Una volta per coprire i buchi si ricorreva alla cosiddetta toppa, ma cosa succede quando la toppa è peggio del buco? In molti se lo staranno chiedendo dopo aver letto le fantasiose “giustificazioni” con le quali si sta provando a derubricare il caso plusvalenze che ha travolto la Juventus. Ormai qualsiasi tentativo di approccio all’argomento viene stroncato sul nascere con l’utilizzo di una semplice percentuale: 3%. È questo il nuovo mantra difensivo, ripetuto con la stessa sacralità delle celebri regole del Fight Club e guai a metterlo in discussione.

Ma come si è arrivati a questo 3%? I paladini del dimissionario board presieduto da Andrea Agnelli, prendendo in considerazione solo le operazioni sospette portate dinanzi alla Corte Federale dal procuratore Chinè, insistono nel dire che esse rappresenterebbero solo il 3% del fatturato della Juventus nel triennio incriminato, quello che va dal 2018 al 2021.

Da qui una domanda che parrebbe anche lecita: La Juventus aveva veramente bisogno di generare un misero 3% in maniera fittizia per iscriversi al campionato e rispettare i rigidi parametri del FPF? Volendo considerare esclusivamente quanto portato dinanzi ai giudizi federali, la risposta è ovviamente no. Ma cos’è che viene omesso? Perché andando a spulciare i bilanci i conti non tornano.

Cos'è una plusvalenza?

Direi sia doveroso fare una breve digressione e spiegare prima cosa sia una plusvalenza e perché questa risulti fondamentale per le finanze di un club, come di una qualsiasi altra azienda. In parole semplici la plusvalenza è il guadagno che una società ottiene attraverso la vendita di un proprio calciatore, meno la quota di ammortamento del cartellino a bilancio. In pratica quando viene acquistato, il costo viene spalmato per la durata del contratto. Quindi se una squadra X acquista il calciatore Y per 10 milioni, facendogli firmare un contratto della durata di 5 anni, la società metterà a bilancio ogni anno, per 5 anni, una quota ammortamento di 2 milioni di euro. Ma se quello stesso calciatore verrà rivenduto dopo due anni per 15 milioni, la società genererà in quell’esercizio una plusvalenza di 9 milioni, non altro che la differenza tra il prezzo di cessione (15) e le quote ammortamento restanti (6).

Vien da sé che non è il principio contabile della plusvalenza ad essere messo in discussione, ma l’uso improprio che ne è stato fatto dalla dirigenza bianconera. Ma ritorniamo a quel famoso 3% e cerchiamo di capire perché esso rappresenterebbe solo la punta dell’iceberg dell’intero faldone accusatorio dell’inchiesta Prisma. Si, perché la FIGC ha preso in considerazione solo quelle plusvalenze che, attraverso le intercettazioni, sono state ritenute artificiali, ma la giustizia ordinaria è andata oltre e si prepara a presentare un conto ben più salato.

Perché il 3% è solo uno slogan?

Potremmo parlare dello scambio Pjanic-Arthur con il Barcellona (altra squadra sul baratro del collasso finanziario), operazione che ha fruttato ai bianconeri una plusvalenza di oltre 40 milioni di euro, con i revisori di Ernst&Young che hanno chiesto invano, all’allora dirigenza juventina, di contabilizzarla come permuta per evitare possibili accuse di frode. O dello scambio di giovani atleti con il Marsiglia, quello della fattura con annotazioni a penna, al fine di suggerire come dichiarare a livello nominale l’operazione.

Sì perché a partire dal 2016 la Juventus è passata da una percentuale media di ricavi, generati dalle plusvalenze rispetto al fatturato, di circa il 7% annuo ad un 20%, toccando la punta massima del 29% (altro che 3%) nell’esercizio 2019/20, un anno prima che scoppiasse la bomba mediatica sul caso. D’altronde lo stesso Collegio di Garanzia del CONI, al quale si era rivolta la Juventus e che ha rimandato alla Corte Federale il compito di una nuova valutazione, dopo aver restituito momentaneamente i 15 punti di penalizzazione, ha confermato l’impianto accusatorio del procuratore Chinè. Non solo, ma partendo dalla legittimità riconosciuta della riapertura del processo, ha ribadito l’illecito sportivo (art.4) e sottolineato una preordinata modalità di violazione dei regolamenti. Nelle motivazioni si legge di “una voluta e reiterata alterazione delle evidenze contabili per effetto di numerose plusvalenze i cui valori erano fittizi”.

Comprendiamo un tifoso ferito che prova a difendere l’indifendibile, ma quando si cerca di aizzare gli stessi contro giudici e istituzioni, divulgando dati farlocchi, ci troviamo di fronte a qualcosa che va oltre la faziosità. Non possiamo credere che giornalisti e opinionisti, che sono a conoscenza delle evidenze processuali, continuino a mistificare la realtà facendo passare la Juventus, ma sarebbe più giusto dire chi l’ha amministrata, come vittima. Perché il sistema potrebbe anche essere malato, ma è giusto che i colpevoli si assumano le responsabilità delle proprie azioni.