Per quanto suggestiva, in special modo per gli amanti della teoria del complotto, setta militante in servizio permanente, la ricostruzione che stamattina è stata rilanciata secondo cui il “No” alla pullman sarebbe stata una ripicca di De Laurentiis per punire la squadra dopo l’1-1 interno con la Salernitana, è una notizia destituita di fondamento.

La regia degli eventi che hanno interessato Napoli da aprile a giugno dello scorso anno è sempre stata in mano alla Prefettura, come testimoniato dalla convocazione di vari tavoli tecnici e comitati di ordine pubblico e sicurezza aventi ad oggetto proprio la gestione degli eventi legati alla vittoria dello Scudetto ed ai relativi festeggiamenti.

A questa regia va anche ricondotto l’avvicinamento tra De Laurentiis e gruppi ultras; Questore e Prefetto personalmente si sono mossi per scongiurare le tensioni che, dopo la protesta in occasione del match contro il Milan di campionato, avevano paralizzato l’apparato di ordine pubblico, imponendo la strada della mediazione coi gruppi ultras.

De Laurentiis, grazie al lavoro dei pontieri (anche interni alla società), si incontró al Britannique coi rappresentanti dei gruppi, come auspicato dalle istituzioni, dando il via ad una vera e propria “collaborazione”, fondata sulla deposizione delle armi, in vista delle varie feste scudetto che parevano imminenti.

Il riconoscimento dei gruppi ultras garantì coordinamento nelle settimane successive, quarto di finale di Champions compreso.

Venendo alla questione pullman scoperto, il Napoli era favorevole alla parata; il No, come da sempre affermato anche dal sindaco Manfredi, è arrivato per esplicito diniego da parte del Viminale.

C’è un non detto: i vertici dell’Interno hanno vissuto con terrore l’avvicinarsi degli eventi, temendo una nuova Piazza San Carlo, divenuto case study di quelle maniche larghe, in materia di autorizzazioni, da evitare ad ogni costo.

Se poi c’era uno spiraglio, per il 3 giugno, la concomitanza con il concerto di Gigi d’Alessio in Piazza del Plebiscito, ha definitivamente lasciato cadere la fattibilità, con buona pace di tutti. Tutti tranne il Napoli ed il Comune, ad onor del vero, sponsor della parata con pullman scoperto.

Al Napoli, sia pure per esigenze di immagine, avrebbe fatto più che piacere replicare quanto improvvisato nell’accoglienza di Capodichino: ma le posizioni furono inconciliabili. L’idea di confinare la festa al Maradona allora fu il piano B al quale non potersi tirare indietro.

Ritornare sulla vicenda, a distanza di un anno, paventando responsabilità dirette, addirittura dolose, da parte di De Laurentiis, conferma due cose: da una parte, meramente deontologica, che ha a che fare con le fonti.

Una ricostruzione così antitetica rispetto a quanto confermato dai vertici istituzionali meriterebbe di avere prove a supporto, che vadano oltre un catering da pagare. Racconti tanto fantasiosi senza sentire l’esigenza di allegare uno stralcio di prova, gettano sconforto.

E seconda cosa, l’assoluta assenza di percezione, nemmeno superficiale, di come funzionino meccanismi decisionali tanto complessi, che ineriscono ad enti ed istituzioni e che si “cibano” di procedure, valutazioni del rischio e piani di contingentamento che non possono dipendere dalle paturnie di chicchessia, figurarsi d’un privato cittadino quale è il presidente De Laurentiis.

Uno spettacolo deprimente, che fotografa, se ce ne fosse bisogno, lo stato degradato di una certa informazione, che sembra aver fatto del proprio posizionamento, nei confronti del club, una fede che val bene anche clamorosi autogol.

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