«Questa squadra si chiama Napoli e, se tu non sei nelle condizioni di mettere tutto quello che questa piazza merita, allora è giusto fare dei ragionamenti». Le dichiarazioni rilasciate da Luciano Spalletti al termine della partita con l'Inter sembrano confermare sempre più che il futuro del tecnico di Certaldo sia lontano dalla piazza azzurra. Un probabile addio che, pur non avendo l'aria di una generale dismissione, non può non lasciare l'amaro in bocca per quello che questa squadra, sotto la sua sapiente guida, ha saputo esprimere e per i successi che, con ogni probabilità, avrebbe potuto replicare nel futuro prossimo.

Purtroppo, si sa, laddove iniziano a farsi strada l'amarezza e il rimpianto, poi inevitabilmente finiscono per serpeggiare anche l'equivoco e il chiacchiericcio. Ahinoi, è inevitabile: il tifo è un fatto emotivo, umorale e dunque hanno buon gioco le penne avvelenate di chi, per mire piccine, non ha altri interessi se non inquinare i pozzi di un ambiente che solo grazie allo scudetto è riuscito a rimarginare le ferite di un passato recente carico di rabbia e speranze tradite.

Proprio per questo, forse, occorre mettere in evidenza tre punti a proposito di tutta questa spiacevole faccenda. Tre punti che non hanno alcuna pretesa di essere dirimenti, ma che forse possono servire ad orientare il lettore mentre la stampa locale e nazionale continuano imperterrite nel totonomi per il successore di Luciano Spalletti o pescano a sorpresa qualche clamoroso retroscena sulla rottura tra l'ex allenatore della Roma e il presidente Aurelio De Laurentiis e che, chissà come mai, puntualmente finisce per rivelarsi falso (foto con il Principe Carlo di Borbone docet). Passiamoli in rassegna.

Uno: questa stampa ha ancora credito?

Nella conferenza di presentazione di Napoli-Inter Spalletti si è mostrato molto infastidito nei confronti di un giornalista che, a inizio stagione, aveva pronosticato l'ottavo posto per gli azzurri nella sua griglia. Un esercizio di giornalismo, in effetti, davvero disgraziato e su cui hanno toppato in moltissimi, mostrando davvero poca conoscenza del gioco del calcio.

È vero, il mister caratterialmente è molto suscettibile e incline a legarsi al dito qualsiasi tipo di critica gli venga mosso (lo conosciamo da tempo), ma come si poteva mai mettere in dubbio le capacità del Napoli, di questo Napoli, nel qualificarsi quantomeno tra le prime quattro? Come hanno fatto dei giornalisti a pensare che una rosa che aveva sì subito addii di peso, ma che continuava ad avere calciatori come Di Lorenzo, Lobotka, Zielinski, Anguissa e Osimhen (calciatori che avevano già ampiamente mostrato di essere, ciascuno nel proprio reparto, dei top di ruolo), non potesse agguantare la qualificazione in Champions League? Nessuno pretendeva che lorsignori utilizzassero la sfera di cristallo per predire l'impatto che avrebbero avuto Kim e Kvaratskhelia, per carità, ma i giocatori rimasti bastavano da soli a fare da garanzia per le ambizioni di De Laurentiis e soci.

Stuoli di opinionisti, commentatori ed editorialisti ‒ tutta gente che teoricamente ne sa di campo ‒ che su questa squadra hanno fatto analisi completamente sbagliate. Non è solo il caso del malcapitato giornalista contro cui si è scagliato Spalletti in conferenza stampa: ad agosto fioccavano ovunque previsioni sulla classifica finale in cui il Napoli sarebbe arrivato alle spalle della Juventus, delle milanesi, delle romane e, addirittura, in taluni casi anche di Atalanta e Fiorentina. Analisi che, quando non accompagnate da malafede, sfociavano comunque in un'enorme sottovalutazione degli azzurri e del lavoro del loro allenatore (uno che, per inciso, dal 2004 ad oggi non è riuscito a centrare la qualificazione in Champions solo una volta: nel lontano 2009).

Fatti concretissimi, dunque, contro cui hanno perso credibilità in tanti: da firme accreditatissime a redattori di siti web che giocano a fare gli insider. E, guarda caso, quando si parla del Napoli sono in tanto che da anni continuano a perderla. Tenetelo bene a mente, quindi, ora che questa stampa ha ripreso a fare il tiro al piccione sulla società.

Due: De Laurentiis e la visibilità dei suoi allenatori

A proposito di tiro al piccione, c'è già chi è tornato alla carica con il solito ritornello per cui De Laurentiis interromperebbe i rapporti di lavoro con i suoi allenatori non appena questi inizino ad oscurarne la visibilità. Una cosa che, a dire di qualcuno, starebbe accadendo anche adesso con Spalletti. E già qui scatta il primo campanello d'allarme: analisi di questo tipo, infatti, di solito poggiano su ricostruzioni di carattere psicologico, sono piene di "se", di "ma" e di condizionali, salvo poi terminare con conclusioni che definire affrettate è poco. Insomma, in esse c'è ben poco di giornalistico.

E poi, per diffidare di questa narrazione, basta semplicemente mettere in fila i fatti che sono successi in tutti questi anni: De Laurentiis al momento opportuno ha scelto allenatori che di per sé – in forza del loro palmarès, del loro appeal e della loro riconoscibilità internazionale – "oscurano" qualsiasi presidente: parliamo dei titolatissimi Rafa Benitez e Carlo Ancelotti con cui, tra l'altro, il rapporto si è interrotto, rispettivamente, per motivi famigliari e per gli scarsi risultati raggiunti in campionato. Walter Mazzarri e Maurizio Sarri, invece, legittimamente hanno scelto di passare sulle panchine di club più blasonati, mentre Rino Gattuso è stato esonerato per non aver centrato la qualificazione in Champions (obiettivo minimo del Napoli) per due anni di fila.

E con Spalletti stesso, inoltre, nonostante gli evidenti attriti che ci sono sul piano personale, De Laurentiis ha provato a fare il possibile per trattenerlo esercitando l'opzione per il prolungamento del contratto. Più in generale, non si capisce il motivo per cui un imprenditore debba rinunciare alla strada più semplice per continuare ad avere successo quale è la riconferma dell'attuale guida tecnica: in questo caso, infatti, non ci sarebbe più solo l'invidia per la visibilità altrui, ma si sfocerebbe direttamente nel campo dei comportamenti autolesivi.

Tre: le spallucce per l'addio di Spalletti

Chiariamo una cosa prima di affrontare il terzo e ultimo punto: chi scrive non può che esser soddisfatto nel vedere una piazza intera (o quasi) che finalmente si mostra fiduciosa nei confronti di De Laurentiis. Lo ha detto Cristiano Giuntoli e lo hanno ribadito tanti addetti ai lavori: finché ci sarà lui il Napoli sarà in mani sicure. Parole che, assieme alla vittoria dello scudetto, hanno convinto quella larga parte di tifo che non riconosceva al presidente i meriti della sua gestione. E tra questi c'è sicuramente la capacità del patron azzurro di azzerare tutto (calciatori, dirigenti, allenatori) per poi ripartire su basi via via più solide. Insomma, la piazza ha capito che tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile. Tranne il presidente, ovviamente. Il che è curioso, perché è anche un riconoscimento piuttosto esplicito della bontà di quella struttura societaria aspramente criticata dai napoletani fino a poco tempo fa.

Nel riconoscere l'indispensabilità della figura di De Laurentiis, però, non bisogna commettere l'errore di ritenere che l'addio di Spalletti sia un passaggio neutro e indolore. Sempre nella conferenza prima di Napoli-Inter, il tecnico azzurro ha mostrato ai giornalisti la famigerata pettorina su cui aveva fatto stampare i versi «Sarò con te... / E tu non devi mollare», facendo seguire delle parole dal significato inequivocabile in cui sottolineava come lui questa squadra e questa piazza le abbia "difese" sin da quando è arrivato, a differenza di tanti altri.

Insomma: le pettorine, il "tutto per lei" e le parole al miele verso i tifosi non erano solo retorica. No. Spalletti ha veramente dato tutto se stesso per il Napoli, riuscendo a sublimare qui, in questa città, anni di innovazioni calcistiche che però lo avevano visto fermarsi sempre ad un passo dalla vittoria. Sarà stata la grande sapienza tattica del mister, l'incredibile disponibilità o la forza del gruppo squadra, ma Spalletti sulla panchina degli azzurri si è superato: per meticolosità, per applicazione, per eclettismo e per voglia di vincere.

Un viaggio durato (?) appena due anni, ma intensissimo, e che ha già svuotato il tecnico delle sue energie nervose e mentali (questo, al di là di dettagli e retroscena, dicono attualmente i fatti). Come si può, di fronte all'irripetibilità di quest'impresa, dire tranquillamente «Ok, avanti il prossimo»? Come può valere per Spalletti l'adagio «Gli uomini passano, la maglia resta», come se il tecnico di Certaldo fosse uno qualunque, uno come tutti gli altri? Sarebbe bello che, almeno adesso che la sua esperienza a Napoli sembra volgere al termine, al nostro allenatore si tributassero quel rispetto e quella considerazione che gli erano dovuti già un anno fa.