto di un calcio dalla filosofia europea - gli strascichi e la volontà di continuare con un gruppo dilaniato dagli eventi della stagione 2017-18 non consentirono al pluridecorato Carletto di predisporsi per operare al meglio, e cioè di gestire un parco calciatori di poliedrica valenza e dal valore conclamato.

Quel gruppo non era nelle corde del tecnico emiliano, e questo è constatato dalla sua storia trascorsa (Milan, Chelsea, Psg) e dal suo attuale presente (Real Madrid). Da quel preciso istante in Aurelio De Laurentiis scaturì una profonda riflessione, e fu in base al ragionamento dei suddetti motivi che a quel gruppo tanto valeva affidarlo ad un motivatore come il tecnico calabrese. Il quale, per quanto possa esser piaciuto o meno, ridiede vigore e compattezza a quella squadra che solo due anni prima incantava e mandava in visibilio la propria platea. Il tecnico di Corigliano Calabro, dopo un inizio a dir poco complicato, riuscì nell’insperata impresa di riportare un titolo nella bacheca azzurra, vincendo nel finale di stagione la Coppa Italia, battendo in finale la Juventus che, a quei, tempi, come ben ricorderete, era allenata proprio da Maurizio Sarri.

Cos’hanno in comune l’ultima stagione che ha visto protagonista Gennaro Gattuso sulla panchina dei partenopei e la prima del suo successore, Luciano Spalletti? Molti magari imprecheranno solo al ricordo di quell’annata che ha visto sfuggire la qualificazione Champions proprio all’ultima giornata. Sì, un episodio che ha lasciato una cicatrice che sembrava indelebile fino ai giorni nostri. Un Napoli-Verona che è stata oggetto di mille discussioni, caricature, meme propagate per sfottò di ogni genere, un’annosa vicenda di cui - oltre alle molteplici e saccenti versioni di opinionisti di ogni genere - probabilmente non conosceremo mai i motivi. Eppure il Napoli di quelle ultime giornate sciorinò un calcio di tutto rispetto che non solo portò al mea culpa dei suoi molti detrattori, ma consenti agli azzurri di riconquistare posizioni su posizioni fino ad occupare l’agognato e stabile - quantomeno si presupponeva - quarto posto in classifica che gli avrebbe consentito di rigiocare, dopo due anni di prolungata assenza, la competizione della coppa dalle grandi orecchie. Spalletti, la stagione successiva, prese in carico il ruolo dal gravoso impegno di rigenerare un gruppo che sembrava fosse allo sbando. E lo fece seguendo la scia del lavoro profuso dal suo predecessore, parole sue, si intende:

https://youtu.be/lQLRNYGSKso
Conferenza stampa di presentazione Spalletti (credits Cn24)

I numeri parlano chiaro, con egual rosa la differenza non si è notata tra i due tecnici. Ma oltre alle statistiche i due tecnici avevano in comune anche un ulteriore concetto: la strategia di gioco. Oggi il calcio espresso da mister Spalletti predilige un possesso palla che sfrutta le qualità tecniche dei sui centrocampisti ma soprattutto dell’apporto dei due terzini, Mario Rui/Hysaj, e Di Lorenzo (i vituperati terzini che non sapevano attuare una diagonale difensiva perché troppo distanti dall’azione di gioco, li ricordate?) che entrano nel vivo del gioco affiancandosi alla linea di centrocampo come due vere mezzali,

immagine tratta da assoanalisti.it

capaci di dialogare con il vertice basso e consentendo, a turno, di piazzare uno tra Zielinski e Anguissa a supporto del versante su cui si sta attaccando, permettendo agli esterni d’attacco di tenersi larghi e ampliare il gioco. Per quanto possa essere inimmaginabile questa idea di gioco era stata importata proprio da Gennaro Gattuso che, però, non è mai riuscita a farla fruttare per un tempo così ampio come è invece riuscito al tecnico toscano. I motivi possono essere molteplici, e sono supportati da quanto lo scorso anno la squadra di Spalletti al suo primo anno non è riuscita nel dare continuità ai propri risultati nonostante un inizio scintillante delle prime sette vittorie consecutive di inizio campionato. Un‘ipotesi che possiamo mettere al vaglio è l’utilizzo di calciatori diversi: l’idea proposta dai due tecnici si basa su un assetto di gioco che prevede un’oscillazione armonica della squadra in grado di poter slittare da entrambi i lati del campo per consentire una rapida chiusura in caso di pressione o, in caso di possesso, nel poter proferire uno scarico veloce e reattivo. Il tutto senza distinzione di reparto, che sia quello d’attacco di centrocampo o difensivo non fa differenza, il poter attuare o meno questo tipo di strategia tattica è correlata alla diversa struttura muscolare dei calciatori aventi in dote quest’anno. La sostanziale differenza tra la rosa dell’ultimo anno di Gattuso e quella del primo anno di Spalletti l’ha fatta il cambio Bakayoko-Anguissa (cito solo questo semplice binomio calcistico perché il mancato utilizzo di Lobotka parrebbe quantomeno superfluo in quanto paragonare un calciatore - acquisto che, per inteso, fu proposto dallo stesso Gattuso - in sovrappeso di 10 kg e quello che attualmente ammiriamo non avrebbe senso), dove fino a quando il camerunese riuscì a mantenere il passo della continuità e della condizione la squadra mantenne un buon equilibrio di gioco e primato in classifica, ma dopo il match di Milano contro l’Inter il Napoli dovette fare i conti con l’infortunio del suo nuovo centrocampista e quello di Osimhen. E fu proprio da quel momento che il rendimento dei due tecnici, in pratica, si sovrapposero.

Prendiamo come esempio le 3 cessioni più importanti di quest’anno: Fabian Ruiz, Insigne e Koulibaly, presenti sia nell’undici titolare di Gattuso dell’ultimo anno sia in quello di Spalletti al suo arrivo e confrontiamoli con chi li ha sostituiti.

La struttura fisica fa la differenza

La struttura muscolare di Insigne e Fabian Ruiz è caratterizzata da un baricentro basso e un tono muscolare marcato per il primo e un baricentro alto - con gamba lunga - con un tono muscolare esiguo per il secondo. Ciò comporta un contrasto non sovrapponibile che in fase di transizione positiva ne riduce inevitabilmente la velocità di esecuzione. Certo, abbiamo assistito ad episodi che evidenziavano ripartenze dai contorni balistici, ma proporre un calcio in velocità è tutt’altra cosa. Ecco perché le stagioni che hanno maggior risalto alle prestazioni dei due calciatori sono state sotto la guida di Sarri per Insigne, e il decantato calcio del Tiki Taka spagnolo per Fabian Ruiz, dove un calcio di continuo palleggio, e la ricerca degli spazi posizionali, dava una maggiore coralità ed espressione di giuoco ai due calciatori. Situazione alquanto diversa da chi oggi presiede al loro posto, ossia Anguissa e Kvaratskhelia, entrambi longilinei e dotati del giusto spessore muscolare che ne detta i giusti tempi e la corretta sincronia di gioco, sia in fase passiva che in fase di costruzione. La terza cessione importante dell’undici titolare è stata quella di Koulibaly, il quale, per quanto abbiamo amato e osannato in questi anni non possiamo non ammettere che in fase di marcatura non hai mai rappresentato la massima espressione del compimento. Dopo aver trascorso il suo primo anno all’insegna della discontinuità sotto la guida di Benitez, la reale consacrazione l’ha trovata con l’avvento di Maurizio Sarri, il quale - rivoluzionando il sistema difensivo precedentemente adottato dal tecnico spagnolo - con un baricentro difensivo più alto, valorizzò le caratteristiche del calciatore senegalese, consentendogli di mettere in risalto il suo strapotere fisico e la dote di saper accorciare le distanze, riuscendo a compensare le sue lacune da difensore puro. Kim Minjae, a sorpresa di tutti, è riuscito a raccogliere la sua eredità in maniera esemplare, ma non solo, ha saputo aggiungere quel quid in più per quanto concerne la perenne concentrazione nei 90 minuti e l’indole del marcatore di vecchio stampo. Anche in questo caso, esplosività e reattività sono miscelati quasi alla perfezione da un fisico asciutto ma possente del calciatore coreano, e da un baricentro medio-basso che ne valorizza l’istinto e il riflesso nell’anticipo.

Ad ogni buon conto, questo articolo non volge nel delegittimare nessuno, anzi, ne attesta i contenuti e ne consegue che ogni decisione presa o avvenimento che si è succeduto ha avuto un valore importante, fondamentale, affinché oggi si possa ammirare un Napoli così imponente, consapevole dei propri mezzi, apprezzato dal proprio pubblico e da gran parte degli addetti ai lavori. Tutti gli appassionati di questa squadra hanno sofferto nel veder andar via i beniamini di una vita come Insigne, Koulibaly, Fabian e Mertens, ma la scelta di un radicale cambiamento - che ai posteri, probabilmente, doveva essere fatto tempo addietro - ha consegnato al tecnico gli uomini giusti al posto giusto. Per quanto sia stato tacciato del mancato senso di appartenenza - e ricevuto molteplici critiche durante la scorsa Estate per le cessioni in sequenza dei suddetti veterani - Aurelio De Laurentiis, in questi ultimi 5 anni, ha forse avuto troppo rispetto per la piazza nel non decidere di anticiparne i tempi. Anche il passaggio intermedio che ha visto Gattuso allenatore ha avuto i suoi risultati perché ha consentito a Luciano Spalletti di estrapolare dal lavoro del suo predecessore la modalità di sfruttare i propri calciatori al pieno del loro potenziale sfruttando un impianto di gioco simile ma con tipologie diverse, amalgamando il sistema ed elevandolo alla massima potenza.